
Negli ultimi decenni, il sistema educativo italiano è stato progressivamente smantellato attraverso politiche neoliberiste che hanno favorito la precarizzazione del lavoro docente e il definanziamento strutturale dell’istruzione pubblica. Se da un lato si moltiplicano le retoriche sul “merito” e sulla “qualità della formazione”, dall’altro i numeri evidenziano una realtà drammatica: negli ultimi otto anni il numero dei docenti precari è raddoppiato, passando dal 12% al 24%, con un incremento da 100.277 a 234.576 unità.[1]
Il fenomeno della precarietà lavorativa è particolarmente allarmante nel settore dell’Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM), dove i docenti, pur avendo titoli di alto livello e una competenza riconosciuta a livello internazionale, rimangono intrappolati in un limbo contrattuale che nega loro diritti e stabilità. Questo ha prodotto una distorsione paradossale: gli studenti che si diplomano e trovano un’occupazione stabile prima dei loro stessi insegnanti.[2]
Di fronte a questa situazione, appare evidente che la precarizzazione del lavoro docente non sia un’anomalia da correggere, bensì un elemento strutturale del modello economico e politico imposto al settore pubblico negli ultimi decenni.
- Il precariato come strategia sistemica: le cause strutturali
La crescente precarizzazione del personale docente non è un semplice effetto collaterale della crisi economica, ma una scelta politica deliberata funzionale a obiettivi ben precisi.
Dal 2008 in poi, con il pretesto della crisi economica, i governi italiani hanno avviato una politica di tagli lineari alla scuola e all’università. Tra il 2008 e il 2019, l’Italia ha ridotto il finanziamento pubblico per l’istruzione di oltre il 7%, mentre altri paesi dell’UE hanno aumentato gli investimenti nello stesso periodo.[3]
L’introduzione di meccanismi come la “chiamata diretta” e l’uso sistematico dei contratti a termine ha permesso di frammentare la forza lavoro docente, riducendone la capacità di organizzarsi sindacalmente. Un docente precario è, per definizione, meno incline a contestare le direttive ministeriali o a scioperare, perché il suo futuro lavorativo è incerto.
Mentre il settore pubblico subisce tagli continui, il finanziamento alle scuole e alle università private è aumentato costantemente negli ultimi dieci anni. Nell’anno accademico 2023/2024, il governo ha stanziato oltre 700 milioni di euro per gli istituti paritari,[4] mentre le università statali soffrono una costante riduzione di fondi per la ricerca e il reclutamento di docenti.
- Il caso AFAM: il paradosso della precarietà permanente
Il settore dell’AFAM rappresenta un caso emblematico della precarizzazione nel sistema educativo italiano. Nonostante il riconoscimento dell’importanza delle istituzioni AFAM nel panorama culturale e artistico europeo, il corpo docente continua a essere trattato come una forza lavoro usa e getta.
Secondo fonti sindacali, nel 2023 oltre il 70% del personale docente AFAM era impiegato con contratti a termine, con situazioni di instabilità lavorativa che durano anche oltre dieci anni. La Camera dei Deputati, nell’ordine del giorno del 31 luglio 2023, ha riconosciuto la necessità di un piano straordinario di stabilizzazione, ma a distanza di mesi nessun provvedimento concreto è stato adottato.[5]
Questa situazione non è solo un’ingiustizia nei confronti dei lavoratori, ma ha conseguenze dirette sulla qualità della formazione artistica e musicale. L’assenza di stabilità lavorativa impedisce ai docenti di pianificare percorsi didattici di lungo periodo e indebolisce il legame tra insegnamento e ricerca artistica.
- La necessità di una mobilitazione collettiva
Negli ultimi mesi, le proteste contro la precarizzazione della scuola e dell’AFAM si sono intensificate, con scioperi e manifestazioni in diverse città italiane. Tuttavia, è necessario un salto di qualità nella mobilitazione. Non basta più resistere: è necessario costruire un fronte ampio che metta in discussione l’intero modello di gestione dell’istruzione pubblica.
