Scandalose le dichiarazioni del ministro Di Maio sullo sciopero di ieri, 25 Ottobre, che ha visto una larghissima adesione nel trasporto pubblico locale delle principali città italiane, ormai ridotto al collasso dalle politiche di questi anni.
Il vicepremier ha definito lo sciopero “indecente” perché indetto di venerdì, sostenendo che in realtà i lavoratori ne approfittino per fare il fine settimana lungo.
Il capo del Movimento che doveva cambiare tutto fa ormai dichiarazioni fotocopia di quelle del suo ex arcinemico Matteo Renzi, che da premier periodicamente attaccava i lavoratori in sciopero, definendo i sindacati che li organizzavano una “minoranza” che teneva in ostaggio la maggioranza di cittadini che subivano disagi.
Mentre ancora non riusciamo a capire come faccia “un’infima minoranza” ad indire scioperi ad altissima adesione – sequestrano i bus? Tagliano le gomme? O forse non sono “un’infima minoranza”? – ci chiediamo anche in che paese viva Di Maio. Un paese bellissimo, quello in cui migliaia di dipendenti del TPL, vessati da anni di tagli, costretti a guidare mezzi fatiscenti e pericolosi, esposti alla rabbia della cittadinanza per colpe non loro, non trovino niente di meglio da fare, il venerdì, che allungarsi il w-e, a pagamento – perché scioperare costa, lo sa il ministro? – e magari partire per una romantica fuga in Costiera.
Un paese soprattutto dove i dipendenti pubblici che scioperano sono dei privilegiati, che magari tornano a casa nel SUV con l’autista, e non dei poveri cristi che quando non sono a lavoro sono anche loro utenti dei disastrati servizi pubblici e subiscono le conseguenze nefaste dei tagli degli ultimi anni.
Ma se Di Maio è indecente, purtroppo non è solo. Abbiamo avuto il dispiacere di leggere, con raccapriccio, un comunicato congiunto delle segreterie regionali di Milano e della Lombarida di Filt-Cgil, Fit-Cisl e UIL Trasporti contro lo sciopero indetto dal sindacalismo di base. Nel comunicato, oltre a rivendicare di aver fatto meno scioperi di chiunque altro negli ultimi anni (va tutto bene, madama la marchesa!), ripetono la sciocchezza del venerdì e chiedono esplicitamente la revisione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali – la 146 del 1990, non del 1991 come scrivono, sbagliando – per “raccordare il diritto costituzionale allo sciopero con il reale consenso che un sindacato abbia in un’azienda, con il risultato di ridurre il numero di astensioni” (grassetto nostro).
In parole povere, le segreterie lombarde delle federazioni dei trasporti di CGIL CISL e UIL, chiedono esplicitamente la limitazione dell’esercizio di un diritto costituzionale per limitare le adesioni agli scioperi non indetti da loro – quindi quasi a tutti, dal momento che per loro stessa ammissione ne indicono sempre meno. Non sappiamo chi siano gli autori materiali del comunicato, ma siamo di fronte ad una pagina davvero buia del sindacalismo in Italia.
Mentre un vicepremier sbraita contro quelli che definisce scioperi ponte e tre importanti segreterie sindacali chiedono la limitazione ulteriore del diritto di sciopero, nel silenzio quasi totale la Commissione di Garanzia sugli scioperi ha in programma, il prossimo 5 Novembre, un incontro con l’ARAN per ridefinire alcune regole relative allo sciopero nella scuola. Si ipotizza l’istituzione dell’obbligo di comunicazione preventiva dell’adesione allo sciopero, nonché l’obbligo di comunicare, da parte del DS, chi siano le sigle che lo hanno indetto, quali siano i motivi, ma soprattutto quali siano state le percentuali di adesione agli scioperi precedentemente indetti dagli stessi sindacati.
È chiaro che, mentre tra Governo e sindacalismo corporativo si gioca agli apprendisti stregoni, c’è chi nell’ombra lavora, da anni, per un’ulteriore, forte limitazione del diritto di ricorrere all’unico strumento valido, nonostante tutto, per la rivendicazione dei diritti di chi lavora.
È altrettanto chiaro, dunque, che chiunque dichiari di essere dalla parte di chi lavora non può avere dubbi nello schierarsi apertamente contro siffatte dichiarazioni o atti, che vengano dal Governo, dai partiti o da qualsivoglia sigla sindacale.
Il diritto di sciopero è sacrosanto: attaccarlo significa essere contro il lavoro, contro la cittadinanza, contro la Costituzione. Noi non siamo disposti ad assistere inermi al suo smantellamento!