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[NAPOLI] 10 punti sulla vittoria dei lavoratori a Napoli Sotterranea

Raccontare le nostre vittorie è fondamentale. Rischiamo di narrarci la quotidianità solo come miserie e sofferenze. E invece no. Non è ineluttabile. Facile nemmeno, ma vincere si può. Strappare 81.000€ alla controparte per una lavoratrice che ha lavorato 3 anni a nero a Napoli Sotterranea è un passo nella giusta direzione.

Che ci dice questa vittoria?
1. Una cosa banale, ma non scontata e che va ripetuta: vincere si può. Il nemico non è imbattibile.

2. Serve organizzazione, trasformare i punti di debolezza in forza. Dinanzi a lavoratrici e lavoratori che a stento si incontrano sul posto di lavoro, vuoi per turni, vuoi per mansioni diverse; a lavoratrici e lavoratori frammentati da mille contratti o non contratti (anche il nero non è uguale per tutti); a luoghi di lavoro piccoli e con pochi lavoratori; al ricatto padronale, che rende impossibile – o quasi – riunirsi sul posto di lavoro, far intervenire il sindacato… Bisogna avere pazienza e intelligenza tattica. Saper aspettare il momento giusto per uscire fuori e nel frattempo lavorare in maniera sotterranea, raccogliere informazioni, stringere legami. Fare dell’intera città o del quartiere – e non del solo posto di lavoro – il fronte di lotta. Organizzarsi fuori per poi ributtare dentro la forza accumulata.
È vero ovunque? Certo che no. Analisi concreta della situazione concreta e dogmi zero. Prassi teoria prassi. E poi ne parliamo.

3. Non disdegnare alcun terreno per l’attacco. Una manovra agisce su più fronti e serve utilizzarli tutti. Ognuno ha i suoi tempi e il suo linguaggio, serve pertanto conoscerne i meccanismi intimi e adottare una diversificazione che permetta di usarli tutti al meglio. Politico, legale, comunicativo, sociale, istituzionale. Tutti. O, almeno, quanti più è possibile.

4. Bisogna saper comunicare. Serve amplificare il messaggio, farlo arrivare ovunque. Soprattutto quando si vince, dobbiamo fare arrivare la notizia quanto più in profondità e non quanto più lontano è possibile. Ma anche quando si è nel pieno della battaglia serve comunicare. Farlo ha un duplice risultato: rinfranca i nostri, dà speranza e coraggio, dimostra che non si è soli, che c’è qualcuno che sta come te, ha la tua stessa rabbia/sete di giustizia e quel qualcuno si sta organizzando; allo stesso tempo, getta il panico nel campo dell’avversario, a cominciare dal fatto che sa che il rapporto non è più imprenditore vs. singolo lavoratore, ma imprenditore vs. soggetto collettivo, anche se tale soggetto lavora ancora sotto traccia. Nei 3 anni e passa di campagna contro il lavoro nero, più volte abbiamo avuto segnalazioni di imprenditori che cominciavano a fare qualche contratto, a riparare a qualche torto, perché mossi dal timore che la campagna potesse andare a colpire anche lì.

4bis. Serve costruire la nostra comunicazione, i nostri strumenti, la nostra narrazione. E, allo stesso tempo, usare i media mainstream, facendoli lavorare per noi nella propagazione del messaggio.

5. Servono capacità anche tecniche, ma il primato lo riveste pur sempre la strategia politica. Gli addetti ai lavori servono, eccome. Garantiscono serietà, know-how, puntualità. Nell’elaborazione degli strumenti tattici queste capacità servono come il pane. Ma guai a trasformare la tattica in strategia, guai a seguire il nemico sul suo terreno preferito, che spesso è quello di tecnicismi e azzeccagarbugli. La vittoria a Napoli Sotterranea è stata possibile anche perché questo principio è stato fatto proprio dalla struttura collettiva della campagna.

6. Attrezzarsi per durare. La guerra non è una battaglia. Questa la puoi pure vincere, ma la guerra è un’altra cosa. Servono risorse, struttura, pazienza. Non si vince in un giorno. Ci saranno momenti di onda alta e momenti di risacca. La funzione di un’organizzazione è proprio quella di non esaltarsi nei primi e non deprimersi nei secondi, ma continuare a lavorare. Testa bassa, lavoro silente e paziente. Potranno servire anni. Ma per chi vuole ribaltare il mondo non possono essere troppi. Dopo 2 anni la lavoratrice ha vinto la battaglia. La guerra continua.

7. Che non dobbiamo necessariamente aspettare i livelli più alti di governo per cominciare a riprenderci quello che è nostro. La redistribuzione della ricchezza non è solo una patrimoniale o il ridisegno delle aliquote fiscali. Cominciamo a praticarla qui, a renderla programma di governo reale e non solo slogan. La campagna contro il lavoro nero parte dall’analisi dell’economia locale. A Napoli abbiamo assistito a un boom del turismo che ha fatto schizzare le presenze dalle 500.000 di 10 anni fa alle quasi 10 milioni di quest’anno. I turisti portano soldi. La questione è: dove vanno a finire? Per pochi che si stanno arricchendo enormemente c’è un mare di lavoratrici e lavoratori che continua a nuotare nella miseria. Ottenere che un giudice restituisca il maltolto, che un imprenditore aumenti gli stipendi e regolarizzi i contratti, ecc., è un pezzo della campagna per la redistribuzione della ricchezza. Qui e ora, perché non si vive di sola speranza.

8. La vittoria non deve farci montare la testa. Sappiamo che molto è ancora da fare. Sappiamo, soprattutto, che dobbiamo avere l’obiettivo di puntare ai livelli più alti. Perché chi determina le norme della nostra società può cambiare le regole e determinare dunque un terreno di battaglia completamente diverso e assai più favorevole alla nostra controparte. Quando i governi distruggono ad esempio le prerogative degli ispettori del lavoro fanno un danno alla nostra battaglia e alle nostre vite. Dobbiamo ambire ad esser noi quelli che scrivono le regole del gioco. Per questo motivo ogni vittoria deve essere un passo in avanti verso un’organizzazione più grande, più capace, più credibile, più utile a un numero sempre maggiore di persone (Potere al Popolo è proprio un tentativo in questa direzione, migliorabile certo, ma credo si cammini nel verso giusto) e che sappia puntare lì, alla stanza dei bottoni.

9. L’elemento imprescindibile è il potere popolare che fa sua la dimensione della territorializzazione. Serve un popolo cosciente e mobilitato, che eserciti quotidianamente il controllo popolare, che stia col fiato sul collo a imprenditori e istituzioni, che li “costringa” al rispetto delle nostre persone e vite, e che cominci da oggi a esercitarsi nella gestione di pezzi di società. Perché noi davvero ci crediamo che la cuoca debba poter amministrare lo Stato. E che anche la più illuminata delle avanguardie non va da nessuna parte se non si son costruiti potere popolare, protagonismo e partecipazione.

10. E ogni pezzettino di vittoria che riusciamo a tessere andrà a ricamare il disegno complessivo della rivoluzione, che sarà il rovesciamento dell’attuale, sarà l’attualità dell’inattuale.

Siamo nati per non fermarci!

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