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Cooperazione internazionale: No ai migranti a casa nostra, si alle imprese a casa loro?

Dopo 29 mesi di attesa, lunedì 20 luglio il Ministro degli esteri Luigi Di Maio ha riunito in videoconferenza il Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo sviluppo (Cncs). La sua precedente e unica convocazione risaliva al 28 febbraio 2018, quando alla Farnesina c’era Angelino Alfano ormai felice presidente del Polo ospedaliero San Donato. Il Cncs, istituito dalla legge 125/2014, avrebbe dovuto tenersi almeno una volta all’anno ed essere lo strumento di partecipazione e proposta di attori privati e pubblici sulle materie attinenti alla cooperazione, esprimendosi in particolare “sulla coerenza delle scelte politiche, sulle strategie, le linee di indirizzo, la programmazione, le forme di intervento, la loro efficacia, la valutazione delle stesse”[1].

Il ritardo accumulato, evidente anche nell’ordine del giorno che ha previsto la discussione del Documento triennale di programmazione 2019-21, quando si sarebbe ormai dovuto discutere del prossimo triennio, non è in realtà il vero problema. La cooperazione italiana è, infatti, al palo, ma la direzione verso cui tende risulta evidente. I finanziamenti all’Aiuto pubblico allo sviluppo sono in calo in Italia dal 2017 (0,30% del Rnl, ora 0,20%) e l’obiettivo dello 0,7% fissato in sede internazionale resta un lontano miraggio. Inoltre i pochi fondi a disposizione continuano ad essere allocati in modo improprio e poco trasparente. Si mettono infatti insieme le doverose e insufficienti risorse per l’accoglienza migranti gestite dal Ministero degli interni[2] a quelle della cooperazione allo sviluppo e si utilizzano i fondi che dovrebbero affrontare le cause profonde della migrazione per esternalizzare le frontiere.

Dal 2016 anche il Ministero degli interni pubblica bandi di cooperazione internazionale sul tema di immigrazione e asilo e quello degli esteri tramite l’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo (Aics) ne presenta altri ad uso esclusivo di imprese e società a scopo di lucro. Di Maio, quello che definiva le ong “taxi del mare”, ha trasferito il settore dell’internazionalizzazione delle imprese italiane (diffusione del Made in Italy) al Ministero degli esteri, spiegando che “l’attività di internazionalizzazione è strettamente legata a quella di cooperazione allo sviluppo (CPS) e, in tal senso, il Governo considera essenziale assicurare il percorso virtuoso di riallineamento della CPS italiana agli standard internazionali in materia (…)”[3].

Nel 2017, in parallelo all’Accordo Italia-Libia, l’Aics propone alle ong italiane 3 “bandi della vergogna”[4] per un valore di 6 milioni di euro finalizzati al miglioramento delle condizioni dei centri di detenzione libici. In realtà, come denuncia l’Asgi (Associazione per gli Studi giuridici sull’immigrazione), in tale contesto i centri non sono significativamente migliorabili e l’intervento delle ong si inserisce pericolosamente nel contesto del progetto di esternalizzazione delle frontiere, contribuendo a perpetrare un sistema detentivo che sarebbe esclusivamente da smantellare.[5] L’intervento di cooperazione italiano, tra l’altro, non ha previsto condizionalità, cioé impegni da parte delle autorità libiche in termini di rispetto dei diritti umani o di minima presa in carico delle necessità dei migranti una volta conclusi i progetti. Al contrario il ministro di Maio pone le condizionalità alla Tunisia, bloccando l’invio dei fondi per la cooperazione allo sviluppo sino a quando il governo magrebino non soddisferà le richieste italiane di un contrasto piu’ deciso dell’immigrazione irregolare.

Con questa impostazione, non stupisce che due dei 4 tavoli di lavoro del Cncs riguardino il tema “migranti” e il  tema “settore privato nella cooperazione” e che il terzo sulle «linee di indirizzo della cooperazione italiana” sia presieduto da Giovanni Rocca, coordinatore cooperazione internazionale per Confindustria. Chiudere le frontiere, aprire i mercati e mobilitare anche le risorse della cooperazione allo sviluppo in questa direzione è una linea che purtroppo non riguarda esclusivamente l’Italia, ma che é stata definita e applicata in ambito europeo.

L’ “aggiornamento relativo alle tematiche della cooperazione allo sviluppo in ambito UE” previsto tra I punti all’odg del Cncs non lo avrà ricordato, ma è stato il vertice de La Valletta (2015) e la creazione del Fondo fiduciario di emergenza per l’Africa (Eutf) a suggellare questo approccio europeo verso i migranti, mescolando interventi di cooperazione allo sviluppo con la creazione di hotspot e piattaforme di sbarco nei paesi di transito e trasformando definitivamente il nostro continente nella “Fortezza Europa”. Il Trust found europeo, come denuncia l’alleanza delle ong europee “Concord”, dotato di oltre 4 miliardi di euro provenienti per la quasi totalità dalla cooperazione allo sviluppo, ha utilizzato circa il 35% dei fondi per interventi finalizzati al controllo delle frontiere[6]. Allo stesso modo, il nuovo coinvolgimento dei privati nella cooperazione allo sviluppo nasce alla conferenza di Bausan del 2011 e arriva attraverso le comunicazioni della Commissione europea a dare le linee di indirizzo alla nostra legge 125 del 2014. L’idea è che non solo il privato metterà competenze e soldi, aumentando le risorse a disposizione della cooperazione internazionale, ma che lo farà privilegiando lo sviluppo sostenibile rispetto al profitto.

La realtà è che le imprese si muovono solo se ne ricavano un guadagno evidente ed infatti i primi due bandi per il settore profit (2017/2018), che presentavano alcuni vincoli e limitazioni, sono stati un totale insuccesso con pochi richiedenti, fondi non utilizzati e rinunce. L’internazionalizzazione delle imprese italiane con risorse che dovrebbero essere destinate alla cooperazione rischia di far entrare dalla finestra quello che la legge 125 non riesce a far entrare dalla porta. Di fronte a questa linea politica chiara, il mondo della cooperazione internazionale non può essere complice, né limitarsi a suggerire modifiche e integrazioni. È ormai tempo di mobilitarsi. La convocazione quest’anno della seconda Conferenza pubblica nazionale sulla cooperazione potrebbe essere l’occasione giusta.

 

[1] Legge 11 agosto 2014, n. 125 ;

[2]Nel 2015 i fondi per l’accoglienza in italia costituivano il 24,3% del cosidetto Aps (aiuto pubblico per lo sviluppo) e nel 2016 addirittura il 35%. Nel 2018 se l’aps ufficiale italiano (visto il calo dei migranti) era già sceso dallo 0,30 allo 0,23 in realtà tolta l’accoglienza era soltanto allo 0,18%.

[3] Nadef, Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2019, Ministero dell’Economia e delle Finanze;

[4] “Il bando della vergogna per portare le ONG nei campi libici”, Dinamo Press, 27 novembre 2017

[5] Profili critici delle ong italiane nei centri di detenzione in Libia con i fondi dell’A.i.c.s., Asgi, luglio 2020

[6] Lo stesso Fondo per l’Africa, creato nel 2016 dal governo Renzi e dotato nel 2017 di 200 milioni di euro aveva come principali destinatari il Niger (48%) e la Libia (29%), paesi con i quali l’italia ha accordi militari per contenere il flusso dei migranti verso l’Europa.

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