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JEAN LUC MELENCHON: LA RIVOLUZIONE CITTADINA IN FRANCIA

macron

Pubblichiamo di seguito l’analisi sul movimento sociale francese di Jean-Luc Mélenchon, leader di LFI (La France Insoumise) e NUPES (Nouvelle Union populaire écologique et sociale).

Macron rimasto al buio durante la visita di una fabbrica, ministri bloccati ovunque mettano il naso, prefetti che vietano proteste a suon di pentole che si svolgono malgrado il divieto, manifestazioni spontanee tutte le notti, decine di iniziative di piccoli o grandi gruppi: si sta varcando una soglia tra due fasi caratteristiche delle rivoluzioni cittadine che abbiamo già potuto osservare nel mondo.

In Francia, dopo la fase in cui il movimento si è istituito attorno all’unità sindacale, a una rivendicazione chiara e fondata combinata a una resistenza parlamentare senza sconti, è iniziata una nuova fase. Il potere si trova ora di fronte a una volontà politica che si può definire “destituente”. Se le grida “Macron dimettiti” sono ancora solo spasmodiche, possiamo constatare che la parola d’ordine e la pratica della disobbedienza civile si stiano diffondendo giorno dopo giorno. Questa permanenza della mobilitazione popolare vanifica i calcoli basati sulla decomposizione del movimento e sulle provocazioni, del tipo di quelle tentate da Bruno Le Maire [ministro dell’economia e delle finanze] per creare un diversivo.

Oggi, ciò che si sta decomponendo è l’autorità del presidente e quindi di qualsiasi potere basato sulla sua persona. Il suo tentativo di rilancio, il suo “nuovo inizio” è fallito. Nell’accelerazione della storia che si produce sempre in queste circostanze, è sicuro che la scadenza di cento giorni fissata dal Presidente per recuperare la sua salute politica diventa una scommessa per lui e una tabella di marcia per noi. In ogni caso, la strategia della tenaglia tra movimento sociale e azione istituzionale ha un futuro brillante davanti a sé se Macron continua così. Ovviamente continuerà così. Darà al movimento sociale un grande campo di apprendimento e di autoformazione. Per Macron non c’è altra via d’uscita se non quella della realizzazione di una nuova alleanza politica in Parlamento. La grande coalizione che va da Renaissance [partito politico fondato proprio da Macron nel 2016 con il nome La République En Marche; nel 2022 cambia appellativo] al Rassemblement National (RN) [partito politico di estrema destra di Marie Le Pen, fondato nel 1972 da suo padre Jean-Marie con il nome Front National] e chi gli permetterebbe di recuperare presa basandosi sul modello “illiberale” di Orbán in Ungheria, non è ancora sul punto di realizzarsi. Chi vorrebbe salire su un carro funebre? La spirale in cui è entrato Bruno Le Maire dimostra come il macronismo sia destinato ad essere divorato dall’estrema destra del RN, a cui andranno i voti che perde e che, già negli attuali sondaggi, cede punti percentuali al RN. Già alle prossime elezioni presidenziali [il partito di Macron] sarà esploso in più pezzi. Tutto ciò cala il paese in una sequenza di instabilità e di impotenza molto educative. Il bilancio del pensionamento a 64 anni è clamoroso: non è stato votato in Parlamento. L’illegittimità è quindi scandalosa e sotto gli occhi di tutti, sia in Francia, sia all’estero. La messa in discussione delle istituzioni si diffonde da sola. La parola d’ordine della 6° Repubblica si fa strada da sola. Manuel Bompard l’ha posta al centro della sua intervista a Le Journal du Dimanche e nessuno l’ha contestata perché ormai è evidente: il dibattito su questa questione è diventato egemone. L’effetto sul potere è già presente. Usare e abusare del lato peggiore di queste istituzioni per ottenere un risultato pietoso come quello a cui stiamo assistendo assomiglia all’ “inizio della fine”!

Questo mi permette di tornare alla sostanza di ciò che io credo gli eventi ci dicano, confermando la “dottrina dell’era del popolo e della rivoluzione cittadina” che condivido con un certo numero di insoumis [“insubordinati” o “ribelli” che si riferisce al nome del partito La France Insoumise]. Gli attuali eventi politici e sociali in Francia sono legati per durata e forma a una serie di eventi analoghi nel resto del mondo, a tutte le latitudini. Sono quelli che abbiamo chiamato “rivoluzione cittadina”. Il termine puntava a distinguerle sia nella forma, sia nel contenuto dalle cosiddette rivoluzioni “socialiste” nel mondo della Guerra Fredda. Il termine rivoluzione viene utilizzato per descrivere una riorganizzazione generale del quadro giuridico e politico del potere (una nuova gerarchia di norme, un nuovo regime di proprietà, in particolare attraverso un nuovo status pubblico dei beni comuni, una nuova costituzione politica). Tali “rivoluzioni” sono lunghi processi. Questo processo è radicato nel desiderio di una risposta concreta a poteri diventati incapaci di garantire le funzioni sociali essenziali. Si iscrive in un arco di tempo in cui ogni momento passato entra a far parte della coscienza collettiva. Possiamo dire che la fase più alta in Francia è iniziata con il movimento dei Gilet gialli. Il riflusso di questo movimento non è stato la sua sconfitta. Piuttosto, è stato un nuovo punto di partenza per la fase successiva in cui ci troviamo ora. La creatività delle azioni sindacali alla base, la moltiplicazione di iniziative sporadiche prolunga l’esperienza acquisita durante la mobilitazione dei Gilets jaunes, anche se, dal punto di vista della routine quotidiana delle pratiche di lotta, tutto sembrava perso.

