Il 20 febbraio, l’ambasciatore degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite (ONU) Linda Thomas-Greenfield ha avuto il terribile compito di porre il veto alla risoluzione dell’Algeria per il cessate il fuoco a Gaza. Amar Bendjama, ambasciatore algerino all’ONU, ha dichiarato che la risoluzione da lui presentata era stata elaborata dopo le conversazioni tenutasi tra i 15 membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Gli è stato comunque chiesto di ritardare la risoluzione, ma il suo Paese ha rifiutato. “Il silenzio non è un’opzione praticabile”, ha risposto. “Ora è il momento di agire e di dire la verità”. Quando il 26 gennaio la Corte internazionale di giustizia (CIG) ha suggerito che le azioni di Israele a Gaza equivalgono a un genocidio “plausibile”, l’Algeria ha promesso di agire immediatamente attraverso il Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Dal 7 ottobre, Israele ha ucciso quasi 30.000 palestinesi a Gaza, di cui oltre 13.000 bambini. Dall’ordine della CIG del 26 gennaio di fermare il genocidio, Israele ha ucciso oltre 3.000 palestinesi. Dopo mesi di fuga da una presunta zona sicura a un’altra che Israele ha poi bombardato, oltre 1,5 milioni di palestinesi – più della metà della popolazione di Gaza – sono intrappolati a Rafah, il punto più a sud di Gaza e oggi l’area più densamente popolata del mondo. Rafah, che prima del 7 ottobre aveva una popolazione di 275.000 abitanti, è ora bombardata da Israele.
Nonostante questa triste realtà, l’ambasciatore Thomas-Greenfield ha dichiarato che gli Stati Uniti non potevano appoggiare la risoluzione in favore del cessate il fuoco perché non condannava Hamas e perché avrebbe messo a rischio i negoziati in corso per il rilascio degli ostaggi. L’ambasciatore cinese all’ONU, Zhang Jun, in disaccordo, ha sottolineato che il veto “non è niente di diverso dal dare il via libera a continuare il massacro”. Solo “spegnendo il fuoco della guerra a Gaza”, ha detto, “possiamo evitare che il fuoco dell’inferno inghiotta l’intera regione”.
In effetti, la dichiarazione di Thomas-Greenfield al Consiglio di Sicurezza è arrivata in concomitanza con il tentativo del suo governo di fornire 14 miliardi di dollari in aiuti militari a Israele. Dal 1948, anno della nascita ufficiale di Israele, gli Stati Uniti gli hanno fornito oltre 300 miliardi di dollari in aiuti, tra cui un’erogazione annuale di 4 miliardi di dollari di aiuti militari (e le decine di miliardi in programma dal 7 ottobre 2023). Quando l’11 febbraio il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha parlato con il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, invece di criticare il genocidio ha ribadito “l’obiettivo comune di vedere Hamas sconfitto e di garantire la sicurezza a lungo termine di Israele e del suo popolo”. Il veto di Thomas-Greenfield, quindi, non è arrivato dal nulla.
Il veto è stato usato nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite quasi 300 volte. Dal 1970, gli Stati Uniti hanno usato questo potere più di tutti gli altri membri permanenti (Cina, Francia, Russia e Regno Unito). Molti dei veti degli Stati Uniti sono stati usati prima per difendere il regime di apartheid in Sudafrica, iniziato nell’anno di fondazione di Israele, e poi per difendere Israele da qualsiasi critica. Per esempio, 27 dei 33 veti che gli Stati Uniti hanno esercitato dal 1988 sono stati in difesa delle azioni di Israele contro i palestinesi. Dal 7 ottobre, gli Stati Uniti hanno posto il veto a tre risoluzioni in sede ONU per costringere Israele a fermare i suoi bombardamenti genocidi (18 ottobre, 8 dicembre e 20 febbraio).
Nonostante il suo uso ricorrente da parte degli Stati Uniti, la parola “veto” non compare nella Carta delle Nazioni Unite (1945). Tuttavia, l’articolo 27, paragrafo 3, della Carta stabilisce che le votazioni in seno al Consiglio di sicurezza “si effettuano con il voto favorevole di nove membri, compresi i voti concordanti dei membri permanenti”. L’idea del “voto concordante” viene interpretata come “diritto di veto”. Per decenni, la maggior parte degli Stati membri delle Nazioni Unite ha insistito sul fatto che il Consiglio di Sicurezza non è democratico e che il potere di veto lo rende ancora meno credibile. Nessun Paese africano o latinoamericano ha un seggio permanente nel Consiglio, e anche al Paese con la popolazione più numerosa del mondo – l’India – è negato questo privilegio. I P5 (Permanent Five, come vengono chiamati) non solo hanno dominato il Consiglio di Sicurezza, ma hanno anche indebolito l’importanza dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, le cui risoluzioni non hanno alcun potere esecutivo.
