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OLTRE 10MILA AL CORTEO CONTRO IL GOVERNO MELONI, FLOP COMIZIO FRATELLI D’ITALIA

“Oltre 10mila al corteo contro il governo Meloni, flop comizio Fratelli d’Italia”

Questo avrebbe dovuto essere il titolo dei giornali di ieri, con in testa l’immagine delle due piazze a confronto. Da un lato un movimento di opposizione in crescita, composto da forze organizzate, che si muove fuori dal centrosinistra e dal recinto delle opposizioni parlamentari, dall’altro Fratelli d’Italia, il partito al potere in questo paese, che mostra, al di là della retorica muscolare della Presidente del Consiglio, tutta la sua fragilità politica.

I giornali hanno invece preferito concentrarsi su un presunto duello Meloni-Schlein relegando il corteo del 1° giugno a un episodio di ordine pubblico, addirittura concentrandosi in maniera morbosa su una presunta divisione tra il corteo partito da piazza Vittorio e la componente dei collettivi della Sapienza che è confluita da Piazza Aldo Moro e che ha provato a dirigersi verso Termini, venendo bloccata dai manganelli. Lo diciamo chiaramente, non accettiamo speculazioni su supposte divisioni tra buoni e cattivi.

Potere al popolo! di fronte alle politiche di riarmo e alla complicità del Governo e dell’industria delle armi con un genocidio in corso ritiene giusto e necessario contestare i palazzi del potere, come è stato fatto durante il percorso del corteo di fronte al Palazzo dell’aeronautica.

Una narrazione meno irreggimentata avrebbe messo invece in luce come le due manifestazioni di sabato a Roma, quella di Fdi e la nostra, sono state molto più di due piazze contrapposte. Sono state, in piccolo, due idee di Paese diverso. Anzi, due Paesi diversi.

A Piazza del Popolo, con Meloni, il Paese di Intesa SanPaolo e delle banche, di Salini-Impregilo e dei grandi costruttori, di Briatore e dei balneari, di Roccella e degli antiabortisti, di Piantedosi e di quelli che parlano di ‘carichi residui’, di Leonardo e delle imprese delle armi, degli amici di Netanyahu e dei complici del genocidio in Palestina. Un Paese che, badate bene, è in parte rappresentato anche dal centrosinistra e dalla sua forza egemone, il PD, sotto i cui governi “puri” o “di coalizione” – pensiamo solo al Conte 2 e al Governo Draghi – l’industria delle armi ha continuato a fare grandi affari e sono proseguiti indisturbati i trasferimenti di armi, brevetti e ricerche verso Israele, sotto egida statunitense.

A Piazza Vittorio, con noi, c’era invece il Paese di Angela che non riesce più a pagare alla banca il mutuo variabile, di Peppe che vuole che i miliardi stanziati vengano usati per gli interessi delle popolazioni di Calabria e Sicilia, di Marica, lavoratrice da anni presso un lido, sempre con salario da fame e zero giorni di riposo, di Rossella che ha abortito e non si sente in colpa e non vuole l’Inquisizione nei consultori, di Lorenzo studente ucciso in alternanza scuola-lavoro, di Soumaila che lavora nei campi e si batte per un contratto regolare e un salario minimo di 10€ l’ora, di Giulia che da mesi partecipa a tutti i cortei per la Palestina e oggi è in una delle acampadas universitarie che rivendicano lo stop al genocidio israeliano.

Se la nostra piazza, con oltre diecimila persone presenti, sessantanove organizzazioni e associazioni aderenti (da Potere al popolo!, ai sindacati di base come USB, agli studenti che hanno animato in prima linea il movimento di solidarietà con la Palestina, a movimenti ecologisti come i No Ponte, ad avanguardie di classe come i portuali di Genova, e molti altri), ha superato numericamente e qualitativamente la piazza di Meloni, non è solo grazie alla determinazione e alla generosità degli organizzatori e delle persone presenti.

È anche perché il progetto meloniano non mobilita, anzi riposa su una fragilità strutturale. La sua coalizione di Governo un anno e mezzo fa raccoglieva infatti un blocco di voti (12.305.014) molto inferiori al centrodestra dell’epoca d’oro di Berlusconi (tra 15.722.000 e 18.978.000 voti) e persino inferiore al risultato totale del centrodestra nel 2018 (12.409.981). Il potere di Meloni si fonda dunque più uno spostamento di voti interno al centrodestra (da Forza Italia a Lega a Fratelli d’Italia), che su una mobilitazione di quella base e su uno sfondamento nel voto operaio e popolare, che sempre di più va ad alimentare il grande bacino dell’astensione.

Ciò vuol dire che c’è una rivoluzione alle porte? Assolutamente no. Vuol dire che il Governo in questo momento conta più su una passivizzazione delle masse che su una loro adesione.

In primo luogo intervenendo sul piano della repressione e del controllo di quei settori potenzialmente mobilitabili. Prova ne era ieri il ridicolo schieramento di oltre mille poliziotti, con tanto di elicotteri svolazzanti sopra la nostra testa, per proteggere un comizio mezzo vuoto.

Prova ne sono, su un piano più strutturale, i numerosi provvedimenti volti a aumentare il controllo sulle classi popolari, pensiamo ai decreti anti-rave (leggi anti occupazioni), ai divieti di sciopero, la reintroduzione di meccanismi autoritari nella scuola, ai manganelli contro gli studenti in lotta contro il genocidio dei palestinesi, ma anche l’eliminazione del reddito di cittadinanza che costringe centinaia di migliaia di persone ad accettare salari da fame invece di ribellarsi – per quanto individualmente – contro le schifose condizioni di lavoro vigenti nel nostro paese.

In secondo luogo intervenendo su un livello politico-istituzionale più alto, tanto attraverso il progetto di “premierato”, che prevede la verticalizzazione delle decisioni in stile ungherese (ma anche francese), quanto attraverso la totale sudditanza all’imperialismo USA, con lo scopo di avere mano libera in politica interna.

Questa passivizzazione delle masse prodotta da anni di dispositivi neoliberali e di tradimenti, prima del centrosinistra, poi del populismo grillino, oltreché effetto della Pandemia, è un problema anche per noi che ambiamo a suscitare un processo di radicale trasformazione con e per la maggioranza che produce realmente la ricchezza in questo paese. Senza porsi nell’ottica di rispondere a questo stato di passività, è difficile produrre quello scarto in grado di sconfiggere l’attuale governo.

Il tentativo della manifestazione di sabato, riuscitissimo, era dunque quello di mostrare alla società italiana che esiste una vera opposizione, che al di fuori delle forze politiche screditate impegnate nelle europee esistono riferimenti (politici, giovanili, sindacali) chiari e definiti, e che è dunque possibile uscire dall’isolamento e dalla rassegnazione: non siete soli, non siamo soli, si può reagire alla barbarie, ai salari da fame e a un genocidio in corso.

Ora è il momento di dare continuità a questo processo, di continuare a mobilitarsi in primis contro la complicità del genocidio in Palestina, e contemporaneamente di rafforzarci dal punto di vista organizzativo. Con giugno e con l’estate saremo impegnati nella campagna adesioni a Potere al popolo!, e al tempo stesso a costruire comunità e dibattito politico, con l’appuntamento del campeggio ad agosto, che quest’anno vedrà una interessante novità.

Non è il momento della rassegnazione e della passività, e la manifestazione di sabato lo ha dimostrato. Come scriveva il grande scrittore e dirigente palestinese Ghassan Kanafani: “ti spetta qualcosa in questo mondo perciò alzati”!

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