 

Inizialmente, disponevamo di una griglia analitica generale sul momento politico in relazione ai fatti fondanti del nostro tempo. Penso alla demografia, all’urbanizzazione, all’Antropocene, al capitalismo finanziario. Ma per analizzare le caratteristiche delle rivoluzioni cittadine che stanno avvenendo in questo contesto, abbiamo adottato un metodo empirico. Abbiamo raccolto informazioni attraverso testimonianze e descrizioni, studiando le foto pubblicate sulla stampa. Partendo dal corso degli eventi, la mia squadra e io, abbiamo cercato caratteristiche comuni, fasi identiche che potessero permetterci di anticipare gli eventi e contribuire al loro sviluppo. Perché il nostro obiettivo è molto concreto. Poiché non crediamo più nel “partito d’avanguardia”, le organizzazioni insoumises [insubordinate e ribelli], in piena porosità con la società, si sono date il compito di accompagnare e spianare la strada al movimento sociale. Ovviamente, da tutti i punti di vista possibili, ogni situazione è specifica nelle sue condizioni iniziali, nei suoi punti e nelle sue forme di esito. Ma questo non ha mai impedito il manifestarsi di caratteristiche comuni. Non è mia intenzione ricordarle in questa sede. Ma, in conclusione, siamo riusciti a distinguere diverse tappe comuni costanti, nonostante le forme specifiche che le esprimono. Sono tre le fasi fondamentali quindi.

La prima fase può essere definita “istituente”. L’attore sociale entra in scena e formula le sue rivendicazioni. Si costituisce. Gradualmente, allarga la sua base per includere categorie sociali sempre più numerose e diverse. Questo attore si autodefinisce “il popolo”. Si identifica tramite segnali visibili (ad esempio i gilet gialli, le maschere di Anonymous, gli ombrelli di Hong Kong) o sonori (canzoni, fischietti, pentole e, ovunque, l’inno nazionale). L’inno nazionale e la bandiera non assumono mai il significato di sciovinismo o nazionalismo ideologico. Si tratta di una proclamazione d’identità cittadina: “la nazione siamo noi, il popolo”. Questo popolo si omogeneizza nell’azione e attraverso l’azione. Acquisisce progressivamente un’autonomia decisionale e di presenza pubblica.

 

La fase successiva è “destituente”. La forma è una messa in discussione generale della legittimità delle autorità politiche (“que se vayan todos” e “dégage” in Argentina, Tunisia, Egitto, Burkina Faso, Thailandia). Spesso in modo graduale, tutte le autorità vengono messe in discussione ogni volta che le azioni le colpiscono nel loro percorso. Questa fase è caratterizzata da un confronto più o meno violento con le figure che rappresentano il mondo politico governativo, i media, ma talvolta anche i rappresentanti eletti in generale, che vengono presi di mira in quanto “complici” del sistema. Nel processo si instaurano forme di dualismo di potere. Di fronte alla decisione presa dai poteri ufficiali, si verificano atti di disobbedienza civile frontale: occupazione di rotonde (Francia), piazze pubbliche (Spagna, Iraq, Tunisia, Francia, Egitto…), edifici ufficiali (Francia, Sudan, Spagna), impedimento di visite governative (Ecuador, Tunisia), manifestazioni vietate e così via. Non entrerò in ulteriori dettagli.

L’ultima fase è quella “costituente”. Due casi si presentano. In primo luogo, in senso letterale, la rivendicazione di una nuova organizzazione dei poteri pubblici e dei diritti individuali provoca la convocazione di un’Assemblea costituente (Venezuela, Ecuador, Tunisia, Cile). Nel secondo caso, forum e assemblee pubbliche iniziano a discutere le forme che uno Stato giusto dovrebbe assumere (Indignados Puerta del Sol in Spagna, Nuit debout a Parigi).

L’analisi dimostra che i momenti delicati sono le transizioni da uno Stato all’altro. Le transizioni di fase sono dei momenti cruciali. L’intero processo può bloccarsi e retrocedere o spegnersi se una di queste transizioni fallisce.

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