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[Torino] Il trasporto pubblico è un diritto, non un servizio a pagamento!

Approfittiamo della notizia della maxi retata sul tram 4 che attraversa una delle zone più povere della città, per ragionare su un servizio essenziale come quello alla mobilità.

Il trasporto pubblico è un servizio che traduce concretamente il diritto (una sua parte) alla libertà di circolazione del cittadino (art. 16 Costituzione). Pertanto dev’essere garantito dalla tassazione generale basata sul reddito, affinché i costi siano ripartiti equamente su tutta la cittadinanza a prescindere dalla frequenza di utilizzo del singolo individuo. Vige, cioè, il principio di solidarietà che regge tutti i servizi che costituiscono i nostri diritti: la scuola pubblica non la paga solo chi ha figli (e figli in età scolare), i giovani sani e forti contribuiscono comunque a sostenere il sistema sanitario nazionale anche se ne usufruiscono molto meno delle persone anziane, il reparto di ginecologia negli ospedali non è retto solo dalle tasse dei cittadini di genere femminile, e così via.

Il tema del biglietto pagato/non pagato non dovrebbe esistere, poiché il costo del viaggio verrebbe già coperto dalla tassazione generale. Il tentativo di farci diventare nemici del vicino di sedile (quando è possibile sedersi) non potrà mai essere vinto se non ribaltiamo del tutto il paradigma, se non cambiamo totalmente le lenti attraverso le quali guardare al tema.

Quando (dati 2016) ogni anno la GTT spende quasi 2milioni di euro per stipendiare 14 dirigenti (spesa media a testa di circa 140mila euro lordi), o nonostante 7 avvocati già stipendiati dall’azienda, la GTT spende 2milioni di euro per consulenze legali, si capisce in modo lampante come lo sguardo di sospetto al vicino sia strumentale ad altre logiche. Capiamo il fastidio individuale di aver pagato il biglietto e sapere che molti non lo fanno, ma la soluzione al problema non sono retate, multe e tornelli. La soluzione reale è pretendere, tutti uniti, che il trasporto pubblico sia pagato da tutti in base al reddito attraverso la tassazione generale.

Quando da cittadini vediamo quotidianamente corse saltate, mezzi sovraffollati, lunghe attese, il nostro nemico non può essere chi condivide il nostro disagio sulla stessa banchina. O vogliamo darci la colpa anche dei mezzi che prendono fuoco perché vecchi o mal mantenuti? Né può essere degli autisti, che vivono una condizione di stress non solo propria del mestiere, ma dettata anche dalle carenze di organico, da turnazioni che vessano la dignità delle persone, ecc…

Perché le mancanze del nostro sistema di trasporti non dipendono in alcun modo dalla persona che non ha il biglietto, fatto dimostrato dall’assenza di studi che abbiano questa tra le loro conclusioni. E il fatto che abbiano convinto i cittadini utenti che il problema è “tra loro” è, come su tanti altri ambiti, il trionfo dell’egemonia culturale della destra, che dal trasporto pubblico, alla sanità, alla immigrazione, avanza il tema “paghi chi lo vuole/chi ne fa uso”, come se stessimo parlando di scegliere un prodotto al supermercato. Non a caso questa linea è retta, in senso più strutturale e definitivo, dalla tassazione generale stile “flat-tax”, dove cioè venga sempre più a mancare la contribuzione in base al reddito. In tal modo le risorse generali vengono a mancare e si torna alla vecchia legge della giungla: chi ha soldi può, chi non li ha si arrangi. Il diritto diventa privilegio, e la società diventa una somma di individui divisa per reddito.

Quando ci dicono, a tutti i livelli compreso quello municipale, che i soldi non ci sono (al di là degli sprechi o delle scelte politiche che dirottano soldi pubblici verso interessi privati come nel caso del finanziamento delle scuole private o delle spese militari), ci dimentichiamo un dato strutturale che da solo dice tutto: le aliquote IRPEF, cioè chi e quanto contribuisce al gettito fiscale generale legato al reddito, col quale si pagano i diritti-servizi fin qui citati. Nel 1974 esistevano 32 aliquote, oggi sono 5. Nel 1974 l’aliquota massima era il 75% applicata ai redditi maggiori di 258mila euro, oggi è il 43% applicata ai redditi maggiori più di 75mila euro. Nel 1974 l’aliquota minima era il 10%, applicata ai redditi fino a 10mila euro, oggi è il 23% applicata fino a 15mila euro. (dati: http://temi.repubblica.it/micromega-online/cera-una-volta-la-giustizia-fiscale/)

In termini spiccioli cosa vuol dire? Che il ricco paga meno tasse, il povero ne paga di più, e il trasporto pubblico che è notoriamente maggiormente utilizzato dai redditi bassi è pagato due volte dal povero: con le tasse e con la pretesa del biglietto.

La cosa tragica è che chi ha di meno e paga di più, se la prende con chi è più o meno nella sua stessa condizione, e non solo accetta ma rivendica i controlli, la polizia sui mezzi, il bip, i tornelli. Nel frattempo il ricco, che può permettersi macchina, parcheggio a pagamento, tassa futura per entrare nella ztl, aumento del carburante, ecc… è soddisfatto: paga il suo trasporto privato e non paga più quello pubblico.

In altri termini, il ricco paga solo quello che usa, il povero paga tutto.

E’ la società sempre più dipendente dal reddito, dove “basta che paghi” (e puoi parcheggiare, puoi inquinare, puoi andare nella ztl, ecc…) e se non paghi il problema è tuo. E la società che nega sé stessa, dove oltre all’individuo non c’è nulla.

Noi dovremmo invece spingere verso una società sempre più indipendente dal reddito, dove i diritti vengono esercitati in quanto cittadini, e non in quanto “cittadini sì, ma in base al reddito”. Ne avremmo numerosi benefici: sgraveremmo almeno in parte le nostre teste dal meccanismo insidioso della proprietà e ci libereremmo almeno in parte dell’arroganza di chi fa del denaro il proprio metro arrogante di relazione (di potere) col mondo. Una società dove saremmo tutti più liberi dal ricatto del bisogno. Saremo tutti più liberi e soprattutto più felici.

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