Il 1 maggio le autorità venezuelane hanno dato notizia di una sventata incursione via mare da parte di mercenari su varie imbarcazioni. Otto mercenari sono stati neutralizzati, due sono stati catturati dalla Forza Armata Nazionale Bolivariana e dai reparti speciali del FAES della Polizia Nazionale Bolivariana. Due imbarcazioni, sei pick-up armati con mitragliatici, più un notevole quantitativo di armi da guerra, sistemi di comunicazione e geo-posizionamento, sono stati sequestrati. Da dove è partita l’incursione fallita lo dimostrano i GPS delle imbarcazioni catturate: dalla Colombia, il più grande produttore di cocaina al mondo (il più grande consumatore, per chi non lo sapesse, sono gli Stati Uniti). In Venezuela è stato dichiarato lo “stato di allerta e resistenza permanente”.
Successivamente altri due gruppi di mercenari sono stati bloccati dalle autorità bolivariane. La possibile presenza di altri gruppi – non ancora individuati – dovrebbe suscitare il ripudio da parte della comunità internazionale che, invece, rimane silente. O, laddove prende parola, spesso lo fa per insinuare dubbi. I titoli dei giornali italiani di questi giorni sono eloquenti. I “dicunt” si sprecano, mettendo così in discussione la versione venezuelana e avallando, al contrario, quella di Washington, che ha subito accusato Caracas di inventare tutto di sana pianta.
I fatti di questi giorni non vanno però considerati come episodi scollegati dal contesto più complessivo. Fanno parte di una trama ben più ampia e che non è partita il primo maggio. Tra la fine di marzo e i primi giorni di aprile, infatti, si è sviluppata una accelerazione preoccupante, nel quadro dell’aggressione permanente da parte del governo degli Stati Uniti contro la rivoluzione Bolivariana. I due episodi centrali di questa escalation sono stati l’imposizione, da parte dell’amministrazione Trump, di una taglia di quindici milioni di dollari sulla testa del presidente Nicolás Maduro e di dieci milioni su quella di altri ministri e dirigenti rivoluzionari. Quest’azione e stata accompagnata dalle solite dichiarazioni tanto roboanti, quanto menzognere, sulla presunta natura narcoterrorista dello stato venezuelano. Dello stesso tenore, con le stesse accuse e le stesse menzogne, si sono aggiunte altre dichiarazioni del governo degli Stati Uniti contro Cuba. Poco conta che ex alti funzionari delle Nazioni Unite come Pino Arlacchi, che ha diretto per anni l’agenzia per la lotta contro il narcotraffico dell’ONU, abbia definito queste accuse delle sfacciate falsità senza alcun fondamento. Meno ancora conta che la stessa DEA statunitense smentisca nel suo rapporto informativo annuale, le accuse di narcotraffico di Trump e dei suoi alti papaveri contro il Venezuela e Cuba.
Avendo spianato la strada con la guerra informativa e il bombardamento di menzogne, per preparare l’opinione interna e internazionale, nonché i governi servili alleati – latinoamericani e dell’Unione Europea – sopraggiunge a quel punto la seconda mossa. Il primo aprile una intera squadra navale comandata da una portaerei, quindi con la presenza di sottomarini di scorta, composta da incrociatori e navi da sbarco con a bordo truppe speciali, ha iniziato un’operazione al largo delle coste del Venezuela e non lontano da quelle di Cuba.
In questo contesto l’editoriale di qualche giorno fa di “La Tizza”, testata online di un collettivo di giovani militanti e ricercatori cubani, preparati, acuti e brillanti; analizzando il quadro in movimento e i suoi potenziali scenari a venire, traccia per i rivoluzionari un possibile piano d’azione per il futuro. Crediamo che, al di là della condivisione di tutti i passaggi, il merito stia soprattutto nello stimolare la riflessione e l’organizzazione per far sì che la crisi non sia semplicemente subita, ma che possa essere occasione per i popoli del mondo di un processo di emancipazione.
L’editoriale s’intitola: “Quell’altro interferone: i fucili!”, come avevamo detto, tutto un programma.
Buona lettura!
Quell’altro interferone: i fucili!
