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[FRANCIA] I giorni felici della sanità?

Lunedì 25 maggio in Francia sono cominciati gli “stati generali della sanità”, una grande concertazione che dovrebbe fare il punto in merito alla crisi sanitaria che il paese ha vissuto da marzo a oggi e tradurre in misure concrete le promesse fatte finora dal presidente Macron e dal governo: come in Italia, i nodi derivati da anni di tagli delle risorse destinate al sistema sanitario, di privatizzazioni e di implementazione di politiche aziendaliste in un settore così importante sono venuti al pettine per via della pandemia.

Lo stesso giorno un collettivo formato da membri del personale sanitario, a tutti i livelli, ha inviato una lettera aperta a Macron e ha reso pubblico un manifesto con una serie di proposte da attuare per fare in modo che, terminata l’emergenza, non si torni alla normalità pre-pandemia – quella normalità che era in sé stessa un problema, come nell’ultimo anno avevano denunciato numerose mobilitazioni del personale sanitario francese.

Traduciamo qui la lettera e le sei misure d’emergenza proposte dal collettivo “Les Jours Heureux”, ossia “I giorni felici”. Il loro nome è un riferimento all’ultima frase del discorso alla nazione tenuto da Macron il 13 aprile: “Ritroveremo i giorni felici. Ne sono certo”. Ma attenzione: “I giorni felici” è anche il titolo del programma adottato dal Consiglio Nazionale della Resistenza in Francia nel 1944, quando si trattava di gettare le basi per una società diversa e più giusta da costruire dopo la guerra. Insomma, Macron prova ad impadronirsi di qualcosa che è molto distante da lui, e dubitiamo che alla retorica seguiranno i fatti: ma forse la mobilitazione del personale sanitario potrà costringerlo a fare in modo che ciò avvenga.


Al presidente della Repubblica.

Da mesi, da anni, in realtà da molto prima che lei fosse eletto, un gran numero di professionisti ha espresso le proprie inquietudini circa l’evoluzione estremamente preoccupante del sistema sanitario…senza avere risposte all’altezza dei problemi sollevati.
E quello che noi tutti temevamo è avvenuto: un cataclisma. L’epidemia di Covid si è abbattuta sulla nazione, portando in prima linea l’ospedale pubblico, fragile, sguarnito, debole. Siamo in guerra, come lei ha ripetuto, e dopo il blitzkrieg della prima ondata, adesso viene il momento delle trincee. Bisogna tenere, ma i combattenti, esausti, finiranno con il disertare se il “piano imponente” che lei, signor Presidente, ha annunciato non sarà all’altezza della posta in gioco.

I colleghi delle case di riposo hanno messo in guardia da molti anni circa la mancanza di personale e la mancanza di mezzi.
Oggi i residenti delle case di riposo – i nostri anziani – e il personale che vi lavora sono quelli che hanno pagato e pagano ancora il prezzo più pesante per questa pandemia.
Poi a spiegare che i loro mezzi non erano più all’altezza dei crescenti bisogni della nostra popolazione sono stati gli psichiatri. Il personale medico e paramedico, in quantità, è stato spinto ad abbandonare i servizi psichiatrici degli ospedali pubblici.
Alcuni l’anno scorso sono arrivati persino a dichiararsi in sciopero della fame per difendere la loro specialità al servizio dei nostri concittadini. Gli effetti della pandemia di Covid arrivano a toccare la psichiatria. I bambini e gli adulti seguiti abitualmente, o indeboliti da queste settimane di confinamento e di stress generalizzato, avranno bisogno di questo personale sanitario specializzato.

Allora è stato il turno dei nostri colleghi delle urgenze – ora è più di anno che vanno avanti. Alcuni, l’estate scorsa, si sono addirittura dichiarati malati per sperare di essere ascoltati. Nessun gesto all’altezza delle questioni poste. E loro sono stati in prima linea quando l’ondata è arrivata fino all’ospedale, dopo aver sommerso i nostri colleghi sul territorio, i medici generalisti, gli infermieri, i fisioterapisti, i farmacisti. Un bonus in busta paga non sarà sufficiente a riconoscere il loro lavoro e la loro professionalità.

Quindi per difendere l’ospedale pubblico si sono mobilitati a loro volta gli altri medici, di tutte le specialità, di tutti i tipi d’esercizio, di tutte le sponde politiche, e anche il resto del personale ospedaliero, amministrativi, ingegneri, segretari, tecnici, barellieri.
Risultato: una minuscola estensione del budget e dei piccoli bonus per una piccola minoranza del personale poi dei servizi, degli interi ospedali hanno cessato i loro pagamenti alla Sicurezza sociale, per dimostrare alla loro amministrazione l’assurdità di un sistema che giustifica solo le cure da cui può derivare un profitto. Sempre nulla. Nessun gesto reale per fermare questa distruzione programmata.

