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[UK] I “15 di Stansted” condannati. Per i giudici britannici solidarietà significa terrorismo.

Era il marzo del 2017 quando all’aeroporto di Stansted, nei pressi di Londra, 15 attivisti della rete End Deportation si sono stesi dinanzi all’aereo che stava per deportare 60 immigrati dell’Africa occidentale. Cercavano così, usando i propri corpi, di disobbedire ad un ordine che ritenevano ingiusto. Cercavano di impedire che delle persone fossero ricacciate nell’inferno da cui erano scappate.

Un giudice lunedì 10 dicembre ha deciso che sono colpevoli. E non di un reato qualsiasi. Ma di “terrorismo”. Ha applicato una legge antiterrorismo quasi mai utilizzata. La condanna non colpisce solo i 15 di Stansted, che ora rischiano anche l’ergastolo. La condanna deve mettere paura. A tutte e tutti noi. C’è un mondo dietro i corpi di quei 15 ragazzi. Con loro è stato condannato un principio che tutte e tutti noi di Potere al Popolo vorremmo regolatore della vita quotidiana: la solidarietà. Oggi è la solidarietà a esser stata messa sotto giudizio. E un giudice ha deciso che va condannata. Il suo verdetto sancisce che la solidarietà è terrorismo. Che tendere una mano è reato. Achtung a tutte e tutti noi, quindi.

Essere al fianco dei 15 di Stansted non significa solo prendere una posizione morale. Non significa semplicemente stare dalla parte del “giusto”, contro qualcosa che è “sbagliato”. Lottare al loro fianco significa lottare affinché la solidarietà possa essere principio ispiratore del nostro agire quotidiano. Significa che la cooperazione viene prima. Che guardare dall’altra parte, abbassare lo sguardo, nell’epoca di barbarie che viviamo, può sfociare in complicità col nemico. Significa che dalla crisi che viviamo ne usciamo rinforzando i legami tra chi sta in basso, tra gli sfruttati. Non partecipando alla guerra tra poveri che fomentano ogni giorno.

Per questo e per altre mille ragioni, Potere al Popolo! è al fianco dei 15 di Stansted.

Giustizia e libertà!

Di seguito abbiamo tradotto una lettera di uno dei “deportati” di quel volo. Uno degli uomini che grazie al coraggio dei 15 di Stansted è riuscito a non vedere la propria vita stravolta. Grazie ai 15 di Stansted oggi può coltivare la propria felicità lì dove ha deciso di vivere, insieme alle persone di cui ha deciso di circondarsi.

“NON SONO TERRORISTI. PER ME SONO DEGLI EROI”

Non dimenticherò mai il momento in cui ho scoperto che alcune persone avevano bloccato un volo charter che il 28 marzo 2017 stava per decollare dall’aeroporto di Stansted, deportando i suoi passeggeri. Non lo dimenticherò mai perché io ero uno di quelli sull’aereo ed ero sul punto di esser espulso dalla Gran Bretagna contro la mia volontà. Mentre la maggior parte degli altri passeggeri che erano con me, appresa la notizia, avevano iniziato a gridare di gioia, io ero arrabbiato. Dopo mesi in detenzione, il solo pensiero di dover affrontare foss’anche un solo giorno in più in quel purgatorio mi riempiva di terrore. E, soprattutto, non avevo idea di quello che ora so: che le azioni di quegli attivisti, che sarebbero poi stati conosciuti come i 15 di Stansted, mi avrebbero aiutato a vedere la giustizia e a salvare la mia vita in Gran Bretagna.

Sono arrivato per la prima volta in Gran Bretagna nel 2004 e, così come molti che arrivano qui da altri paesi, mi ero costruito una vita qui. Seduto nell’aereo a Stansted lo scorso anno, stavo per esser rispedito “indietro”, verso un paese con cui non avevo legami. Nella mia testa non avevo alcun dubbio sul fatto che se fossi stato deportato sarei stato povero e senza tetto in Nigeria. Ero terrorizzato.