Traduzione dall’originale, presente su: https://medium.com/la-tiza/los-fusiles-ese-otro-interfer%C3%B3n-1b53890eb072
La situazione attuale in America Latina dimostra che la pace non sarà il risultato di dichiarazioni “di alto livello”, accordi o patti, ma dell’avanzamento della lotta contro l’imperialismo e del risoluto annichilimento dell’opposizione locale ai processi rivoluzionari.
Che nessuno si confonda! Nelle condizioni in cui si articola il capitalismo mondiale non è possibile che quell’opposizione sia “autoctona”, “indipendente” o “nazionale”. I tentativi di utilizzare lo Stato per “educare” le classi dominanti, “convincerle” a pagare imposte più alte sui profitti, “regolare” gli strumenti di socializzazione – non solo di comunicazione – della loro ideologia e “rendere compatibili” i loro interessi con le esigenze popolari, hanno fallito.
La pace borghese è andata a colpire in modo metodico e preciso la vita dei leader politici e sociali. La Colombia è un buon esempio. La richiesta di coloro che hanno smobilitato[1] affinché si assumessero strumenti di arbitrato che bilanciassero i rapporti di forza, ha rafforzato soltanto una fiducia strumentale e suicida nello Stato.
Ma la memoria non si può chiudere in un museo. Lo hanno dimostrato gli adolescenti cileni che hanno scatenato le recenti proteste con quella parola d’ordine che ha saputo distinguere così bene tra 30 pesos e 30 anni. La paura è meno ereditaria di quanto immaginavamo.
I fattori scatenanti di un’invasione del Venezuela da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati si stanno consolidando:
1- La necessità di una soluzione bellica per fattori di politica interna
La gestione interna della crisi del coronavirus è stata un disastro. Hanno superato il record delle morti giornaliere a causa della malattia. Nell’anno delle elezioni l’immagine di Donald Trump si deteriora in modo inevitabile. L’alterigia iniziale per la minaccia della malattia e i risultati della “sua strategia” fanno peggiorare la situazione di giorno in giorno. Il sistema sanitario è sull’orlo del collasso, non solo i presunti “successi economici” dell’era di Trump – per quelli che hanno confidato nel suo quasi sicuro trionfo elettorale – minacciano di sparire nelle prossime settimane, ma l’intero sistema economico e produttivo va verso uno shock che potrebbe diventare irreparabile a confronto dei suoi avversari più importanti nella battaglia per l’egemonia tra le principali potenze.
La guerra petrolifera tra Russia e Arabia Saudita ha portato il settore energetico quasi al fallimento. La mobilitazione del complesso industriale e militare insieme all’appropriazione delle ricchezze naturali uniche del Venezuela è una delle zattere di salvataggio dell’imperialismo yankee.
2- La dominazione degli attori alleati e il loro appoggio
La Comunità Europea ha appoggiato la soluzione per una “transizione democratica” in Venezuela ma la crisi sanitaria frena le sue possibilità di protagonismo di fronte alle aspirazioni interventiste degli Stati Uniti. Paesi come Inghilterra, Germania e Francia possono comunque trarre vantaggio dalla nuova distribuzione di risorse naturali a livello mondiale.
3- Il controllo sulla regione dove si svilupperanno le operazioni e un rapporto di forza favorevole
La funzione golpista dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) si è rafforzata. Luis Almagro è stato confermato e lui esprime la continuità della storica posizione dominante nordamericana sull’organizzazione. La Comunità degli Stati Latinoamericani e del Caribe (CELAC) soffre d’impotenza ed è caduta in disuso; Messico e Argentina hanno potuto fare poco o niente per ridarle vita. L’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America – Trattato di Commercio dei Popoli (ALBA-TCP) è stata molto danneggiata dal colpo di Stato militare in Bolivia, un fatto che consolidandosi nel tempo ha permesso agli Stati Uniti di eliminare un attore politico regionale importante contro la sua dominazione. Brasile e Colombia sono alleati incondizionati. Lula è uscito di prigione ma questo non ha comportato un aumento evidente del potenziale di resistenza del popolo. In Uruguay è tornata la destra, e la politica tradizionale di fare un governo di coalizione con l’opposizione ha neutralizzato il Frente Amplio.
