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La Campania è il futuro! – Programma Regionali 2020

La Campania è il futuro!

Per che cosa lottiamo oggi, che cosa faremo in Consiglio Regionale

Vogliamo aprire una grande prospettiva per il futuro della Campania.
Costruiamo insieme una visione all’altezza delle nuove sfide della nostra epoca: la tutela dell’ambiente e del lavoro, la lotta alle diseguaglianze sociali, l’innovazione tecnologica.
Fermiamo la “vecchia politica” fatta di clientele, corruzione, infiltrazioni mafiose, fermiamo chi sfrutta e inquina, diamo spazio a chi ogni giorno costruisce esempi, avanza proposte, lavora per portare in alto questo territorio, per aiutare la propria comunità!

Il programma elettorale di un partito che si presenta alle elezioni è di solito un elenco di promesse, quasi mai realizzabili.
Quando poi si tratta dei partiti che sono stati al potere per decenni, si tratta sempre delle stesse promesse. A volte, per essere originali o per prenderci in giro, questi partiti promettono di finirla col vecchio andazzo… creato da loro!
Dichiarano di voler abolire leggi che hanno scritto o di voler finalmente eliminare problemi che hanno creato.
La nostra lista, che è fatta da giovani e da cittadine e cittadini che non vivono di rendita o di politica, che non devono favori a nessuno, vuole proporre qualcosa di diverso.

Ciò che vi presentiamo non nasce oggi.
Le nostre proposte sono quelle che migliaia di persone in Campania hanno elaborato in assemblee e piazze, sedi associative e sindacati. È il programma dei grandi movimenti di lotta che hanno attraversato la nostra terra in questi anni e delle vertenze delle singole associazioni.
Dal lavoro all’ambiente, dalla salute pubblica a un trasporto efficiente: tutto ciò che è stato oggetto di battaglie per il miglioramento della vita del popolo campano noi abbiamo provato a raccoglierlo.

Vogliamo provare a portare in Consiglio Regionale la voce di chi ha vinto contro un licenziamento ingiusto. Quella di chi vive nelle periferie e lì costruisce cultura e socialità.
Vogliamo raccontare in Consiglio le battaglie per l’ambiente e per la sanità pubblica. Il lavoro di chi vive i quartieri popolari di Napoli.
Vogliamo che nessuno tra gli eletti del futuro Consiglio Regionale possa fingere di ignorare come si lavora negli hotel, nei ristoranti, nei b&b della nostra regione, per quel turismo di cui tanto ci vantiamo ignorando quanto sfruttamento e lavoro nero nasconde.
Porteremo le parole di migliaia di giovani che dalla Campania sono dovuti scappare, come i loro nonni o genitori, alla ricerca di un lavoro che non fosse sottopagato, precario, sfruttato o criminale. O quelle di chi sa, per vissuto personale e familiare, quali ostacoli incontri se vieni da un’altra terra e provi a stabilirti qui.

Vogliamo entrare in Consiglio Regionale per essere il megafono di tutti coloro che si ostinano, nonostante le difficoltà, a vedere per la nostra terra un futuro migliore del presente che viviamo.
Nelle aule consiliari proveremo a portare non solo denunce, ma proposte concrete e fattibili di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro in Campania; ci impegneremo, inoltre, a controllare, tutti insieme, l’operato di chi governerà la Regione.

Dacci una mano, con il tuo voto e la tua partecipazione, a realizzare questo programma!

La Campania è una terra meravigliosa, che, nonostante le devastazioni subite, continua a mostrare a chiunque la sua bellezza e le opportunità che può offrire.

Purtroppo anni di incuria, malagestione e complicità criminale hanno violentato l’ambiente in cui viviamo nei suoi quattro elementi fondamentali: Aria, Acqua, Terra, Fuoco.

L’inquinamento atmosferico nei grandi aggregati metropolitani della nostra Regione, dovuto in gran parte alle emissioni legate al traffico veicolare privato, è tristemente in linea con i dati delle principali metropoli nazionali.

Da noi, però, nulla è stato fatto in termini di disincentivo al ricorso all’auto privata, potenziamento del TPL, sviluppo dell’intermodalità e della mobilità cosiddetta “dolce”.

Laddove gli enti locali hanno fallito, spesso per carenza di risorse finanziarie, può intervenire la Regione, potenziando il trasporto pubblico locale di sua competenza, affiancando i Comuni per il rinnovo e il potenziamento del parco veicolare, affiancando lo Stato negli incentivi alla dismissione del parco auto più inquinante.

