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[TORINO] DALLA PROPAGANDA ALLA REPRESSIONE VIOLENTA, OVVERO: IL GIOCO INIZIA A ROMPERSI?

Pochi giorni fa il Ministero dell’Istruzione ha eseguito un’ispezione in una scuola elementare di Chieri per mettere sotto processo alcune insegnanti. Cosa avranno fatto di tanto grave? Sembra assurdo ma l’accusa è di aver fatto riparare i bambini dentro l’università di Palazzo Nuovo occupata per sfuggire ad un violento acquazzone. Orrore: la sede dell’università è occupata, per di più dai temibili “studenti pro-pal”; talmente temibili che si divertono a far cantare i bambini mentre aspettano che il peggio dell’acquazzone passi, così che possano riprendere la gita.

La censura attuata da governi e media occidentali sul genocidio palestinese va avanti da 7 mesi. Ma la propaganda mediatica è stata così forte, così schierata al fianco dei crimini e del genocidio di Israele, che il pubblico ha cominciato a non crederci più. Inoltre questa propaganda che delegittima chiunque denunci i crimini di Israele non ha affatto fermato le mobilitazione, soprattutto giovanili. Per questo nelle ultime settimane abbiamo assistito ad un cambiamento negli strumenti messi in campo per contrastare le mobilitazioni pro Palestina: dalla propaganda alla più cruda repressione. Ma questa  potrebbe non essere solo una cattiva notizia.

L’intervento del ministero sembra andare innanzitutto nella solita logica dell’intimidazione politica, per costringere eventuali insegnanti sensibili a quanto avviene in Palestina a non intraprendere “simili iniziative” (sebbene nella realtà si sia solo trattato di non fare bagnare sotto la pioggia battente una scolaresca). Ma c’è di più. Quei video girati dal Corriere della Sera spazzano via mesi di propaganda anti-studentesca e anti-palestinese, mostrando cosa sia davvero un’occupazione, ovvero un esercizio di democrazia, di dialogo sia all’interno del corpo universitario che con l’esterno. Mostra gli studenti occupanti per quello che sono, ovvero dei militanti che si attivano per sensibilizzare l’ambiente in cui vivono e la cittadinanza su una realtà che ci riguarda tutti. Di fronte a questa attenzione, l’azione del ministero è meramente repressiva, e non può più essere ammantata dalle solite scusanti del “dobbiamo salvaguardare la par condicio”. Scompare il ministro un po’ attempato e paternalista che, come un nonno benevolo, insiste sul non usare il telefono a scuola, sostituito da un severo responsabile di un apparato di controllo burocratico sulla repressione.

Un altro esempio. In occasione dell’Eurovision, a cui Israele ha partecipato – nonostante, lo ricordiamo, abbia un processo a carico all’Aia per genocidio – diversi militanti pro-Palestina hanno manifestato, venendo “democraticamente” allontanati dalla polizia. Tra loro c’era Greta Thunberg, con tanto di kefiah al collo. E questo fa riflettere: se persino lei, che ha avuto “l’onore” di conferire con Ursula von der Leyen, continua a preferire la via diretta a quella istituzionale, e viene allontanata dalla polizia senza che manco le sia permesso di parlare, significa che né il sistema mediatico, né tantomeno quello politico siano riuscito ad assorbire la sua critica. Questo pareva infatti l’obiettivo iniziale: “cara Greta, parlane con noi, il conflitto non è necessario”. Ma quando la critica al capitalismo tramite la denuncia della crisi climatica è diventata più corrosiva, insieme alla presa di posizione a favore del popolo palestinese, il conflitto è stato ben necessario, a quanto pare, e non c’è sistema mediatico né “governance pluralistica” che possa nasconderlo sotto il tappeto.

Insomma, il livello del conflitto si sta alzando. La violenza che ora vediamo espressa, dalle circolari intimidatorie dei ministeri, ai pestaggi e agli arresti in piazza – oltre che individuali, se pensiamo a Chef Rubio -, però, non è comparsa all’improvviso. È sempre stata lì, insita nel sistema capitalistico, e nei nostri governi che si vendono come democratici, ma possono solo accettare una critica che non rompa i fondamenti ideologici di un sistema economico basato sullo sfruttamento generalizzato del lavoro oltre che sulla dominazione coloniale. Come Israele ha pensato che avrebbe potuto rinchiudere un popolo in una prigione a cielo aperto, così i Paesi occidentali hanno pensato di poter nascondere le evidenti contraddizioni legate alle loro crescenti diseguaglianze. La resistenza palestinese è la negazione diretta di tutto questo perenne occultamento, la denuncia dell’apartheid e dell’oppressione coloniale. La nostra azione solidale, poi, ha esacerbato le contraddizioni del governo italiano e del sistema politico, che fatica sempre più a nasconderle sotto il velo della propaganda e deve agire direttamente con la repressione poliziesca e l’intimidazione diretta. Per quanto ci possa intimorire la violenza che si manifesta in maniera crescente, è importante che capiamo che è sempre stata lì, e che solo organizzandoci potremo superare questa fase, fare fronte comune contro la repressione e creare una reale alternativa.

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