Immaginate. Hai vissuto in un luogo per 13 anni. Tua madre, con problemi di mobilità, vive lì. La tua compagna vive lì. Due dei tuoi figli vivono già lì, e la memoria del tuo primogenito, morto a soli sette anni, anch’essa risiede lì. Il tuo prossimo figlio sta per nascere. Sempre lì. Questa era la mia situazione, mentre attendevo sull’asfalto – immaginando mia figlia che nasceva in un paese nel quale mi ero costruito una vita, mentre io ero stato esiliato in Nigeria e destinato a incontrare per la prima volta mia figlia attraverso lo schermo di un telefono.

La mia storia era dura, ma non rara. Come molte altre persone che affrontano la deportazione dalla Gran Bretagna, la mia esperienza con le autorità che si occupano di immigrazione era durata molti anni. Negli ultimi sette anni di vita ero stato in uno stato di detenzione mentale costante. Un ciclo di appelli e di domande rigettate, di rifiuti ad accogliere le mie richieste o a prendere una giusta decisione, faceva sì che fossi continuamente detenuto e poi liberato e poi detenuto di nuovo. Sempre in attesa che il mio status fosse finalmente deciso. Sebbene mi perseguitasse la minaccia della deportazione, sono state la assoluta instabilità e la discriminazione razziale che mi hanno fatto sentire come se stessi diventando folle. Ecco perché le azioni dei “15 di Stansted” all’inizio mi avevano causato rabbia. Semplicemente non credevo che la loro azione potesse essere altro che il posticipo di maggior dolore.

La mia visione non si è formata sulla base della mia sola esperienza. La mia vita in Gran Bretagna mi ha visto insieme a un infinito numero di persone che si sono trovate vittime dell’“ambiente ostile” che il governo ha creato per i migranti e per le famiglie che non sono bianche. La quota di deportati da espellere, che il governo fissa come obiettivo, succhia umanità da un sistema la cui moneta è la vita della gente a cui è capitato in sorte di nascere fuori dal Regno Unito. Tale è la determinazione ad apparire “duri” su questa questione che le persone vengono prese nella notte e buttate su voli charter, in maniera brutale, segreta e a malapena legale. Molti decollano lontani dagli occhi del pubblico – 60 esseri umani ammanettati e violentemente bloccati su ogni volo, senza nemmeno un pensiero alla vita dalla quale sono trascinati via, né a quella che affronteranno all’arrivo a destinazione.

Io sono stato uno dei pochi fortunati. L’esser sceso dall’aereo, evitando la deportazione, mi ha dato due regali che mi hanno cambiato la vita. Il primo è stata l’opportunità di fare appello alle autorità in merito alla mia deportazione – un processo che ho vinto in due distinte occasioni, vincendo anche in seguito al contro-appello dell’Home Office (corrispondente al nostro Ministero degli Interni, NdT). Ma, cosa ancor più importante, le coraggiose azioni dei “15 di Stansted” mi hanno dato qualcosa di ancor più speciale: la possibilità di essere accanto alla mia compagna quando ha dato vita a nostra figlia, e di esser lì per loro quando entrambe hanno richiesto cure approfondite dopo una nascita complicata e prematura. Senza i “15 di Stansted” questa settimana non avrei giocato a calcio al parco col mio bambino di tre anni. È così semplice. Ora abbiamo una possibilità di vivere insieme come una famiglia in Gran Bretagna – ed è solo grazie alle persone che si sono distese dinanzi all’aereo.

Lunedì 10 dicembre i “15 di Stansted” sono stati dichiarati colpevoli di aver violato una quasi mai usata legge sul terrorismo. Sebbene i giudici siano convinti che le loro azioni abbiano infranto la legge, nella mia mente non c’è dubbio che queste 15 coraggiose persone siano eroi, non criminali. Per me un crimine è fare qualcosa di malvagio, vergognoso o semplicemente sbagliato – ed è chiaro che sono le azioni dell’Home Office a esser tali; i 15 di Stansted stavano cercando di impedire che un vero crimine fosse perpetrato. Ora che i 15 di Stansted affrontano il loro purgatorio – aspettando la sentenza nelle prossime settimane – pregherò affinché incontrino clemenza. Senza le loro azioni avrei perso la nascita di mia figlia e avrei affrontato la completa ingiustizia di esser deportato da questo paese senza che il mio appello (poi vittorioso) fosse ascoltato. Oggi il mio messaggio a loro è di continuare a lottare. La vostra causa è giusta e la storia vi assolverà dalla colpa con cui oggi il sistema vuole marchiarvi.

Anonimo

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