In evidenzaNewsTavoli tematicitavolo lavoro

Whirlpool chiama, Irisbus risponde!

Perché per capire il futuro di Napoli dobbiamo guardare al passato. E ad Avellino

C’era una volta, in Valle Ufita, a Flumeri, una fabbrica. Era la più grande fabbrica italiana di autobus, di proprietà FIAT, con committenze essenzialmente pubbliche. Una classica storia italiana di intrecci tra industria e politica – con la FIAT, poi, era quasi una cosa sola – che attraversa varie crisi, sempre più intense, fino ai primi anni 2000. Nel 2001 la fabbrica, che era per metà francese, passa sotto il controllo totale di Fiat Iveco. Nel 2008, una nuova espulsione di lavoratori. Nel 2010 alla Irisbus viene tolta la costruzione degli autobus extraurbani per lasciare solo i meno vendibili autobus urbani. Nel 2011, a luglio, gli operai apprendono della chiusura dai giornali. Inizia una battaglia lunghissima, con presidi davanti alla fabbrica, al MISE, e 116 giorni di sciopero. All’inizio la FIAT voleva vendere lo stabilimento ad un partner molisano, il Di Risio titolare della DR Motors, ma si scoprì che costui, in origine titolare di una semplice concessionaria, aveva una società con soli 30000 euro di capitale. Anche il MISE dovette ammettere che non era un partner credibile, per cui la FIAT si rivolse a Stefano Del Rosso, distributore italiano degli autobus della cinese King Long. Nel 2015 nasce, sulle ceneri di Irisbus, l’Industria Italiana Autobus, al 70% proprietà di Del Rosso e al 30% di Finmeccanica. La nuova società nasce con il contributo consistente della neonata Invitalia, agenzia statale per lo sviluppo e gli investimenti, che finanzia il progetto con 18 milioni. Tutto bene, dunque? No. La Fiat che, ben contenta di uscire dal pantano, “regala” 5 milioni alla nuova società, alla chiusura, nel 2011, si era portata via tutto: linee, macchinari, persino i telefoni. Tutta roba comprata, ovviamente, con consistenti contributi pubblici.

La nuova società, che sulla carta potrebbe soddisfare, con i suoi tre stabilimenti italiani (Flumeri, Bologna, Fiano Romano), in realtà non produce, quantomeno non in provincia di Avellino. Forte della consolidata partnership tra l’ex BredaMenarini – proprietà Finmeccanica, confluita nella nuova società – e i turchi della Karsan, Del Rosso risponde alla domanda pubblica di autobus con prodotti fatti in Turchia, senza che a nessuno venga in mente di chiedere conto dello stato di salute del sito avellinese dove, a detta degli operai, di reindustrializzazione non c’è stata nemmeno l’ombra e, a fronte di una capacità produttiva di 4 autobus al giorno, a stento ne escono 2 al mese.

Si arriva così al 2018. Il governo del cambiamento fa fuori Del Rosso e garantisce nuove iniezioni di capitali pubblici nella società di cui diventa partner maggioritario proprio la Karsan, col 70% delle quote…fino a gennaio 2019. Dopo appena un mese dalla ricapitalizzazione, la Karsan riduce le sue quote a circa il 20 %, Invitalia le aumenta al 30 %, un altro 20% circa a Finmeccanica e l’altro 30% ad un quarto socio, misterioso, così tanto che ancora non si è palesato. Le commesse per la IIA continuano ad essere inviate in Turchia perché lo stabilimento di Flumeri, depredato dalla FIAT, non è stato ancora ristrutturato. Dal 2011 arriviamo così al 2019, ma nell’avellinese ancora non si producono autobus.

Morale della favola: la FIAT tenne in piedi una fabbrica con consistenti aiuti statali. Nel momento in cui divenne più profittevole delocalizzare la produzione, chiuse, portandosi via i macchinari, e pur di andarsene finanziò la nascita di una nuova società, con un nuovo partner, che ebbe il consistente contributo di Invitalia, l’agenzia per lo sviluppo del Ministero dell’Economia. Da questo momento, quasi nessun autobus è stato più prodotto a Flumeri: i soci sono cambiati ma non la sostanza, che vede la produzione spostata in Turchia e un costante afflusso di capitali da Invitalia formalmente per una ristrutturazione che non c’è stata e non ci sarà mai, materialmente per scopi puramente politici: disinnescare la rabbia e aspettare che, tra invecchiamenti e prepensionamenti, la storia della più grande fabbrica italiana di autobus si risolva così, per vie anagrafiche.

Che cosa ci insegna questa storiella, così poco edificante?

1. Mai fidarsi delle promesse: a scorrere i titoli dei giornali, ogni mese, dal 2011 ad oggi, doveva ripartire la produzione di autobus

2. Gli imprenditori privati sono “irresponsabili”: per tutelare i propri interessi sono pronti a scappare col tesoro – FIAT – a millantare crediti che non hanno – Di Risio – ad esternalizzare la produzione – Del Rosso. Italiani, turchi, cinesi, i padroni hanno la faccia di un solo colore, il verde delle banconote di Zio Paperone

3. Invitalia non è un’agenzia per lo sviluppo. Da quando esiste non ha “salvato” nemmeno un’impresa. Invitalia è una fonte inesauribile di guadagno…per gli imprenditori

4. Qualunque cosa accada, da una fabbrica in crisi non deve uscire nemmeno un bullone, per nessun motivo

5. Solo il popolo salva il popolo. La solidarietà e la determinazione sono le nostre armi più forti.

Lascia un commento