Sono nella memoria di tutti le immagini recenti del fiume Sarno di nuovo sporco alla ripresa delle attività dopo il lockdown.
Il Sarno, uno dei fiumi più inquinati d’Europa, raccoglie gli sversamenti abusivi di migliaia di imprese, scarti di lavorazione, collettori fognari inadeguati o immissioni dirette senza depuratore

La situazione è identica per gli altri corsi d’acqua campani e si rispecchia nel mare, il cui stato disastrato è stato fotografato, proprio quest’estate, da Goletta Verde, che ha impietosamente evidenziato come circa la metà del mare campano sia inquinato o gravemente inquinato.

Noi proponiamo un piano d’azione urgente per un capillare controllo delle immissioni nei corsi d’acqua regionali e nel mare; investimenti nel ripristino della funzionalità dei depuratori e un piano generale di efficientamento delle risorse idriche.

Da questo punto di vista, è necessario che tutta la Regione si adegui alla volontà popolare espressa col referendum del 2011 sull’acqua pubblica, ripubblicizzando l’intero ciclo della gestione delle acque campane.

Abusivismo edilizio e scarsa manutenzione hanno comportato come conseguenza che la Campania è in vetta alle classifiche sul rischio idrogeologico e sul consumo di suolo. Quel poco di terra risparmiata dalle costruzioni, dalle frane e dall’inquinamento, come la costa, è erosa dal mare o regalata a gestori privati, che ne amministrano il 70%.

Noi proponiamo un piano di cinque anni di lotta al dissesto idrogeologico e all’erosione costiera, un piano di tutela del patrimonio boschivo e di prevenzione degli incendi, e inoltre chiediamo che almeno il 50% delle coste campane torni ad essere pubblico e gestito direttamente dalla Regione o dagli Enti locali, come avviene da tempo in altri paesi mediterranei.

Vanno rivisti al rialzo, inoltre, i canoni di concessione delle coste ai privati, destinando i maggiori introiti alla tutela del patrimonio ambientale.
Quello che si brucia di più, in Campania, non sono (solo) i boschi, abbandonati a loro stessi, ma soprattutto i rifiuti, illegalmente nella Terra dei Fuochi o “legalmente” nel termovalorizzatore di Acerra.

De Luca insiste nel tritovagliare i rifiuti solidi urbani per l’inceneritore di Acerra, non fa le bonifiche dei siti inquinati, non chiude le discariche, apre nuovi siti di stoccaggio e cioè altre discariche, propone ed inaugura impianti enormi di compostaggio anaerobici e cioè inquinanti come a Caivano, a Napoli Est, ad Acerra. Insomma De Luca propone e vara provvedimenti che accrescono, invece di ridurre, l’inquinamento dei territori ed i danni alla salute di chi li abita.
Bisogna opporsi fortemente sia alle vecchie e nuove discariche camuffate da siti transitori di stoccaggio, sia agli impianti che prevedono la produzione di energia a partire da processi di combustione di rifiuti o altri processi chimico-biologici (digestione anaerobica).

Gli unici impianti necessari e non dannosi sono gli impianti di Trattamento Meccanico-Biologico (compostaggio con microrganismi aerobici) per i rifiuti indifferenziati residuali e gli Impianti Aerobici di Compostaggio (con produzione di compost verde utilizzabile senza pericoli in agricoltura) per la frazione umida della raccolta differenziata.

Invece di aprire nuovi siti di stoccaggio o costruire enormi impianti anaerobici la Regione Campania in relazione alla situazione esistente dovrebbe realizzare:

  •  l’avvio della bonifica/rimozione delle discariche legali/illegali inquinate
  •  l’estensione qualitativa e diffusione territoriale delle indagini epidemiologiche nelle aree inquinate
  • il controllo del territorio, partecipato dalle popolazioni, sugli impianti/siti esistenti e sul terreno anche con esami/prelievi periodici
  • la massima trasparenza informativa sullo stato dell’ambiente locale verso le comunità
  • la ristrutturazione di uno/due Stir in impianti a freddo TMB (Trattamento Meccanico-Biologico attraverso compostaggio con microrganismi aerobici) per la vagliatura secco-umido della indifferenziata e per la conversione dell’umido ricavato in FOS (Frazione OrganicaStabilizzata), utilizzabile come riempimento cave, fondi stradali, etc.; la ristrutturazione degli altri Stir in impianti di vagliatura del secco (vetro, carta, plastica)
  • la implementazione di piccoli (qualche migliaio di tonnellate all’anno) impianti di compostaggio aerobici (e quindi non inquinanti) lontani dai centri abitati ed in prossimità di autostrade/tangenziali, e compostiere di comunità per convertire l’umido della raccolta differenziata in compost
  • il graduale spegnimento dell’inceneritore di Acerra parallelamente alla crescita della differenziata verso il 100%