Le rivendicazioni devono includere un piano straordinario di stabilizzazione per tutti i docenti precari con almeno 3 anni di servizio, l’abolizione dell’uso sistematico dei contratti a termine nella scuola e nell’AFAM, un rifinanziamento strutturale del settore dell’istruzione pubblica, con l’eliminazione dei fondi alle scuole private.
Tuttavia, senza una mobilitazione di massa che coinvolga studenti, docenti e personale amministrativo, il rischio è che il sistema educativo italiano continui a scivolare verso un modello sempre più precario e privatizzato.
La precarietà non è una condizione inevitabile, ma il risultato di scelte politiche precise. Invertire questa tendenza significa rimettere al centro il valore della scuola e dell’alta formazione come strumenti di emancipazione collettiva.
- Per questi motivi, noi abbiamo preso parte allo sciopero nazionale che si è tenuto il 4 aprile
La lotta contro la precarizzazione non può limitarsi alla scuola e all’AFAM, ma deve necessariamente includere l’intero sistema dell’istruzione superiore. Il mondo universitario soffre le stesse dinamiche di tagli strutturali, contrattualizzazione precaria e progressiva aziendalizzazione, come denunciato da anni dai lavoratori dell’Unione Sindacale di Base (USB).
Uno degli aspetti più gravi è la progressiva esternalizzazione dei servizi e il depotenziamento del personale tecnico, amministrativo e bibliotecario (TAB), che costituisce un pilastro essenziale del funzionamento degli atenei. Il mancato investimento su queste figure, così come sulla stabilizzazione del personale accademico, ha reso l’università un luogo sempre più elitario e inaccessibile per le classi popolari.
Lottare per la stabilizzazione del personale significa dunque combattere per un’università pubblica accessibile, libera e realmente democratica. USB ha messo in evidenza la necessità di maggiore finanziamento al sistema pubblico universitario, con l’abolizione dei limiti al turnover e un piano straordinario di assunzioni; abolizione della logica del precariato strutturale, che colpisce docenti, ricercatori e personale tecnico-amministrativo; parità di trattamento tra i lavoratori dell’istruzione superiore, con il riconoscimento di un comparto contrattuale unitario per Università, Ricerca e AFAM.
Lo sciopero del 4 aprile è stata un’occasione cruciale per unificare le lotte della scuola, dell’AFAM e dell’università in un fronte comune contro la privatizzazione dell’istruzione pubblica e la precarizzazione del lavoro. Solo attraverso una mobilitazione collettiva e radicale potremo invertire questa tendenza distruttiva e riaffermare il valore sociale della conoscenza e della formazione.
Infine, urge affermare (anzi, ribadire) ciò che ormai si è perduto: l’arte e la musica SONO lavori. Se si sminuiscono gli anni di studio, pratica, esibizione su palchi con fare semplicistico ed associandolo principalmente ad un hobby, oltre a non comprendere mai la fatica che c’è dietro, si legittima una narrazione che giustifica il mancato riconoscimento economico e contrattuale di chi opera in questi settori. Questa retorica svalorizza il contributo culturale e sociale di musicisti, artisti e docenti AFAM, alimentando un sistema che li costringe alla precarietà anziché riconoscerli come lavoratori a pieno titolo, con diritti e tutele adeguate.
[1] https://www.orizzontescuola.it/precari-docenti-e-ata-in-otto-anni-numeri-raddoppiati-dal-12-al-24-mappa-della-precarieta-uil-scuola-rua/
[2] https://anief.org/stampa/news/6125-afam-paradosso-tutto-italiano-gli-studenti-entrano-di-ruolo-e-i-loro-insegnanti-restano-precari
[3] https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/educ_uoe_fini01/default/table?lang=en
[4] https://www.mim.gov.it/-/scuola-da-mim-oltre-700-milioni-per-le-scuole-paritarie-valditara-tutte-le-realta-educative-del-sistema-pubblico-devono-essere-valorizzate-particolare
[5] https://www.rivistamusica.com/la-protesta-dei-precari-afam/