Nel 2005, le Nazioni Unite hanno tenuto un vertice mondiale per valutare le minacce di alto livello all’ordine mondiale, durante il quale l’allora vicepresidente del Costa Rica Lineth Saborio Chaverri ha affermato che “il diritto di veto dovrebbe essere eliminato in caso di genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e massicce violazioni dei diritti umani”. Dopo quel vertice, il Costa Rica si è unito a Giordania, Liechtenstein, Singapore e Svizzera per creare lo Small Five (S5) e chiedere la riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Hanno presentato una dichiarazione all’Assemblea generale in cui si specificava che “nessun membro permanente dovrebbe porre il veto ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3, della Carta in caso di genocidio, crimini contro l’umanità e gravi violazioni del diritto internazionale umanitario”. Ma questo non ha avuto alcun impatto. Dopo lo scioglimento dell’S5 nel 2012, 27 Stati si sono uniti per creare il gruppo Accountability, Coherence, and Transparency (ACT), in gran parte per riformare il “diritto di veto”. Nel 2015, il gruppo ACT ha diffuso un codice di condotta specifico sull’azione delle Nazioni Unite contro le gravi violazioni del diritto umanitario. Entro il 2022, 123 Paesi avevano sottoscritto questo codice, anche se i tre Paesi che negli ulitmi anni hanno usato più energicamente il veto (Cina, Russia e Stati Uniti) non lo hanno fatto. Con l’aumento delle tensioni che gli Stati Uniti hanno imposto a Cina e Russia, è improbabile che questi due Paesi – ora minacciati di attacco da parte degli USA – accedano allo scioglimento del veto.
La Carta delle Nazioni Unite, il trattato più importante del pianeta, è un tentativo di porre fine alle guerre e di garantire che ogni vita umana sia custodita. Eppure, il nostro mondo è fratturato da una divisione internazionale dell’umanità secondo la quale la vita di alcune persone vale molto di più di quella di altre. Questa divisione è una violazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) e del fondamentale istinto condiviso di uguaglianza sociale. La protezione dei bambini della Palestina, ad esempio, è trattata con molta meno urgenza della protezione dei bambini dell’Ucraina (come ha detto Kelly Cobiella, corrispondente di NBC News a Londra, gli ucraini non sono rifugiati da qualsiasi luogo: “Per dirla senza mezzi termini…sono cristiani, sono bianchi”). Questa divisione internazionale dell’umanità si insinua, generazione dopo generazione, nella coscienza collettiva.
Ne Il libro degli abbracci (1992), il nostro amico Eduardo Galeano ha scritto un breve frammento sulle gravi divisioni che affliggono il nostro mondo e che conficcano un freddo paletto di ferro nel cuore del nostro senso di umanità. Quel frammento si chiama I nessuno:
Le pulci sognano di comprarsi un cane
e i nessuno sognano di non essere più poveri,
che un giorno magico piova all’improvviso la fortuna,
che piova a catinelle la fortuna;
ma la fortuna non piove né oggi, né domani, né mai,
né come pioggerella cade dal cielo la fortuna,
per quanto i nessuno la invochino
e benché pruda loro la mano sinistra,
o scendano dal letto col piede destro,
o comincino l’anno cambiando la scopa.
I nessuno: i figli di nessuno, i padroni di niente,
che non sono, nonostante siano.
I nessuno: i niente, gli annientati, affamati, morendo la vita, fottuti, fottutissimi:
Che non parlano lingue, ma dialetti.
Che non professano religioni, ma superstizioni.
Che non fanno arte, ma artigianato.
Che non praticano cultura, ma folclore.
Che non sono esseri umani, ma risorse umane.
Che non hanno viso, ma braccia.
Che non hanno nome, ma un numero.
Che non figurano nella storia universale, ma nella cronaca nera della stampa locale.
I nessuno che costano meno della pallottola che li uccide.
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della nona newsletter (2024) di Tricontinental: Institute for Social Research.
Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.