Quattro milioni e mezzo di tonnellate di ecoballe sono ancora tra di noi a partire dai siti di Taverna del Re a Giugliano (NA), Fragneto Monforte (BN), Villa Literno (CE), Persano (SA). Nel 2016 il governo nazionale e De Luca avevano promesso che in due anni sarebbero sparite. Oggi, a settembre del 2020 ed a situazione purtroppo immutata, lo stesso De Luca torna a promettere. Stavolta risolverà la situazione in 18 mesi. Chi offre di più? Il futuro non sta nelle soluzioni stantie proposte da De Luca, che sulla crisi dei rifiuti ha costruito un business mica da poco. Sta nelle proposte che in tutti questi anni hanno portato sui territori e ai tavoli istituzionali i tanti comitati che sono nati nelle diverse province della nostra Campania tra cui quella che le ecoballe vanno trattate e smaltite là dove sono senza incenerimento alcuno ed attraverso il riciclo totale della materia reso possibile per esempio con una sorta di officina mobile.

Le grandi lotte del decennio scorso contro discariche e inceneritori ci hanno lasciato un patrimonio di conoscenza e consapevolezza che ci porta a dire, oltre alle cose che dovrebbe fare la regione, che una sana gestione dei rifiuti parte dall’incentivo alla riduzione a monte, per tutte le produzioni locali, in primis quelle dell’agroalimentare, di confezioni e imballaggi in materiale non riciclabile, e passa necessariamente per il potenziamento della raccolta differenziata porta a porta.

Serve infine affrontare in modo sistematico il problema dei rifiuti speciali meno “controllabili” come quelli legati alle attività edilizie, intervenendo, prima che sul controllo e sulla sanzione, sulla disincentivazione del ricorso a forme totalmente illegali di smaltimento degli scarti edilizi.

La nostra Regione ha un recente patrimonio di attivazione e lotte su un tema che, a partire dal referendum sull’acqua del 2011, è diventato centrale per riscrivere il rapporto tra pubblico e privato. Un rapporto che specialmente in Campania, dove per molti ancora resiste la logica della “libera appropriazione” degli spazi pubblici, è viziato. Con la nascita di diversi spazi liberati e restituiti alla città, dall’ex Asilo Filangieri all’ex OPG di Napoli, ha ripreso forza anche la richiesta di riconoscimento giuridico del “bene comune”, quale nuova istituzione, costitutivamente aliena all’interesse privato, per strutturare la quale si è ricorso al vecchio istituto degli usi civici e collettivi, quei beni, cioè, a disposizione delle comunità che si organizzano autonomamente per rispondere ad un bisogno.
Riconoscere gli usi civici e collettivi dei beni significa pensare le comunità al di fuori della costante precarietà e ripensare la natura delle cose ( dei beni) come strutturalmente aperte alla fruizione di tutti e tutte.
Per rendere effettivo il diritto all’uso collettivo e per fornire una strumento reale a comunità solidali già esistenti o che potrebbero nascere in futuro, proprio grazie al riconoscimento giuridico, bisogna introdurre queste forme d’uso in leggi nazionali e regionali, e a livello locale inserirle nei piani urbanistici, nei regolamenti di gestione del patrimonio e negli statuti comunali, cioè nei luoghi fondativi delle comunità territoriali.
I principi fondamentali degli usi collettivi sono: accessibilità, inclusività, imparzialità e fruibilità.
I diritti collettivi d’uso prevedono, dunque, l’uso diretto del bene da parte delle comunità. Gli abitanti non sono meri fruitori ma contribuiscono attivamente alla gestione e alla cura dello spazio.
Noi proponiamo che gli enti territoriali, attraverso appositi Regolamenti d’uso, riconoscano gli usi collettivi come una delle forme di utilizzazione di quella parte dei beni pubblici funzionali al soddisfacimento dei diritti fondamentali.
Un esempio in tal senso è proprio la delibera 893/2015 della Giunta comunale di Napoli, in cui si sostiene «che la Civica amministrazione, quale ente di prossimità al cittadino e soggetto esponenziale dei diritti della collettività, debba garantire un governo pubblico, partecipato e condiviso di servizi pubblici, beni comuni e di utilità collettive» e che la stessa si impegna a dare «fermo impulso allo sviluppo di una nuova forma di diritto pubblico che protegga e valorizzi i beni funzionali alla tutela ed allo sviluppo dei diritti fondamentali, come beni di appartenenza ed uso comune, civico, collettivo e sociale e come veri e propri ambienti di sviluppo civico».
Su questa base proponiamo la realizzazione di una legge capace di rivitalizzare l’architettura fantasma della Campania e di fornire gli strumenti essenziali a cittadini, comitati e associazioni che desiderano creare laboratori artistici e culturali, orti urbani e sportelli di mutuo soccorso. In questa prospettiva, i beni comuni ad uso civico e collettivo sono espressione diretta della collettività sovrana e, al contempo, sono uno strumento teorico e giuridico valido per superare la logica privatistica dell’affidamento a soggetti privati. I beni comuni coinvolgono direttamente le comunità interessate, sempre aperte e plastiche, nel recupero e nella rigenerazione di un ricco patrimonio di strutture dismesse, inutilizzate e sottoutilizzate.
Una legge regionale, in questo senso, potrebbe controbilanciare l’eccessivo consumo di suolo che colpisce la Campania e mettere in condizione cittadini e cittadine di poter sperimentare, creare, curare legami al di fuori di ogni rapporto estrattivo e consumistico.

