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[FRANCIA] Se davvero “siamo in guerra”, allora tassiamo chi fa profitti con la crisi

Qualche giorno fa, la Danimarca ha annunciato che le imprese che versano dividendi agli azionisti durante la crisi sanitaria del Covid-19 e sono registrate in paradisi fiscali, non potranno beneficiare degli aiuti previsti da parte dello Stato. Una misura che cerca di limitare, almeno nel breve termine, alcune delle grandi disuguaglianze sociali ed economiche che l’emergenza sanitaria e la derivante crisi sociale rischiano di aggravare ed approfondire ulteriormente.

In Francia, i timidi inviti da parte del ministro dell’Economia, Bruno Le Marie, a “moderare” la distribuzione dei dividendi per le grandi imprese del CAC40 durante il periodo di crisi sanitaria, non hanno ovviamente sortito alcun effetto: sono previsti 36 miliardi di euro di dividendi per gli azionisti di diverse multinazionali, tra cui Sanofi (3,9 mld), BNP (3,6 mld), Axa (3,19 mld), L’Oréal (2,3 mld), Total (1,8 mld), Vivendi (697 mln) ecc.

In questi ultimi giorni è stato capace di fantasiose piroette sulla questione, cambiando posizione ad ogni dichiarazione pubblica o intervista. Anche nello stesso giorno: nella mattina del 23 aprile aveva sostenuto che le imprese multinazionali che hanno una filiale in uno dei numerosi paradisi fiscali non avrebbero goduto degli aiuti stanziati di Stato, accogliendo la proposta dell’emendamento presentato dalla sinistra d’opposizione; in serata, l’articolo viene soppresso in sede di discussione da parte della Commissione mista paritaria alla quale partecipano anche deputati e senatori della maggioranza LREM che sostiene il governo di Edouard Philippe e il Presidente Emmanuel Macron.

Bisogna sottolineare che la lista dei paradisi fiscali risultava decisamente incompleta, con una serie di grandi assenze, ovvero paesi che per decisioni politiche non vengono riconosciuti come “paradisi fiscali”, ma che concretamente applicano regimi fiscali agevolati per le multinazionali, anche all’interno della stessa Unione Europea (Lussemburgo, Paesi Bassi, Malta, Irlanda).

Di seguito, pubblichiamo la traduzione del comunicato sottoscritto da Mathilde Panot, vice-presidente del gruppo parlamentare de La France Insoumise, e da Manuel Bompard, capo della delegazione de La France Insoumise al Parlamento Europeo, i quali chiedono una tassa sugli utili delle imprese durante la crisi sanitaria, come è stato fatto durante la Prima guerra mondiale.

Inoltre, negli ultimi tre sabati, La France Insoumise promuove delle manifestazioni online, dal titolo #PlusJamaisCa, proponendo diverse rivendicazioni affinchè si attuino le misure sociali necessarie per fronteggiare rapidamente e in maniera efficace la crisi sanitaria e sociale e si inverta la tendenza delle politiche neoliberiste degli scorsi decenni che hanno portato alla catastrofe attuale. Tra queste, anche la re-introduzione della Impôt de Solidarité sur la Fortune (ISF) – imposta patrimoniale abolita dal Presidente Macron all’inizio del suo Quinquennio – che permetterebbe di recuperare immediatamente fino a 3,2 miliardi da utilizzare per il finanziamento e la pianificazione sanitaria (assunzioni e aumenti salariali per il personale sanitario, acquisto di attrezzature, maschere, camici, respiratori).


Non tutti patiscono la crisi sanitaria. Alcuni si stanno addirittura arricchendo durante questa pandemia.

Chi fa profitti con i morti ha nomi precisi: le azioni di Amazon, numero 1 dell’e-commerce, del dumping fiscale e delle emissioni di CO2, hanno raggiunto record storici durante l’epidemia. L’azienda canaglia sta ora utilizzando un ricatto per far sì che lo Stato si faccia interamente carico dello chômage partiel (*). Si chiamano anche Sanofi, società farmaceutica che realizza l’80% dei suoi utili su prodotti coperti dal sistema di previdenza sociale e si prepara a distribuire 3,8 miliardi di dividendi ai suoi azionisti.