4- L’instaurazione di posizioni dominanti nell’opinione pubblica internazionale
Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno consolidato la visione per cui “il Venezuela è governato da una dittatura”. Nicolás Maduro è un terribile “dittatore” e ha più relazioni con il narcotraffico che la classe politica dominante della Colombia e degli Stati Uniti messi insieme, rispettivamente maggior produttore e maggior consumatore.
5- Il controllo sul terreno delle operazioni
Il blocco aeronavale prodotto nelle ultime ore, stabilisce un controllo totale sul Pacifico e il Mar dei Caraibi e taglia al Venezuela i legami con i suoi fratelli. In questo modo Cuba si trova circondata per poter inviare aiuti. Al Venezuela non resterà altro rimedio che ingaggiare la propria Playa Girón, insieme a tutti e tutte i rivoluzionari e le rivoluzionarie e internazionaliste dell’America Latina che accorreranno in difesa del chavismo.
Se l’aggressione imperialista arrivasse a verificarsi
Gli Stati Uniti cercano di fare in modo che il fattore di divisione e logoramento interno oltrepassi le possibilità di coesione ed efficacia delle forze bolivariane. Questo permetterebbe loro di accelerare il tanto desiderato ammutinamento militare capeggiato da “attori civili” con il lasciapassare di Juan Guaidó o chiunque altro che possa avere la funzione di ponte per la transizione. Gli Stati Uniti preferirebbero un “epilogo interno” che appaia democratico e finisca con il governo rivoluzionario bolivariano arrestato o braccato.
Se arrivasse a verificarsi l’aggressione al Venezuela, noi come popoli dovremo trasformare questo scenario in una possibilità per “attaccare internamente”.
Dato il blocco delle sue frontiere terrestri e marittime, la solidarietà internazionalista con la rivoluzione bolivariana deve concentrarsi sullo scardinamento dei governi filostatunitensi della regione, che saranno concentrati nel prestare tutto l’aiuto possibile agli imperialisti.
Gli effetti psicologici del coronavirus e la relativa distrazione dalle questioni nazionali prodotta dall’invasione del Venezuela configureranno un contesto favorevole per l’assalto al potere tramite azioni molteplici e simultanee, ma anche organizzate e agili. Per fronteggiare queste azioni, le destre al governo avranno a disposizione un minor aiuto da parte degli Stati Uniti, immersi come saranno nel tentare di spezzare la resistenza del chavismo.
Brasile, Colombia, Ecuador, Bolivia, Cile, Uruguay, El Salvador, Guatemala, Honduras, Peru, possono trasformarsi in una curva ascendente di un altro tipo di “contagio”.
Davanti al riformismo glorificato in molti movimenti sociali, la perdita di orizzonte politico e di valore di alcuni loro dirigenti e la fede, scollata dall’analisi storica e concreta, nelle “vie legali”, saranno positive le scissioni tendenti alla radicalità e a una rifondazione di questi movimenti. La riattivazione di una parte delle FARC in Colombia ce ne fornisce una prova.
Per Cuba, si apre l’altra necessità di superare gli energici appelli diplomatici alla comunità mondiale. L’ONU è, in ultima istanza, complice dei dominatori. Le “nazioni unite” che si dissimulano con questa sigla a partire dalla Seconda guerra mondiale, sono le nazioni del capitale. “Unite e complici sarebbe il modo migliore per espropriare”, è il messaggio di fondo del loro “multilateralismo”. Però la competizione tra potenze come Russia, Cina e Stati Uniti per l’egemonia mondiale farà naufragare anche questa “buona volontà”.
Scambiare sul mercato mondiale interferone per fucili potrebbe essere un altro contributo di Cuba all’avanzamento della liberazione dell’America Latina.
[1] Ci si riferisce in particolare agli ex membri delle F.A.R.C. E.P. Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia Esercito del Popolo che stanno venendo sterminati da paramilitri ed esercito colombiano. All’incirca 170 ex membri della guerriglia sono stati uccisi dalla firma degli accordi di pace sino a oggi. (ndt).