La Regione Campania è tristemente nota per essere una delle regioni italiane col più alto tasso di disoccupazione generale, giovanile, femminile. A ciò deve essere aggiunta – non sottratta – la quantità enorme di lavoro a nero o a grigio, nonché il sostanziale fallimento di tutte le politiche regionali di formazione professionale e ricollocazione al lavoro, che il più delle volte sono state puri e semplici carrozzoni clientelari. L’amministrazione De Luca si è particolarmente distinta sul tema, trascinando ad esempio centinaia di giovani, vincitori di concorso come Navigator, in un braccio di ferro col Governo durato mesi, pur di non assumerli direttamente; si è impegnata in un mega concorso truffa, spacciato come selezione per posti di lavoro a tempo indeterminato nelle pubbliche amministrazioni, quando in realtà si trattava di un tirocinio formativo retribuito senza certezza di assunzione; ha lasciato in mezzo a una strada le lavoratrici e i lavoratori APU, dopo che questi per anni avevano contribuito ai servizi offerti da quelle amministrazioni locali ormai cronicamente in affanno di organico. Nel privato la situazione è anche peggiore: prima del Covid c’era già un numero enorme di realtà produttive in crisi, e quando si tratta di grandi multinazionali come la Whirlpool – che dopo aver preso soldi e stabilimenti vuole chiudere tutto e andare dove può guadagnare di più, tutto ciò che centro destra e centro sinistra, da Nappi alla Palmeri, sanno proporre è dare altri soldi a queste imprese truffaldine.
Noi proponiamo altro.
È necessario ripartire con un piano straordinario di concorsi pubblici nei vari settori, tra uffici regionali e partecipate, per riportare l’amministrazione della cosa pubblica e dei servizi alla cittadinanza a livelli minimi di efficienza. Bisogna contemporaneamente porsi l’obiettivo dell’internalizzazione di tutti i servizi affidati in appalto a società o cooperative, e della stabilizzazione di tutto il personale assunto direttamente o meno dalla Regione come APU, tirocinanti, navigator, lavoratori socialmente utili (LSU). Nel caso di appalti a committenza regionale, è doveroso prevedere tra le condizioni – premianti o esclusive – la disapplicazione dell’art. 18 riformato, cioè del Jobs Act. È giusto, doveroso e possibile, dal momento che è stato già fatto altrove, oltre ad essere disapplicato in diversi contratti nazionali. È necessario prevedere una clausola di restituzione dei fondi erogati alle imprese qualora queste non rispettino gli impegni assunti in materia di livelli occupazionali o di permanenza territoriale. Va costituita una società regionale ad hoc incaricata di valutare l’opportunità di rilevare imprese di carattere strategico presenti in Campania e che dichiarano la crisi. Sono troppe le imprese che dopo aver preso i soldi scappano, o portandosi via i macchinari (comprati da noi) o rivendendo a prezzi stracciati ad acquirenti incapaci di mantenere la gestione (cfr. Irisbus o anche il progetto Whirlpool). È assolutamente necessario rivedere tutto il circuito della formazione professionale, e in particolare mettere sotto la lente di ingrandimento gli enti che se ne sono occupati in questi anni, spesso con dinamiche totalmente e assolutamente clientelari. Vogliamo attribuire, con legge regionale, poteri ispettivi e sanzionatori in materia di lavoro alle Polizie Locali, come avvenuto in altre regioni quali l’Emilia Romagna. La piaga del lavoro nero – che spesso fa rima con insicurezza sul lavoro e con criminalità organizzata – deve vedere in prima fila la Regione e gli altri Enti Locali nello sforzo di eradicazione del fenomeno, anche studiando la fattibilità di benefici economici per chi denuncia la propria condizione di lavoratore a nero. È necessario estendere, inoltre, l’impianto della delibera 100 del 2018 del Comune di Napoli – nella parte relativa all’assenza di infrazioni in materia di lavoro come condizione per l’accesso all’occupazione di suolo pubblico – anche a tutte le concessioni di competenza regionale (cfr. ad esempio quelle balneari).

