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[NAPOLI] Lettera di una stagionale aeroportuale: siamo lavoratrici e lavoratori, non codici!

A leggere la lettera che ci ha inviato Giulia, lavoratrice stagionale aeroportuale, vengono alla mente mille domande. Per chi non conosce il meccanismo di funzionamento del settore, sono riassumibili in un unico grande punto interrogativo: com’è possibile?
Sì, perché com’è possibile che si accetti che migliaia di lavoratrici e lavoratori da anni e anni vengano assunti sempre dalla stessa società, sempre con le stesse mansioni, sempre per lo stesso periodo, e non si arrivi praticamente mai alla stabilizzazione? Com’è possibile che si rimanga appesi a un filo a vita?
E, ancora: com’è possibile che queste migliaia di donne e uomini siano state “dimenticate” dal Governo e dalle istituzioni locali? Eppure Giulia e i colleghi e le colleghe formalmente un contratto ce l’avevano, un impiego formale, non l’inferno del lavoro nero. Non è bastato: fino a poche settimane fa sono stati invisibili. Per due lunghissimi mesi. Sparite/i dai radar della politica istituzionale.
E, infine: com’è possibile che ci siano storture come quelle che racconta Giulia, che non avrà accesso nemmeno ora agli ammortizzatori sociali, per via di una miopia di chi non conosce il funzionamento delle nostre vite e si appella solo a codici, codicilli e comma vari?
Le parole di Giulia ci restituiscono uno spaccato che è venuto alla luce solo grazie alla determinazione sua e di chi, come lei, non ha accettato di sparire in un cono d’ombra. Anzi, si è reso conto – in piena pandemia – di esserci in parte già cascato, trascinato dal mondo del lavoro per come è stato costruito negli ultimi 30 anni, quando Giulia cominciava a muovere i primi passi, non ancora lavorativi, ma proprio di vita. Precarietà, frammentazione dei lavoratori, mille forme contrattuali tutte diverse: poi, però, sul lavoro le mansioni quelle sono e si sta fianco a fianco, giorno dopo giorno, notte dopo notte, straordinario dopo straordinario, con colleghe e colleghi con cui condividi la fatica, ma non il contratto. Una divisione accettata o subita, ma che ha reso più fragili gli uni e gli altri. Una divisione che non si supererà solo a parole, ma con progetti capaci di individuare prospettive comuni, capaci di superare pregiudizi che si sono andati radicando, di indicare e nominare il nemico, che non può mai essere chi ha sgobbato accanto a te per anni.
Leggete le parole di Giulia, il suo stupore nel disvelamento della propria condizione, nello strappare il velo che occultava quanto marcia fosse la “normalità” cui pure ci eravamo abituati. Leggete le parole, perché non ci troverete fatalismo né rassegnazione. Giulia non si è arresa, è andata alla radice del problema. Ha cominciato a organizzarsi con colleghe e colleghi. E davanti a chi predica l’impossibilità di qualsiasi cambiamento, hanno già ottenuto risultati piccoli ma preziosi, perché prova che “si può fare”, che il futuro non è fatto per chi vuole spargere ceneri e sconfitte.
Grazie Giulia!

Mi chiamo Giulia, anni 31, da quattro anni lavoratrice stagionale aeroportuale presso Napoli Capodichino. Faccio un lavoro che amo, e che oggi, in piena crisi del settore, mi auguro di poter ancora fare. Sono una lavoratrice in servizio per circa metà anno, da aprile a ottobre, che puntualmente a contratto finito, si fionda nella consueta e familiare richiesta di Naspi, con tutti i tempi di lavorazione ed erogazione tipici dell’Inps. Il tutto nell’attesa che aprile arrivi presto, per tornare a trascorrere una nuova summer a lavoro, entusiasta come lo sarebbe un classico lavoratore che, alla fine di un anno di lavoro, finalmente programma la propria vacanza.

Lo scorso marzo ho realizzato che quest’anno tutto sarebbe stato diverso. Ho vissuto la crisi da pandemia, la crisi da lavoro perso, e ho vissuto assieme ai miei colleghi il dramma di ritrovarmi invisibile agli occhi di chi concepiva il decreto Cura Italia. Ho così combattuto la battaglia per ottenere l’inclusione dei Lavoratori Stagionali Aeroportuali tra le categorie danneggiate dall’emergenza Covid-19. Oggi, dopo mesi trascorsi a scrivere, prendere contatti e organizzare confronti, a studiare contratti e decreti, festeggio la vittoria dell’inclusione della categoria nel Decreto Rilancio, ma combatto l’ennesima battaglia di questa profonda crisi, quella legata al rischio paradossale ma concreto di restare ancora una volta, per qualche assurda e ingiustificabile ragione, fuori dagli aiuti previsti dal Decreto Rilancio.

