L’inizio della storia
Negli ultimi giorni abbiamo assistito ad uno spettacolo indecente. Lo ricapitoliamo per i distratti.
Salgono i contagi, come era ampiamente previsto dalla fine del primo lockdown. Ad Agosto il Ministero della Salute preparava dettagliatissimi piani per scenari di differente gravità: grazie alla incapacità, nullità, criminosità di chi ci governa si sta, ovviamente, realizzando uno degli scenari peggiori.
Le Regioni, spaventate dai numeri in crescita, non sanno che fare perché, dopo essersi riempiti la bocca di lanciafiamme a sud e di improbabili difese della migliore sanità italiana a nord, i nostri governatori si sono accorti che la pandemia non si combatte con le dirette Facebook. Lo sapevano già, in verità, ma avevano più a cuore la scadenza elettorale che la vita delle persone.
Non avendo fatto niente per mesi – niente per potenziare i trasporti, niente per trovare nuovi spazi per le scuole, niente per allestire per tempo nuovi reparti covid, niente per l’indagine epidemiologica e l’assistenza territoriale – decidono di rivolgersi al Governo con un’idea geniale: richiudiamo le scuole, rimandiamo gli studenti a casa davanti a un PC.
Neanche il tempo di dirlo che, giovedì, De Luca, con mossa tipica del personaggio, rompe gli indugi e, con un’ordinanza scritta in modo pedestre (si vede che alla Regione hanno poca confidenza con l’istruzione), chiude le scuole dell’infanzia, le primarie e le secondarie. Sono assenti gli asili, certamente non per una decisione esplicita ma per ignoranza di chi ha redatto il documento: i Comuni ad ogni modo interpretano estensivamente l’ordinanza e li chiudono, quindi restano scandalosamente aperti solo i privati.
L’ospite inatteso: la piazza
Lo sceriffo De Luca si accorge presto che forse, stavolta, l’ha fatta un po’ fuori dal vaso. Assemblee virtuali convocate la sera stessa dell’ordinanza indicono un partecipato presidio per il venerdì mattina, mentre il sabato si danno appuntamento i comitati di Priorità alla scuola e gruppi nati spontaneamente su Facebook che in breve raccolgono migliaia di persone, soprattutto genitori furibondi.
Una petizione lanciata su change.org in meno di 24 ore raggiunge 14000 sottoscrizioni. Il mondo della scuola esce apertamente allo scoperto, con i presidi che criticano il provvedimento, in particolare per il disprezzo che mostra di avere nei confronti degli sforzi fatti per tutelare studenti, docenti e personale ATA.
De Luca fiuta l’aria, e nella giornata di venerdì “chiarisce” che nidi e infanzia restano aperti, ma la protesta non sembra placarsi, anche perché sul piano nazionale si stanno prospettando diverse soluzioni (ingressi scaglionati e turnazioni nel primo ciclo, didattica a distanza solo per gli ultimi anni del secondo ciclo) che farebbero spiccare ancor di più, negativamente, l’improvvida decisione del governatore noto per dare sempre la colpa a qualcun altro.
Intanto chi è in piazza davanti alla Regione non può non notare che l’umore è cambiato e il problema non è solo la scuola, ma soprattutto la sopravvenuta consapevolezza del nulla fatto dalla Regione Campania – e da Regioni e Governo in generale – nei mesi scorsi per prepararsi alla prevedibilissima seconda ondata. Qualcuno in piazza cerca i ventilatori polmonari spariti, dati alla Campania e volatilizzati. Altri denunciano il persistente numero basso di tamponi, mentre altre Regioni come l’Emilia Romagna annunciano test molecolari gratuiti per docenti e studenti. Insomma il tanto vantato modello Campania, col ridotto numero di contagi nella prima ondata, si rivela per quello che era: un gran colpo di fortuna, e niente più.
Ad ogni modo, quali che siano le decisioni che Governo e Regioni prenderanno nei prossimi giorni, ci preme fare un passo indietro per mettere in evidenza alcuni elementi generali sulla base dei quali presentare alcuni punti fermi.
I barbari, la scuola e noi
Non ci ha scandalizzato il disprezzo mostrato per l’istruzione da Governo (che nulla ha fatto), Regioni (che vogliono chiuderle), De Luca (che le ha chiuse): alla banda di farabutti che ci governa non è mai interessato nulla della scuola. Ci sorprende piuttosto la pavloviana tendenza a chiudere cose a caso, senza sapere nemmeno se sia utile per il contenimento della pandemia, spinti solo dall’esigenza di nascondere il fatto che non hanno mosso un dito.
Le scuole quest’anno vivono in un caos se possibile peggiore degli anni precedenti, con una quantità incredibile di posti non ancora assegnati e studenti, docenti, personale ATA e DS lasciati allo sbando. Se non ci fossero i contagi e i morti in ballo, questa situazione farebbe ridere, ma noi non ne abbiamo più nessuna voglia.
