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La cultura non viene (mai) dopo. Il reddito di quarantena è l’unica cura

L’ emergenza sanitaria causata dall’ espandersi del contagio del Covid 19, e le conseguenti misure prese dal governo per il contenimento del contagio, hanno messo in ginocchio anche un settore che già prima era in grande sofferenza.

Il settore dello Spettacolo e della Cultura si è visto sempre di più impoverire e depauperare di fondi e finanziamenti che hanno portato le lavoratrici e i lavoratori del comparto a lavorare, e vivere, in una convivenza non consensuale con il precariato. Molteplici sono infatti i contratti, al limite della legalità, con cui le centinaia di migliaia di persone che lavorano nell’ambito      ( l’intero comparto registra circa un’ occupazione di 1,5 milioni di addetti)  si sono visti costretti ad accettare; tali contratti, uniti ad un totale disinteresse dello Stato nei confronti di un’ intera classe lavoratrice, hanno fatto sì che che migliaia di lavoratrici e lavoratori rimanessero sguarniti di qualsiasi ti po di welfare sociale.

I primi provvedimenti presi per contrastare il contagio del Corona Virus, antecedenti alla chiusura delle attività ritenute non essenziali, sono stati la chiusura dei Teatri, dei Cinema, dei Musei; e il divieto di qualsiasi tipo di manifestazione pubblica o privata. Inutile dire che tale misura era necessaria, ma ciò ha causato il blocco totale del settore non solo nel periodo cosiddetto di “quarantena”, ma anche la programmazione per i mesi a venire.

È adesso, in questa situazione di grave emergenza, che tutti i nodi di un sistema malato vengono al pettine.

Il Decreto Cura Italia, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 17 marzo 2020, dimostra quanto chi legifera non conosce il settore della Cultura e dello Spettacolo. Da differenti inchieste trasversali (una fra tutte quella della Fondazione Di Vittorio) emerge come circa il 50 per cento delle lavoratrici e lavoratori del settore guadagni meno di 5000 euro all’ anno. È noto come molti di loro lavorino con contratti a progetto, a ritenuta d’acconto, a rimborso spese. È impensabile e inaccettabile che a pagare di più il prezzo di questa crisi siano proprio quelle persone che già nella “vita normale” erano economicamente e contrattualmente svantaggiati, precari, quelli che sono costretti a vivere e lavorare in una zona grigia.

Troviamo che le misure economico-assistenziali messe in campo con il decreto siano del tutto inefficaci e non sufficienti (600 euro per i lavoratori dello spettacolo che hanno accumulato almeno 30 giornate contributive nel 2019, e 600 euro una tantum per le partite iva). Se davvero si conoscesse questo mondo si saprebbe che così vengono lasciate fuori molte persone che hanno visto svanire i propri guadagni non solo per il mese di marzo ma anche per quelli a seguire, senza avere una minima garanzia su quando e come riusciranno a ricominciare a lavorare o, a questo punto, a cercare un lavoro.

Non troviamo altresì sufficiente, anzi troviamo dannosa, l’introduzione istituzionalizzata della cassa integrazione per i comparti artistici delle Fondazioni Lirico Sinfoniche. Dannosa e pericolosa alla luce dei precedenti interventi ministeriali, nati come emergenze e trasformatesi nel tempo in provvedimenti permanenti che hanno contribuito alla costante erosione dei diritti dei lavoratori, così da ottenere un costante livellamento verso il basso.

Chiediamo al Governo che in questo momento di crisi nessuna e nessuno venga lasciato indietro.

Chiediamo che per tutte le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo e della cultura venga istituto un reddito di quarantena, senza vincoli minimi per potervi accedere, che duri per tutto il perdurare della crisi epidemiologica e del settore.

Potere al Popolo! Cultura e Spettacolo

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