Sabato 5 dicembre Potere al Popolo è sceso in piazza per una giornata nazionale di agitazione per esigere una redistribuzione della ricchezza tramite una tassazione sui redditi e i patrimoni milionari come passo preliminare per il finanziamento della sanità pubblica e di un reddito universale per le fasce colpite dalla crisi.
La settimana successiva, il nodo romano di Potere al Popolo ha dato vita a un dibatto sulla proposta che abbiamo definito “Billionaire Tax” confrontandosi con Clara Mattei docente di economia politica alla New School for Social Research di New York e con il collettivo di economisti di Coniare Rivolta.
Il dibattito è partito dalla considerazione che siamo di fronte alla “la più grande crisi economica dall’età moderna” come la definisce David Harvey, una crisi che in Italia si è aggiunta ad una recessione economica già in atto e a seguito di un periodo di austerità e privatizzazioni selvagge che ha distrutto lo stato sociale e la sanità pubblica. In Italia i morti hanno raggiunto i 60 mila, una strage da tempi di guerra. In questo periodo la salute di tutti noi è stata subordinata al profitto delle imprese. Il Covid ha accellerato i processi di ingiustizia economica già in atto. L’attuale governo ha continuato a sostenere le grandi imprese, le grandi opere e a stare sotto le clausole dell’austerità del Mes. Come Potere al Popolo crediamo che sia pertanto oggi più che mai necessaria una politica redistributiva immediata, in discontinuità con le riforme degli ultimi anni.
Nel primo intervento Clara Mattei ha contestualizzato la disuguaglianza economica nel contesto storico e geografico attuale.
Viviamo nell’epoca forse più diseguale della storia, una disuguaglianza che è cresciuta mentre tutta l’economia e la produzione crescevano. Negli USA si è arrivati alla situazione paradossale per cui il cosiddetto 1% più ricco possiede più del 90%. In Italia la disuguaglianza è minore, ma la tendenza verso cui ci avviamo è assai preoccupante; un numero sempre crescente di famiglie in povertà assoluta (per un totale di otto milioni di individui) – ma come si è arrivati a ciò?
Analizzando i rapporti di produzione possiamo dare una spiegazione dei rapporti di distribuzione. Le costanti soppressioni salariali sono certo causa di questa sperequazione, ma va osservata su due piani interrelati e distinti: sul piano strutturale, il capitalista ha un innegabile interesse a tenere bassi i costi del lavoro, se vuole sopravvivere alla concorrenza e mantenere alti i profitti, ma sul piano storico devono esserci delle condizioni storiche che consentano al capitale di ottenere i risultati che abbiamo osservato.
Nei trent’anni gloriosi, dal 1945 al 1975, si è avuto un periodo di crescita “equa” (in cui i salari crescevano come i profitti), e i numeri del “furto” subito dai lavoratori all’uscita dagli anni gloriosi sono impressionanti: il lavoratore mediano americano degli anni settanta, mantenendo lo stesso tasso di crescita dei salari, oggi guadagnerebbe più del doppio di quanto guadagna ora. Questo passaggio è stato reso possibile da una precisa congiuntura storica: la delocalizzazione delle imprese dei paesi capitalisti ha ridotto il numero degli occupati nell’industria e nella manifattura (i settori più combattivi e sindacalizzati del lavoro dipendente); la conseguente terziarizzazione del processo produttivo; investimenti tecnologici per aumentare la produttività del lavoro (e ridurre il numero degli occupati); last but not least l’austerità, con i tagli della spesa pubblica e la tassazione regressiva (austerità fiscale) e la lotta ai sindacati (austerità industriale).
Nella conclusione del suo intervento, Clara Mattei ha delineato un interessante quadro politico. Per quanto sia certo che la crisi economica abbia esacerbato le disuguaglianze storiche e strutturali, è altrettanto chiaro che questi aspetti storici e strutturali la crisi li ha anche messi in chiaro molto meglio, e che per quanto sia importante usare il fisco per la redistribuzione delle ricchezze, o più in generale quanto sia importante occuparsi di redistribuzione, è altrettanto importante creare un fronte politico per risolvere le disuguaglianze nella produzione.
Il dibattito è proseguito con l’intervento di Lorenzo, economista del collettivo Coniare Rivolta.
Lo snodo principale dell’evoluzione in senso neoliberista del sistema fiscale si pone a metà degli anni settanta; l’Unione Europea ne è stato uno dei principali promotori a causa del “vincolo esterno”, che ha favorito la creazione di un terreno ideale per promuovere una politica regressiva, in direzione contraria ai risultati ottenuti con le lotte degli anni precedenti: programmi di privatizzazione, libertà di circolazione dei capitali, smantellamento dello stato sociale, austerità, attacco diretto ai salari.
Il fisco è stato uno dei tasselli di questo processo. La tassazione è uno strumento indiretto di redistribuzione, che può mettere in forte crisi i rapporti sociali di produzione. La situazione di partenza fu la riforma del fisco del 1974, un compromesso tardivo che permise, tuttavia, la prima articolazione fortemente progressiva dell’imposizione sui redditi: trentadue scaglioni dal 10% al 72%, tassazioni sulle società di capitali che incrementano la progressività, in un contesto di grande restrizione ai movimenti di capitali – restrizione ai movimenti di conti correnti e restrizioni alle delocalizzazioni delle attività produttive.
Questo è il quadro da cui comincia, gradualmente, l’involuzione della progressività. Ad oggi la tassazione sui redditi è costituita da soli cinque scaglioni, dal 23% al 43%, con un risultato impressionante: se nel 1974 il rapporto fra il reddito dello scaglione più alto e quello dello scaglione più basso era 250 a 1, oggi siamo circa 6 a 1! Anche la tassazione sulle società, la tassazione indiretta e la tassazione sulle rendite finanziarie sono state profondamente riformate, rendendo di fatto il sistema privo di progressività.
A ciò si aggiunga che questo sistema è stato blindato dall’architettura neoliberale in generale, europea in particolare, grazie alla liberalizzazione dei movimenti di capitale, che rende complesso intervenire sulla redistribuzione della ricchezza e che di fatto ridimensiona inevitabilmente il ruolo dello stato nell’intervenire a favore delle classi popolari. Difficile pensare che Billionaire tax possa avere l’esito sperato senza intervenire direttamente su questo contesto; la necessità di una tassazione dei patrimoni ci pone di fronte alla contraddizione: o la libertà dei capitali e le regole europee, o la redistribuzione.
L’iniziativa si è conclusa ribadendo la necessità di ripetere momenti di dibattito come questi che contribuiscano ad una battaglia politica a tutto tondo che come Potere al Popolo abbiamo scelto di intraprendere per dare voce agli interessi dei settori popolari, dei lavoratori, delle nuove generazioni e di tutte le fasce sociali colpite da questa crisi.