Il nodo centrale sono i trasporti. Nessuno li ha potenziati, a nessun livello istituzionale, quindi in barba ai solenni limiti di capacità imposti si viaggia su carri bestiame, e lo si fa più lentamente, perché chi può si muove in macchina, e il traffico privato nelle grandi metropoli è considerevolmente aumentato. Nelle pensiline di una grande città italiana ci sono inviti a prendere la bici che, dato lo stato delle strade, sono inviti al suicidio. Siccome nessuno ha intenzione di mettere mano al portafogli per una cosa così poco interessante come garantire un trasporto pubblico sufficiente, sicuro e dignitoso per tutti, piuttosto che aumentare i mezzi si preferisce ridurre il numero dei passeggeri.
Studenti? A casa! Lavoratori? A casa (chi può farlo, e comunque senza copertura contrattuale e senza una vera riflessione sulle implicazioni di quello che impropriamente chiamano smart working).
Noi – studenti, insegnanti, personale ATA – nelle scuole ci stiamo andando tutti i giorni (finché ce lo consentono).
Misuriamo il nulla fatto da chi ci governa ad ogni livello, ma anche il grande impegno di tutti i protagonisti di questo mondo, che cercano di tutelarlo ad ogni costo: gli studenti rispettando oltre ogni immaginazione le regole imposte, docenti e ATA andando ben al di là dei loro obblighi e delle loro competenze per strappare un giorno di scuola in più ad un lockdown che sembra essere sempre più inevitabile.
Abbiamo scritto “giorno di scuola” e non “giorno di attività didattiche in presenza” perché per noi al di fuori di quello spazio, e dentro allo schermo di un PC o di un cellulare non c’è scuola, non c’è istruzione, non c’è formazione di coscienza civile; c’è paura, c’è isolamento, c’è depressione, c’è rabbia autodistruttrice.
Oggi le scuole non sono luoghi sicuri al 100% rispetto al virus (del resto quale luogo lo è?); possiamo però dire che sono, nonostante tutto, e alle misere condizioni offerte dai miserabili al potere, tra i posti più sicuri che ci siano. Meglio ancora, sicuramente non sono più rischiosi di fabbriche e centri commerciali, luoghi che ad oggi restano aperti.
Le scuole sono, forse, un briciolo più tutelate e tutelanti di altri posti perché all’interno di quegli spazi si rispettano regole più rigide di ogni altra regola esistente fuori; lo sono perché gli attori coinvolti, tra mille paure, vanno avanti senza cedere di un millimetro; lo sono nonostante la situazione disastrosa accumulata nei decenni.
Non solo: se chi ci governa si impegnasse a garantire condizioni di sempre maggiore sicurezza nelle scuole, accompagnate dal riferimento di un medico per ogni scuola, le istituzioni scolastiche, con la loro capillarità sul territorio, sarebbero uno strumento formidabile di monitoraggio e controllo della diffusione dell’epidemia.
Già nel breve lasso di tempo dalla loro riapertura hanno contribuito notevolmente al rilevamento dei nuovi casi e al tracciamento dei contatti: una chiusura non meditata, come quella in Campania, non in un contesto di lockdown generalizzato, priva le autorità sanitarie di un’importante mezzo di tracciamento dei positivi e dei contatti.
Non vogliamo arrenderci all’ineluttabilità di una nuova chiusura; possiamo ancora fare tanto per continuare ad occupare quello spazio e non chiuderci di nuovo in casa come vorrebbero i farabutti che ci governano. Dobbiamo pretendere che, se si deve arrivare a chiudere le scuole, ciò avvenga solo dopo che è stata esperita ogni possibile alternativa.
Dobbiamo lottare per imporre:
- un numero consistente di nuove assunzioni, per dividere i gruppi classe e organizzare la didattica in presenza per turni
- la requisizione di tutti gli immobili, pubblici o privati, idonei allo svolgimento di attività scolastiche, nonché il rapido riadattamento di edifici attualmente non idonei
- l’assunzione di un medico per ogni scuola e la messa in opera di un piano di screening periodico della popolazione scolastica: le scuole, con la loro capillarità, da falso problema possono diventare una vera risorsa per l’indagine epidemiologica e la lotta al virus
- la fornitura vera di dispositivi di protezione e termoscanner a tutti gli istituti
- il potenziamento reale del trasporto pubblico in generale e scolastico in particolare, anche attraverso la requisizione dei mezzi di trasporto delle società private
- la formalizzazione che la didattica a distanza può essere solo una extrema ratio alla quale sarà possibile non ricorrere se si metteranno a punto queste misure.
A scuola si impara a combattere le paure. Si impara a combattere le battaglie, a perderle, a vincerle.
A scuola si impara la difficile arte della convivenza e del compromesso e si apprende giorno dopo giorno, passo dopo passo, che siamo qualcosa di più di una somma di individui. Una irriducibilità, il nostro essere societas, che non sarà sconfitta dal virus, né tantomeno dalla confraternita di imbecilli al potere.