Lo slogan della scorsa campagna elettorale di Vincenzo De Luca era “Mai più ultimi”. Il presidente sapeva di partire con un vantaggio, perché c’è qualcosa in cui la Campania non è mai stata ultima: la corruzione.
L’ANAC, nel suo rapporto annuale del 2020, colloca la Campania al terzo posto per numero di episodi di corruzione nel triennio 2016-2019. Un rapporto ISTAT del 2017 evidenzia che, per quanto riguarda la sanità, dopo l’Abruzzo è sempre la Campania la Regione dove gli episodi corruttivi sono più frequenti. Sempre in Campania, il dato relativo a tangenti o favori richiesti in cambio di benefici assistenziali è pari all’8,8%, ben superiore alla media nazionale del 2,7%.
La cronaca degli ultimi mesi, con l’indagine per corruzione ai danni di Antonio Postiglione, dirigente della Regione, per fatti riguardanti l’ospedale Pineta Grande di Castel Volturno, o le più recenti indagini sulla scelta della società per la costruzione dei Covid-Hospital testimonia non solo quanto resista l’attitudine corruttiva, ma anche come la Sanità sia un settore privilegiato. Ma non è l’unico.
Un altro grande terreno di coltura per la corruzione è il magico mondo degli appalti per lavori e servizi pubblici. La situazione, già critica a livello nazionale, è stata aggravata da due recenti modifiche al Codice degli Appalti fatte dai governi Conte I e Conte II (decreto Semplificazioni); l’ultima, in particolare, prevedendo deroghe pro tempore ed una serie di condizioni agevolate e di alleggerimento dei controlli, è una vera e propria manna dal cielo per chi ha già visto, nel mix tra emergenza covid e fondi europei, una straordinaria occasione per riempirsi le tasche. Non a caso sempre l’ANAC ha espresso osservazioni critiche sul decreto, sottolineando che in tal modo circa il 54% degli appalti avverrà senza gara.
Possiamo facilmente immaginare quali conseguenze avrà, in Campania, le ulteriori deroghe approvate ad un meccanismo che già aveva parecchie ombre. Per questo motivo noi proponiamo che la Regione, per tutti gli appalti di sua competenza, non tenga conto delle deroghe previste dall’ultimo decreto e si attenga, dunque, alla norma non derogata.
Ci batteremo inoltre per rafforzare l’istituto del whistleblowing nell’amministrazione regionale e in tutte le amministrazioni ad essa collegate, prevedendo ad esempio la possibilità di effettuare segnalazioni tramite un apposito form presente su tutti i siti istituzionali.
Proponiamo inoltre l’estensione dei compiti del difensore civico regionale, dalla semplice tutela contro abusi ed omissioni della PA alla raccolta di segnalazioni documentate di episodi o tentativi di corruzione o concussione subiti nei rapporti con le PPAA.

La sanità campana, per la sua lunga tradizione di cultura medica e per l’elevata qualità umana e professionale dei suoi operatori, potrebbe facilmente rappresentare un’eccellenza, se non fosse per lo stato disastroso in cui è stato gettato il servizio sanitario locale, tra chiusure di poli ospedalieri, tagli all’assistenza territoriale, rapporti opachi con la sanità privata, scandali, corruzione, commissariamenti.

