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Tutto tranne la cooperazione

Ancora in discussione al Senato, la Legge di bilancio 2020 e le previsioni di spesa sino al 2022 non riserveranno sorprese positive per la cooperazione internazionale né quantitativamente, né qualitativamente. Gli stanziamenti infatti rimarranno bloccati e renderanno l’impegno, assunto in sede internazionale, di giungere nel 2030 allo 0,7% del reddito nazionale, solo un’altra promessa elettorale. Inoltre, la cooperazione bilaterale, quella che nasce da iniziative assunte autonomamente dall’Italia con i paesi ritenuti prioritari, rappresenterà il 10-15% delle poche risorse stanziate. Oltre il 50% riguarderà, infatti, il canale multilaterale che risponde sostanzialmente agli stretti obblighi internazionali che l’Italia è tenuta a rispettare (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura FAO, Fondo europeo per lo sviluppo, World Food Program, Banca mondiale etc). Nessuna visione, nessuna idea di sviluppo e cooperazione. Si fa il minimo e lo si giustifica con la motivazione del “se ne stiano a casa loro”.

Emblematica a riguardo è la triste storia del cosiddetto Fondo per l’Africa giunta con la prossima legge di bilancio ad un’ennesima farsa.  Il senatore M5S Vito Petrocelli ci annunciava alcuni giorni or sono che “questo strumento fondamentale per fronteggiare alla radice il fenomeno migratorio” ora estende il suo ambito di applicazione includendovi i paesi non africani. Presentato da Matteo Renzi a fine 2016 come una svolta nella politica di cooperazione italiana, il Fondo per l’Africa alimentò speranze che si spensero nel giro di pochi giorni quando, definite tramite decreto le linee d’indirizzo dall’allora Ministro degli esteri e della cooperazione internazionale Angelino Alfano, si capì che il fondo non sarebbe stato strumento di sviluppo, ma semplicemente mezzo di contenimento dei flussi dei migranti alle frontiere. Nemmeno un anno più tardi, sempre con governi di centro sinistra, dalla presa in giro si passò alla vergogna quando grazie all’analisi degli atti di delibera della Direzione generale delle politiche migratorie (Dgit) si poté constatare che i fondi venivano ad esempio utilizzati per “rilevare e comparare le impronte digitali dei migranti”, per “acquistare e rimettere in efficienza le motovedette”, per “creare unità specializzate per il controllo delle frontiere” in Tunisia, Libia e Niger.

Dopo le polemiche, adesso si cerca di fare le stesse cose, ma passando attraverso l’EUTF, il Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per la stabilità e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa. Ci si scarica di responsabilità, ma puntando all’unico risultato che interessa:  dimostrare che sulla politica migratoria nulla è cambiato. In compenso, come già previsto da Potere al Popolo in un precedente articolo, a partire da questa legge di bilancio il piano straordinario per la promozione del “Made in Italy” e l’attrazione degli investimenti in Italia, passa sotto la responsabilità del Ministero degli esteri a seguito del trasferimento al MAECI delle competenze in materia di commercio internazionale e di internazionalizzazione del sistema economico. Insomma, il Ministero degli esteri fa tutto tranne che occuparsi seriamente di cooperazione e non stupisce che nel decreto fiscale che accompagna la legge di bilancio solo all’ultimo momento è saltata una norma che avrebbe permesso anche alle imprese italiane operanti nel campo della difesa militare di avere accesso ai fondi per la cooperazione allo sviluppo. Ma questo, magari, ce lo riservano per la prossima finanziaria… a meno che non siamo noi per una volta a far saltare il banco.

 

Fonti

  • Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022, Senato della Repubblica.
  • Decreto Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, n. 4115, febbraio, 2018.

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