L’azienda Vivendi sta aumentando il suo dividendo del 20%, portando l’importo totale a 697 milioni di euro, mentre alcune delle sue controllate hanno fatto ricorso allo chômage partiel. E ancora OGF, servizio funebre, che ha addebitato alle famiglie di coloro che sono morti per Coronavirus 55 euro all’ora per andare all’obitorio temporaneo di Rungis a trovare i loro cari, 159 euro per il deposito della salma per 6 giorni e 35 euro per ogni giorno supplementare.

Ma si chiamano anche: Veolia, gruppo PSA, Axa, Korian, Disney… Alcune di queste aziende non solo stanno realizzando profitti durante la crisi al punto di pagare dividendi colossali agli azionisti, ma ricevono anche fondi pubblici attraverso il finanziamento dello chômage partiel da parte dello Stato. È questa stessa fiducia cieca nelle multinazionali che ha portato la maggioranza dei deputati a votare per una partecipazione finanziaria statale di 20 miliardi di euro nelle cosiddette società strategiche senza alcuna garanzia sociale o ecologica.

In breve, e come sempre, la privatizzazione dei profitti, e quando c’è il rischio, la socializzazione delle perdite.

Lunedì 16 marzo alle 20:00, nel suo discorso solenne sulla lotta contro il Coronavirus, Emmanuel Macron ha usato per sei volte l’espressione: “Siamo in guerra”. Se davvero siamo in guerra, signor Presidente, le rinfreschiamo un po’ la memoria.

Il 1° luglio 1916 fu istituito in Francia un contributo sugli utili straordinari. Si trattava di un’imposta diretta sugli utili anomali realizzati tra il 1° agosto 1914 e il 30 giugno 1920, sei mesi dopo la fine delle ostilità. All’epoca le imprese dovevano pagare allo Stato la differenza tra i profitti realizzati in tempo di pace e quelli realizzati durante la guerra. Lo scopo di questo contributo era quello di combattere l’eccessivo arricchimento di alcune aziende dovuto alle varie circostanze e di coinvolgerle nello sforzo collettivo.

Centoquattro anni dopo, alla luce di ciò che stiamo vivendo con la crisi sanitaria del Coronavirus, questo contributo ha ancora senso.

Chi, oggi, può avallare che le nostre tasse finanzino gli azionisti delle multinazionali, mentre l’indicizzazione salariale degli infermieri è bloccata? Chi può ragionevolmente approvare il fatto che si lascino miliardi nelle mani di pochi e che si versino a malapena 150 euro alle persone nelle condizioni più precarie? Se l’ingiustizia fondamentale di questa politica non valeva già ieri, è del tutto intollerabile in questo momento.

Signor Presidente, la crisi vertiginosa che stiamo vivendo non lascia spazio alla complicità con coloro che un tempo venivano chiamati gli spudorati approfittatori delle disgrazie nazionali. Bisogna impedire alle aziende di pagare i dividendi agli azionisti! Bisogna vietate alle aziende che praticano l’evasione fiscale di ricevere denaro pubblico! Bisogna aumentare il salario minimo, limitare le differenze salariali da 1 a 20, aumentare i salari di coloro che hanno sempre garantito la nostra dignità, prima e durante la crisi!

E per farlo, facciamo come nel 1916: tassare chi fa profitti con la guerra!

(*) Il cosiddetto chômage partiel francese è uno strumento simile alla cassa integrazione italiana, seppur con alcune differenze rilevanti: il lavoratore dipendente messo in un’attività lavorativa parziale riceve un’indennità oraria, versata dal suo datore di lavoro alla scadenza abituale della retribuzione, corrispondente al 70% della sua retribuzione oraria lorda; al tempo stesso, il datore di lavoro riceve un’indennità finanziata congiuntamente dallo Stato e dall’ente che gestisce l’assicurazione contro la disoccupazione pari a 7,74 euro all’ora di disoccupazione per dipendente per le aziende con un numero di dipendenti compreso tra 1 e 250 e di 7,23 euro all’ora per le con più di 250 dipendenti.

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