Abbiamo bisogno di invertire la rotta su più fronti. Serve per prima cosa un reivestimento sul pubblico, liberando le risorse che anno dopo anno vengono indirizzate alle strutture private convenzionate, che producono utili senza garantire realmente i servizi alla popolazione, come dimostrano le ripetute sospensioni di erogazioni di analisi e indagini radiologiche in convenzione nel corso dell’anno.
Serve spostare la centralità dagli ospedali al territorio, potenziando e rendendo capillare l’assistenza territoriale, la più utile per l’individuazione tempestiva e la risoluzione di problemi di salute pubblica (non ultima la pandemia in corso). E’ inoltre necessario riportare nella sfera del pubblico tutte le prestazioni sanitarie fondamentali attualmente cedute in gestione ai privati (come i centri di diagnostica, i centri dialisi, le lungodegenze, le RSA e i servizi di riabilitazione), la internalizzazione di tutti i servizi accessori (mensa, lavanderia, pulizie ma anche servizio di ambulanza territoriale) che vanno sottratti ad agenzie e cooperative private con la assunzione regolare e a tempo indeterminato per tutti i lavoratori, compresi gli operatori sanitari in attuale regime di somministrazione. Vanno al più presto sviluppate campagne di prevenzione di massa, implementando gli screening già esistenti con il reale coinvolgimento delle persone destinatarie (al momento vi si sottopone una percentuale di aventi diritto inferiore al 20%, a causa soprattutto di una scarsissima informazione) con altre campagne di formazione, educazione sanitaria e prevenzione primaria e secondaria contro le malattie metaboliche, cardiovascolari e occupazionali (combattendo la cattiva alimentazione, l’obesità, promuovendo corrette abitudini di vita, il monitoraggio della pressione arteriosa, della glicemia, il controllo dell’esposizione occupazionale). I medici di medicina generale devono essere di più, seguire meno pazienti ma risultare più presenti di fronte alle esigenze di cura della popolazione soprattutto nell’assistenza domiciliare, supportati da una rete territoriale capillare, vicina alle persone, facilmente accessibile, inclusiva. Per le prestazioni specialistiche è necessario ridurre le liste d’attesa (ben al di sopra della media nazionale, con tempi di attesa spesso superiori ai 60 giorni). Gli ospedali si devono dotare al più presto di reti di emergenza per ogni patologia, specialmente per quelle tempo-dipendenti perché le possibilità di sopravvivenza devono essere uguali in tutto il territorio e chi vive lontano dagli ospedali più grandi non deve essere penalizzato. Per far questo occorre anche una adeguata dotazione di mezzi per il trasporto degli ammalati, su strada come per mare o per via aerea, con particolare attenzione agli spostamenti dalle aree disagiate, come aree interne, isole e penisole. Infine, ma non certo per importanza, serve riportare almeno a livello europeo il numero dei posti letto, facendolo risalire a 5/1000 abitanti (attualmente i posti letto sono meno della metà). Per implementare i servizi risulta necessario provvedere a reimmettere tutte le unità di personale sottratte al sistema sanitario nel corso degli ultimi venti anni con il blocco del turn-over. L’assistenza ai sofferenti psichici, così carente sul nostro territorio, non si può risolvere, come vorrebbe De Luca, con la riapertura di strutture manicomiali né con l’abuso dello strumento del trattamento sanitario obbligatorio e della farmacoterapia. Serve invece anche lì una rete territoriale di assistenza che ripristini degli adeguati servizi pubblici di psicoterapia e sia attenta anche agli aspetti sociali della sofferenza psichica, che non abbandoni l’ammalato né le famiglie e sia in grado di gestire le fasi di crisi come quelle di cronicità. Vogliamo costituire comitati di partecipazione popolare in ogni ASL, dove si incontrino le esigenze degli utenti e degli operatori e dove insieme si possa vigilare sulle soluzioni da trovare per salvaguardare la nostra salute.

