Si è conclusa a Madrid, con oltre 40 ore di ritardo rispetto alla chiusura ufficiale, la COP25, l’attesa, cruciale, indispensabile Conferenza delle Parti organizzata dall’UNFCCC e chiamata a rispondere concretamente al problema globale dei cambiamenti climatici. Una conferenza internazionale che mai come quest’anno si è palesata in tutta la sua traballante fragilità diventando in pochi giorni il simbolo di un clamoroso fallimento. Giorni di serrate trattative, pranzi, cene e colazioni di lavoro non hanno sciolto i nodi centrali di questo evento. Se da un lato può considerarsi positivo il raggiungimento dell’accordo sulla riduzione dei gas serra entro il 2030, dall’altro non si è fatto alcun passo avanti rispetto all’attuazione del famigerato articolo 6 dell’Accordo di Parigi, quello cioè che avrebbe dovuto indicare le regole del nuovo meccanismo per lo scambio tra Stati delle quote di emissione globale di CO2. Lo stesso segretario generale dell’ONU Antonio Guterres, ha definito i lavori della conferenza “un’occasione persa”. Non poteva essere altrimenti. Già prima dell’inizio della COP25, sia l’Australia che il Brasile avevano dichiarato di voler gestire autonomamente il proprio immenso patrimonio di foreste, elemento assolutamente fondamentale per l’assorbimento della CO2. Le trattative su questo punto si sono dunque dimostrate inconcludenti.
Pochissimi progressi anche sul fronte dei meccanismi finanziari che dovrebbero aiutare i paesi più vulnerabili dal punto di vista climatico e che sono seriamente minacciati dall’innalzamento dei mari o stremati dalla siccità. Forti contrasti si sono registrati proprio per la mancata sottolineatura nel documento finale della “importanza della finanza climatica”, contro la quale si sono schierati gli Usa, il Giappone e l’Arabia Saudita. Un’omissione gravissima e che ha scatenato subito l’ira di molti paesi ed in particolare di quelli africani i quali, attraverso il delegato egiziano, hanno fatto sapere che “quel passaggio era stato concordato, ma è poi scomparso”.
Non sono quindi bastati i buoni propositi della vigilia e le pressioni dei movimenti ambientalisti per trovare un accordo. In realtà non si è riusciti neppure ad andare oltre un timido appello a fare «sforzi più ambiziosi», in un testo che ribadisce una generica «necessità urgente» di aumentare i tagli alle emissioni, in linea con l’accordo di Parigi. A tal proposito, risulta poi generico e poco più che simbolico l’impegno dell’Unione Europea per la riduzione delle emissioni e per il raggiungimento della così detta “carbon neutrality” entro il 2050.
Il sistema economico e l’ingordigia degli stati più industrializzati hanno continuato quindi ad ignorare il problema dei cambiamenti climatici: l’ultimo studio di Climate Transparency certifica, infatti, che nessun paese del G20 sta rispettando l’Accordo di Parigi.
In sostanza, nonostante nel mondo sia cresciuta enormemente la popolarità di nuovi movimenti come Fridays for Future ed Extinction Rebellion e malgrado la ormai costante e consapevole pressione da parte degli scienziati e dell’opinione pubblica globale, i signori che si sono incontrati in questo summit internazionale hanno continuato a prendere tempo rinviando ogni decisione alla COP26, che si svolgerà a Glasgow il prossimo novembre.
La sensazione, condivisa anche ai cortei e alla Cumbre Social por el Clima di Madrid, è che rispetto al già timido Accordo di Parigi del 2015, la COP25 abbia segnato un clamoroso passo indietro. In questa situazione, la comunità scientifica continua a denunciare che, se non si invertirà rapidamente la rotta entro la fine del secolo, si toccherà un aumento delle temperature di 3,2° rispetto ai valori del periodo preindustriale.
La sabbia nella clessidra è sempre meno. La COP25 è stata un fallimento!
Potere al Popolo!