
Lo diciamo subito, senza mezzi termini: la giornata di ieri è stata eccezionale, ha segnato un punto di svolta da cui ripartire.
Centinaia di migliaia di persone – non è un’esagerazione contarne un milione guardando alle quasi 100 piazze di ieri – hanno fatto irruzione nell’immobilismo della scena politica italiana.
Hanno straripato gli argini stretti, risicati, in cui il sistema mediatico li avrebbe voluti incasellare, rompendo – finalmente! – la cappa di rassegnazione, immobilismo, grigiore in cui galleggia da anni la società italiana.
E’ stata una boccata d’aria ieri vedere migliaia di lavoratori e studenti marciare anche nelle più piccole città di provincia, i porti bloccati a Livorno, Marghera, Salerno, Genova, le autostrade e le tangenziali invase a Roma, Bologna, Firenze, le stazioni occupate a Napoli, Roma, le università e le scuole chiuse. Chiunque ha attraversato la mobilitazione del 22 settembre ha fatto esattamente quello che aveva detto – ed è un miracolo per la politica italiana! – e detto quello che in tante e tanti ormai covavano come desiderio che è esploso collettivamente: blocchiamo tutto, non come slogan vuoto ma come pratica concreta dell’agire comune, come prospettiva in cui ritrovarsi.
Lo sciopero generale di ieri, per quantità di circuiti che ha coinvolto, per la qualità della partecipazione (con decine di migliaia di lavoratori di diversi settori che si sono astenuti dal lavoro e sono scesi in strada) e delle rivendicazioni, per la determinazione con cui è stato condotto, indica qualcosa di nuovo che si mette in moto.
Da un mese stiamo vedendo crescere un sentimento diverso nella società, di empatia per il popolo palestinese per le immagini tremende che arrivano da Gaza ogni giorno, ma anche di rabbia per l’impossibilità di “fare qualcosa”.
Su questo sentimento le parole dei portuali di Genova hanno fatto da detonatore. Nemmeno un chiodo per lo Stato terrorista e assassino di Israele era la frase che aspettavano di ascoltare in tantissimi, molti di più di quelli che c’immaginavamo.
E’ lo stesso sentimento che ha portato le città italiane a riempirsi, nelle scorse settimane, per dare solidarietà all’equipaggio della Global Sumud Flotilla o per manifestare contro la criminale invasione di terra di Gaza city da parte dei carri armati israeliani.
E’ tutto questo, un intreccio di sensibilità, emotività, voglia di fare qualcosa di concreto per fermare il genocidio, che ha incontrato il lavoro, costante, quotidiano, continuo, che da anni tante organizzazioni e movimenti, tanti singoli, portano avanti denunciando gli orrori israeliani e la complicità dei nostri governi. E’ tutto questo che ha incontrato la disponibilità, il coraggio e l’intelligenza politica, dell’Unione Sindacale di Base nella convocazione dello sciopero generale, senza la quale, ribadirlo è forse banale ma necessario, la giornata di ieri non sarebbe stata neppure immaginabile. È tutto questo che ha rotto con l’immobilismo stantio dei partiti dell’arco parlamentare e dei sindacati confederali, con il servilismo vergognoso dei media del “definisci bambino”.
Lo sciopero di ieri è stata la risposta alla dimensione ormai insopportabile per le classi popolari del genocidio di Gaza. Insopportabile doppiamente perchè finanziato, armato, coperto, dai nostri governi e dalle nostre istituzioni. Lo sciopero di ieri ha rimesso sul piatto questioni fondamentali: in quale mondo vogliamo davvero vivere, cosa devono produrre e come devono organizzarsi le nostre economie. Chi decide cosa transita per i nostri porti? Chi decide che la ricchezza prodotta dal lavoro collettivo debba essere destinata ad armi che sterminano bambini e popolazioni civili e non per ospedali, per un’educazione decente, per bonificare i nostri territori avvelenati?
Migliaia di persone ieri hanno delineato un orizzonte di società complessivo – politico, valoriale – completamente nuovo, lontano anni luce dall’autoritarismo, dalle politiche guerrafondaie e di riarmo, dalla guerra globale, dalla distruzione di esseri umani ed ecosistemi a cui assistiamo.
Oggi Gaza è il nome di tutte le ingiustizie più brucianti, ma è anche il nome di una frattura che delinea chiaramente quanto di questa società non siamo più disposti a tollerare.
Di fronte a questo, non c’è criminalizzazione delle proteste tentata da governo e media che tenga.
Qualcosa si è messo in moto, dicevamo, e abbiamo il cuore più leggero dopo averlo toccato con mano. Lavoriamo insieme per farlo crescere e per coltivarlo.
Prepariamoci a bloccare, di nuovo, tutto, se la Global Sumud Flotilla dovesse essere intercettata da Israele. Organizziamo la partecipazione alla grande manifestazione nazionale di Roma, il prossimo 4 ottobre.
Per la Palestina libera, e perchè le nostre vite meritano molto di più, una promessa: bloccheremo tutto!