La Campania é la regione più giovane d’Italia. Rischia però di non esserlo più, perché le sciagurate politiche di questi anni hanno ridotto le nascite e aumentato l’emigrazione. 62 comuni su 100 in Campania sono senza asili nido, quasi un giovane su cinque si ferma alla terza media e circa un terzo dei giovani appartiene alla categoria dei NEET. La Regione Campania é quart’ultima per importo medio delle borse di studio e dodicesima per numero di posti alloggio offerti agli universitari. Il 60% degli edifici scolastici avrebbe bisogno di manutenzione eppure la Regione é tra le ultime in Italia per spesa nel settore.
Per invertire la rotta del decremento demografico, oltre a investire risorse ed energie sul lavoro, la salute e l’ambiente è necessario focalizzarsi sul potenziamento di tutto il percorso educativo, dalla prima infanzia fino agli studi post-universitari. Che cosa può fare la Regione?
Partendo dall’inizio, è necessario incrementare il ricorso ai fondi europei per potenziare l’offerta di asili nido. L’anno scorso la Regione Campania ha avuto accesso a 5,3 mln di euro di fondi PAC, ma sono evidentemente non sufficienti: occorre migliorare quantità e qualità dei progetti presentati per accedere a quote maggiori ed arrivare a coprire almeno il 30% della popolazione. Occorre non concentrarsi, come avviene oggi, esclusivamente sulle aree metropolitane, ma soprattutto su medi e piccoli centri, per fronteggiare la tendenza allo spopolamento.
La Regione Campania è agli ultimi posti in Italia per numero di scuole con sezioni a tempo pieno: gli alunni che frequentano per 40 ore settimanali sono appena il 18% del totale. Se questo non dipende dalla Regione, ma dal Governo centrale e dalla mancata determinazione dei LEP, è vero che la Regione può fare qualcosa in più delle petizioni al Governo: usare, ad esempio, i fondi europei per provare a dare sistematicità all’estensione del tempo scuola, spendendoli quindi diversamente da come si è fatto e si continua a fare col progetto ScuolaViva, una sorta di PON in minore che, al netto della serietà con cui, scuola per scuola, è stato attuato, ha tutti i caratteri deteriori di precarietà ed estemporaneità che lo rendono sostanzialmente poco utile.
Se le nostre studentesse e i nostri studenti potessero stare più tempo a scuola, dovrebbero stare attenti ai soffitti. In Campania, nel 2017, oltre il 60% degli edifici scolastici aveva bisogno di manutenzione urgente, eppure la Regione spendeva 3583 euro medi per edificio, contro i 17780 del dato nazionale. Per avere una misura ulteriore delle carenze non solo strutturali, ma anche di arredi, basti pensare che la Campania è, dopo la Calabria, la Regione che ha chiesto il maggior numero di banchi, per circa 70 alunni su 100, al commissario Arcuri: questo significa, evidentemente, che quasi il 70% dei banchi in dotazione alle scuole campane sono vecchi o vecchissimi.
I problemi non diminuiscono, anzi aumentano, dopo il diploma. La Regione Campania è tra le ultime in Italia per borse di studio erogate e per numero di posti letto per studente. I servizi mensa sono stati totalmente e volutamente smantellati negli anni, con grande spreco di denaro e risorse pubbliche; è totalmente assente un servizio di prestito libri, tutto ciò nonostante l’onerosità della tassa regionale sul diritto allo studio. Se non vogliamo che prosegua la fuga verso il nord dei diplomati campani, la Regione deve e può fare la sua parte migliorando drasticamente l’offerta relativa al diritto allo studio, aumentando il numero dei posti letto e delle borse erogate, ripristinando i servizi mensa, incentivando un controllo sul mercato degli affitti in nero alla popolazione studentesca.

Con i suoi 10,8 km di ferrovia per 100 km quadrati, senza contare le metropolitane, la Campania é la Regione italiana a maggior densità di strade ferrate. Un potenziale enorme in tempi come i nostri, devastati dall’inquinamento e dallo smog, specialmente intorno alle grandi agglomerazioni urbane. Purtroppo lo sciacallaggio delle varie amministrazioni regionali, che nei trasporti hanno visto solo uno strumento per arricchirsi, ci ha portato a dimenticare questo primato per guadagnarne altri, come il poco ambito titolo di linea peggiore d’Italia guadagnato dalla Circumvesuviana. Da anni non si assume personale stabile, non si rinnova il materiale viaggiante, non si fa la manutenzione ordinaria e sempre più tratte vengono dismesse. Le esternalizzazioni di attività connesse al servizio portano un peggioramento continuo, mentre i finanziamenti nazionali vengono distribuiti in modo assolutamente iniquo andando per un terzo solo a EAV e Trenitalia, con risultati quantomeno discutibili. Dilaga, in tutta la regione, il trasporto privato selvaggio, risposta “spontanea” e pericolosissima ai deficit delle società che gestiscono il TPL. È necessario un radicale cambio di rotta che parta proprio dalla Regione, la quale ha grosse responsabilità sul tema del trasporto pubblico. Noi proponiamo:
1. la costituzione di un’azienda regionale unica (ferro, gomma, sosta) con statuto di azienda speciale, sulla falsa riga dell’ABC di Napoli. Questo sarebbe il primo, necessario passo per scongiurare la privatizzazione strisciante in atto, in primis della gomma, e intraprendere un vero risanamento, finanziario e di servizio, puntando strategicamente sull’intermodalità;
2. nell’immediato, un piano straordinario per l’acquisto urgente di nuove motrici, carrozze, autobus per tutte le linee regionali e per l’assunzione di almeno 1000 giovani, anche con licenza media;
3. il ripristino di tutti i km di rete ferroviaria regionale con specifici accordi con RFI
4. la reinternalizzazione di tutti i servizi affidati a ditte esterne (pulizie, manutenzione, trazione, officine, etc), bandendo nuovi concorsi che prevedano le opportune valutazioni di titoli e servizio per il personale attualmente dipendente di ditte esterne o interinale;
5. incentivi al ricorso al trasporto pubblico attraverso campagne d’abbonamento in convenzione con le PP.AA., ripristino del biglietto unico per fasce chilometriche per tutta la rete regionale, tariffe agevolate per studenti, disoccupati e altre categorie deboli, incentivi alla interoperatività tra diversi mezzi di trasporto;
6. un finanziamento regionale aggiuntivo per coprire i costi del personale e delle infrastrutture
7. studio di fattibilità per rendere gratuito il trasporto pubblico locale, finanziandolo con la fiscalità generale, come avviene in molti paesi europei
8. studio di fattibilità per l’istituzione di linee di trasporto pubblico di merci e persone lungo la costa campana, per ridurre il traffico veicolare interno, specialmente al di fuori della rete autostradale;
9. incentivi per il passaggio ai veicoli elettrici, il car sharing, il bike sharing e le altre forme di condivisione del trasporto privato
10. la promozione, attraverso incentivi premiali ai comuni, della diffusione, in tutti i principali centri urbani della Regione, di estese “Zone 30 km/h”.