Sì, perché per quanto ami profondamente il mio lavoro, ho sempre cercato di non arrendermi alla precarietà che esso ha sin da subito significato. Non mi sono mai negata la possibilità di trovare un’alternativa alla precarietà dai tempi biblici che attanaglia il settore del Trasporto Aereo. Ho sempre attivamente cercato possibilità diverse, che mi assicurassero la stabilità che sogno. E così, lo scorso autunno, al termine del consueto contratto stagionale presso l’aeroporto di Napoli, mi sono messa alla ricerca di una nuova occupazione, tentando un’alternativa seppur temporanea altrove, forte della convinzione che sia sempre meglio fare piuttosto che evitare di fare, che sia sempre più apprezzabile mobilitarsi piuttosto che starsene fermi, anche se questo avesse dovuto significare rimetterci in tanti sensi. Tuttavia, dopo un solo giorno di lavoro in prova, ho deciso di non proseguire quell’esperienza di lavoro. Mai avrei immaginato che quell’unico giorno in prova potesse oggi rappresentare per qualcuno il motivo per negarmi il diritto di beneficiare del bonus concepito per i lavoratori stagionali. E’ palese che io sia una lavoratrice stagionale. Lo sono da ormai quattro anni, e un giorno di lavoro in prova con un contratto non stagionale non ha di certo cambiato la mia condizione. Non mi sono di certo arricchita. Né il mio passato è per magia cancellato. Eppure, le logiche di erogazione del bonus destinato ai lavoratori stagionali, sulla base di quanto accaduto per il decreto Cura Italia, parlano chiaro: coloro che sono stati titolari di un rapporto di lavoro stagionale nel periodo indicato, ma disgraziatamente si ritrovano sul profilo Inps un ultimo contratto di lavoro, seppure di durata brevissima, registrato come “non stagionale”, con un solo click sono stati automaticamente fatti fuori, ritrovandosi rigettata dall’Inps la richiesta del bonus.

I documenti che si sono susseguiti in questi mesi sono affollati di codici, sigle. Il Decreto Rilancio sembra più ostico del Cura Italia. La differenza la fanno ancora una volta i codici ateco, i flussi uniemens, i flussi unilav. Gli intervalli di tempo in cui il lavoratore stagionale deve avere la fortuna di rientrare e così i mesi, i giorni che rimbalzano avanti e dietro come numeri al lotto, oggi lo includono, domani lo escludono. Giorno più, giorno meno. Combinazioni. Se ieri si rientrava almeno nella possibilità di prolungare la Naspi per ulteriori due mesi, oggi si resta fuori anche da quella, perché l’intervallo di tempo per il termine di fruizione della Naspi è magicamente slittato. Il bonus diventa questione di fortuna o di sfortuna. Se ti coglie, allora, con una certa dose di abilità, sopravvivrai. Perché poi diciamocelo, di sopravvivenza si tratta. Nessuno di chi percepirà questo bonus si arricchirà.

Dietro questa realtà, oggi intravedo tante occasioni per escludere, tagliare, risparmiare. Approssimazione e ambiguità legati a codici ateco e a errori di registrazione dei datori di lavoro non fanno che confondere acque che sarebbero chiarissime se si semplificassero un po’ le cose, se si considerassero i lavoratori per quelli che effettivamente sono e per le condizioni in cui oggi effettivamente versano, per le prospettive che oggi hanno.
Chi si occupa di lavoro, di ammortizzatori, di tutela dei più fragili, ha costruito su questi strumenti la sopravvivenza di lavoratori e famiglie. Nessuno si è preso la briga di vedere dietro quel codice, quella data, quella sigla, chi ci sia e che storia lavorativa abbia, e se abbia effettivamente, al di là di ognuna di queste variabili, bisogno di aiuto. Dopo mesi di lotta, oggi inizio ad avvertire la stanchezza, ma faccio ancora appello agli addetti ai lavori affinché si avvalgano dei tecnicismi della materia, ma non tralascino l’antico e intramontabile buonsenso, quando toccano le vite delle persone.

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