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[VENETO] LE NOSTRE PROPOSTE PER LA SANITA’

Martedì 28 aprile Luca Zaia si è vantato sui social di aver stanziato 61 milioni di euro di “concreta gratitudine” per i lavoratori e le lavoratrici della sanità, come premio per il loro impegno durante l’emergenza.

Il post su Facebook era dedicato “ai nostri eroi”, con la stessa retorica che è stata usata in questi due mesi nei confronti del personale medico e sanitario impegnato a contrastare il coronavirus negli ospedali della regione. Il problema è che chiamare una persona eroe non vuol dire solo esprimere la giusta gratitudine nei suoi confronti, o l’ammirazione per il lavoro che ha svolto: vuol dire anche dimenticarsi che appunto di lavoro si tratta. Un lavoro che, come tutti, può essere rischioso, mal retribuito, con un contratto a tempo determinato, oppure che non prevede le ore di straordinario a cui si è costretti e che potrebbe invece essere svolto in sicurezza, con la giusta retribuzione, con un contratto sicuro e senza bisogno di turni massacranti perché il turn over e le assunzioni funzionano come dovrebbero. Insomma, sono le condizioni di lavoro che costringono i medici a essere eroi, e non una pandemia imprevista.

Ora, come siano da utilizzare quei 61 milioni non è ancora del tutto chiaro, e neppure a chi andranno e in quali proporzioni: ci limitiamo solo a rilevare che, se verranno intesi come un “premio” rivolto al personale sanitario veneto, si tratterà di dividerli tra circa 55.000 lavoratori e lavoratrici del comparto e 15.000 dirigenti medici. A occhio e croce poco più di 800 euro a testa, che certo non sono da buttare via, ma che sono ben lontani dal colmare i buchi lasciati da anni di tagli, mancate assunzioni e via dicendo.

Se le autorità regionali volessero davvero dimostrare concretamente la loro – e nostra – gratitudine nei confronti del personale sanitario, potrebbero fare ben altro. E non stiamo parlando della Luna: ci sono alcune cose che si possono fare subito, alcuni provvedimenti che possono essere presi proprio a partire dalla situazione che si è creata in questi mesi.

  •  Non chiudiamo gli ospedali riaperti. A marzo in pochi giorni sono stati riaperti gli ospedali di Valdobbiadene, Monselice, Zevio, Bussolengo e Isola della Scala, chiusi negli ultimi anni in nome di una centralizzazione del servizio sanitario regionale e di tagli alle risorse disponibili. Sono tutti presidi sanitari di provincia, il cui abbandono aveva causato disagi alla popolazione e allo stesso personale sanitario, costretto a convergere su strutture più distanti e più complesse da gestire. Perché chiuderli nuovamente, una volta che è stata dimostrata (di nuovo) la loro utilità?
  •  Stabilizziamo le assunzioni fatte durante l’emergenza. Secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute il 17 aprile, sono 912 le lavoratrici e i lavoratori assunti tra marzo e aprile grazie alle misure previste dal decreto Cura Italia di marzo. Molte di queste assunzioni sono state fatte con contratti a tempo determinato o di collaborazione autonoma destinati a scadere in pochi mesi. Tutte queste assunzioni devono essere stabilizzate, rendendo a tempo indeterminato tutti i contratti fatti finora e tutti quelli che verranno firmati in base alle misure analoghe contenute nel decreto Cura Italia di aprile.
  • Diamo una giusta retribuzione al personale sanitario. Utilizziamo i 61 milioni promessi da Zaia per qualcosa di più duraturo: il concetto di bonus è legato alla straordinarietà, ma i lavoratori e le lavoratrici della sanità sono sempre seri professionisti. Perché non destinare quei soldi ai fondi per il passaggio di fascia, affinché tutto il personale sanitario possa godere di uno scatto di anzianità e dell’adeguamento salariale che ne deriva? 800 euro una tantum spariscono in fretta dalle tasche, mentre un aumento in busta paga (e il conseguente contributivo per la pensione) rimangono.

Questi due mesi di emergenza hanno obbligato tutt*, a tutti i livelli, a prendere decisioni inedite: ma né lo Stato né la nostra regione hanno fatto miracoli. Semplicemente, gli ospedali aperti sono quelli che erano stati chiusi gli anni scorsi, il personale sanitario assunto è quello che era stato perso tra blocco del turn over e numero insufficiente di borse di specializzazione, i soldi che ora promettono sono il minimo che spetta a dei professionisti perché la loro retribuzione sia adeguata rispetto al lavoro che fanno sempre.

L’emergenza sanitaria non scomparirà con la fase 2: sta a noi farla sparire.

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