La Campania è storicamente, da molti secoli, luogo prediletto di villeggiatura e turismo per tutta l’Europa. Pensiamo a Tiberio e alla sua straordinaria villa a Capri, o alle decine di scrittori, intellettuali, poeti che ne hanno fatto meta privilegiata dei loro Grand Tour. Ancora oggi la nostra regione è scelta per le vacanze da circa 18 milioni di persone all’anno, in costante, leggero aumento.
Il dato non è certo merito dei nostri amministratori, bensì il risultato di un aumento complessivo dei visitatori delle grandi città europee, che nel loro insieme costituiscono ormai, da anni, la prima destinazione turistica al mondo.
Politici di destra e “sinistra” si riempiono la bocca di paroloni quando si parla di turismo (“la nuova industria del Paese”) senza capirne nulla, immaginando che sia una sorta di rendita che si autoalimenta, senza effetti negativi. Chi invece studia il fenomeno sa che gli effetti negativi del turismo di massa ci sono e non sono trascurabili, e che solo affrontandoli – con atteggiamento sistemico – è possibile ricavare benefici dall’afflusso turistico in termini economici, sociali, ambientali.
Quando pensiamo alle “esternalità negative” pensiamo alla diffusione capillare di alloggi per turisti in case private sottratte al mercato degli affitti di lungo periodo; al lavoro iperprecario, ipersfruttato, a grigio o a nero; alla sottrazione di interi spazi urbani alla vita quotidiana dei residenti (gentrification o meglio touristification); all’aumento delle sperequazioni sociali, a vantaggio delle rendite e del capitale e contro il lavoro dipendente.
Sulla base di queste evidenze e delle esperienze di città e regioni dove i movimenti di lotta hanno imposto provvedimenti alle amministrazioni (Barcellona, Londra), noi proponiamo una legge regionale che preveda:
• limiti nel tempo (non oltre 90 giorni all’anno), negli spazi (non più di una stanza per abitazione) e nella proprietà (non più di un alloggio per proprietario) la possibilità di fitti temporanei a turisti in case private
• una sospensione quinquennale per le licenze di apertura di nuovi b&b, pensioni e hotel nei centri storici delle città
• un accordo coi gestori di portali per la segnalazione di irregolarità relative a possesso, durata degli affitti, spazi fittati, aperture senza licenza
• l’istituzione di una tassa di soggiorno regionale, che integri quelle eventualmente già istituite, il cui ricavato serva a finanziare il fondo a tutela della morosità incolpevole degli inquilini
• la subordinazione della concessione di nuove licenze alla verifica della regolarità in materia di lavoro subordinato e la revoca delle stesse in caso di accertamenti positivi
• la promozione di un vasto sistema di agevolazioni e gratuità destinate ai residenti in Regione per la visita e la conoscenza del nostro straordinario patrimonio ambientale, artistico e culturale
• consistenti incentivi alla promozione dei siti secondari, ingiustamente trascurati, in un’ottica di valorizzazione complessiva della Regione, con particolare attenzione alle aree interne.

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