Allora all’inizio di quest’anno 1.300 primari sono arrivati fino al punto di dimettersi dalle loro funzioni amministrative. Una cosa mai vista. Come se niente fosse, i loro direttori hanno rifiutato di prendere atto di queste dimissioni, ed è stata l’unica risposta a questo movimento inedito.

E ora eccoci qua, bisogna rimettere in sesto il sistema. Gli affari riprendono, come si usa dire. I dirigenti ritornano a spiegare a un personale sanitario estenuato come fare funzionare l’ospedale come si trattasse di una impresa commerciale.

All’inizio del mese di marzo, appena prima dell’ondata di Covid, vedendo il dramma che si avvicinava, il Consiglio economico, sociale e ambientale (la terza assemblea della nostra Repubblica), si è occupato in emergenza delle difficoltà dell’ospedale pubblico.
L’11 marzo ha votato all’unanimità una risoluzione dal titolo Il diritto alla salute per tutti: 147 membri del Consiglio hanno votato a favore, 2 contro, 1 si è astenuto.
Nelle prossime settimane il Consiglio trasmetterà un parere al Parlamento e al governo, signor Presidente. Noi siamo impazienti. Speriamo che almeno questo verrà ascoltato.

Per fare fronte all’ondata di Covid-19, nonostante tutte queste grida di allarme che non hanno mai trovato ascolto, l’ospedale pubblico si è organizzato in tutta fretta, con solidarietà, collettivamente, efficace come può facilmente esserlo quando gli vengono dati i mezzi per reagire al meglio – su tutto il territorio, tanto nel Nord-Est della Francia, sommerso, quando nel Sud, solidale. Si è dovuti correre dietro ai letti, al personale, al materiale, ai medicamenti. E tutto questo non è finito. Oggi un poco alla volta le rianimazioni si svuotano, i servizi di riabilitazione strabordano ma l’epidemia non è finita e cominciano a ritornare i pazienti non Covid, ancora più fragili. L’ospedale non tiene più. L’eccezionalità di qualche settimana non potrà tenere per più mesi.

Eppure tutte le sere gli utenti ci ringraziano. Tutte le mattine, tutti i pranzi in cui siamo di guardia, il fine settimana loro cucinano per noi. I bambini ci mandano dei disegni per ringraziarci. E anche noi siamo profondamente riconoscenti a tutti i nostri concittadini che a loro volta hanno voglia di prendersi cura di noi. Ma questo non sarà sufficiente, signor Presidente. Dovranno aiutarci a mostrarle che le parole non bastano più, che anche loro vogliono un ospedale pubblico forte, una vera risorsa nel cuore del proprio territorio, in connessione permanente con i liberi professionisti, con le strutture private, con tutti i colleghi delle cure primarie che hanno dovuto organizzarsi per resistere e che ormai arrivano in prima linea. Certo non “costi quel che costi”, secondo le parole che lei ha usato, ma solamente “al giusto costo” per la salute dei nostri anziani, dei nostri bambini, di tutti i nostri concittadini.

“Lei ha potuto contare su di noi”, signor Presidente, ora ci faccia vedere che noi possiamo contare su di lei. Metta in atto il programma sanitario dei “giorni felici” proposto dai professionisti della sanità!

Sei misure d’urgenza

  1. La gratuità integrale dei dispositivi di protezione, di tracciamento e di cura legati al Covid-19.
  2.  L’incremento del prossimo budget della sanità, nella misura necessaria per rispondere ai bisogni sia degli ospedali sia della medicina di territorio, e per ricostruire una psichiatria disastrata.
  3. Un aumento dei bassi salari del personale sanitario che lavora negli ospedali, nella medicina di territorio e nelle case di risposo, perché in tre anni sia raggiungo il livello medio dei redditi corrispondenti nei paesi dell’OCSE.
  4.  Fermare la politica di soppressione dei posti letto ospedalieri e annullare le riduzioni programmate. Al contrario, bisogna aprire il numero di posti letto ospedalieri necessari per rispondere ai bisogni, in particolar modo per la copertura delle urgenze e della riabilitazione.
  5. L’assunzione e la formazione di personale sanitario, perché siano garantite la sicurezza e la qualità delle cure.
  6. L’approvazione di una legge di democrazia sanitaria, che formalizzi la partecipazione del personale sanitario e degli utenti alle decisioni che vengono prese riguardo alla sanità, e che ponga la gestione al servizio della cura e della prevenzione. Questa legge limiterà lo spazio della T2A (tariffazione all’attività, metodo di finanziamento delle strutture sanitare pubbliche e private basato sui risultati conseguiti da ciascuna struttura secondo un quadro comune riferimento) e rivedrà la “governance d’impresa” implementata tramite la legge HPST (ospedale, pazienti, sanità, territori).
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