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NATO: L’ORGANIZZAZIONE PIÙ PERICOLOSA DELLA TERRA

Cover art by Tricontinental: Institute for Social Research

Dossier n. 89
Giugno 2025
Una collaborazione tra Tricontinental: Institute for Socail Research, No Cold War e Zetkin Forum for Social Research

L’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (North Atlantic Treaty Organisation, NATO) afferma di star affrontando la più grande crisi esistenziale nella sua storia lunga quasi ottant’anni. Ora che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il suo team per la sicurezza nazionale hanno – apparentemente – voltato le spalle all’Europa e hanno affermato che non intendono più pagare per la sua sicurezza, i leader e le leader della regione si affrettano ad aumentare i fondi per incrementare il loro supporto alla guerra in Ucraina e potenziare la propria produzione e capacità in ambito militare. Tuttavia, non c’è stato nessun segnale tangibile del fatto che gli Stati Uniti, che sono la forza egemone dentro la NATO, si ritireranno da quello strumento militare o cercheranno di romperlo generando divisioni. La NATO risponde a una vasta serie di obiettivi degli Stati Uniti e lo ha fatto fin dalla sua fondazione nel 1949. Fare pressione sugli Stati europei in modo che paghino di più per la propria difesa è un conto; confondere questo per una più ampia strategia degli Stati Uniti di ritiro dall’Europa è un altro. Al di là della retorica, ciò che Trump sta facendo non esce dall’ambito dell’approccio generale dell’élite statunitense: ovvero, mantenere il potere globale attraverso strumenti come la NATO e un docile sistema statale europeo, piuttosto che isolare gli Stati Uniti tra l’oceano Atlantico e quello Pacifico. La NATO resterà uno strumento del potere del Nord globale, indipendentemente dalle incrinature di superficie che appaiono inevitabili nel periodo che ci attende.

Il titolo di questo dossier, NATO: l’organizzazione più pericolosa della Terra, è in linea con la posizione dello scienziato politico Peter Gowan (1946-2009), che ai tempi del bombardamento e della distruzione della Jugoslavia da parte della NATO nel 1999 scrisse:

Dobbiamo tenere a mente due tristi realtà: la prima, che gli Stati membri della NATO sono stati e sono tuttora fortemente determinati a esacerbare le diseguaglianze di potere e di ricchezza nel mondo, a distruggere tutte le forme di opposizione al loro schiacciante potere militare ed economico e a subordinare quasi tutte le altre considerazioni a questi obiettivi; e la seconda, gli Stati membri della NATO stanno riuscendo con enorme facilità a fare in modo che il proprio elettorato nazionale creda che questi stessi Stati stanno davvero guidando la popolazione mondiale verso un futuro più giusto e più umano quando, in realtà, non stanno facendo niente di tutto questo.[1]

La NATO usa il linguaggio dei diritti umani e della sicurezza collettiva per nascondere le motivazioni che stanno alla base della sua nascita e della sua esistenza. Sarebbe utile mettere da parte questa retorica e guardare alla vera storia di questa alleanza che è militare – non per i diritti umani.

Questo dossier si sviluppa in tre parti. La prima fornisce una storia della NATO e un esame del suo ruolo nel sistema imperialista a guida statunitense. La seconda si concentra su come la NATO, a partire dal crollo dell’Unione sovietica, si è ridefinita come polizia globale ed è intervenuta – come mostra la terza parte – in modi diversi nel Sud globale.

L’idea della NATO è sorta durante gli ultimi anni della Seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti e la Gran Bretagna iniziarono a discutere dei nuovi piani di sicurezza da attuare una volta che le potenze fasciste in Europa fossero state sconfitte[2]. Nel 1945, gli Stati Uniti ospitarono la Conferenza di San Francisco in cui furono istituite le Nazioni Unite. La Carta delle Nazioni Unite, ratificata dai cinquanta partecipanti alla conferenza, prevedeva (nel Capitolo VIII, articolo 52), la formazione di organizzazioni regionali per la sicurezza e accordava loro un’azione coercitiva – come le sanzioni e gli interventi militari – ma solo su autorizzazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (nel Capitolo VIII, articolo 53)[3]. Proprio sulla base di questa concessione della Carta delle Nazioni Unite gli Stati Uniti riunirono dieci Paesi europei e il Canada per firmare il Trattato di Washington nel 1949 e creare la NATO. I Paesi europei che entrarono nella NATO avevano esperienze post-belliche diverse tra loro: molti di questi Paesi, tra cui la Francia e la Germania, dovevano ricostruire i loro eserciti praticamente da zero; altri, come la Gran Bretagna, avevano degli eserciti relativamente intatti, mentre uno di questi Paesi – l’Islanda – non aveva un esercito permanente. La NATO fornì a questi Paesi lo scudo militare (e nucleare) degli Stati Uniti. Nel 1949, la Central Intelligence Agency (CIA) fece circolare un memorandum che spiegava che i veri obiettivi della NATO non erano solo impedire all’Unione sovietica di minacciare l’Europa, ma anche continuare il “controllo a lungo termine della potenza tedesca” e porre la questione di “chi controllerà il potenziale tedesco e quindi regolerà gli equilibri di potere in Europa”. Questa valutazione assai pragmatica offre una visione della NATO molto più accurata di quanto possa fare un’esegesi del suo Trattato istituente[4]. Questo modo della CIA di intendere la NATO aveva un equivalente europeo. Come il primo segretario generale della NATO, Lord Hastings Lionel Ismay, scrisse in un memorandum interno nel 1952, l’organizzazione doveva “tenere l’Unione sovietica fuori, gli americani dentro, e i tedeschi sotto controllo”[5].

L’anno precedente alla fondazione della NATO, George Kennan del Dipartimento di Stato statunitense rifletteva su come gli Stati Uniti avessero “circa il 50% della ricchezza mondiale, ma solo il 6,3% della popolazione totale”. Ciò che questo implicava necessitava di essere definito. Come Kennan scrisse nel ventitreesimo rapporto realizzato dal Policy Planning Staff:

Questa differenza appare particolarmente grande tra di noi e i popoli dell’Asia. In questa situazione, non possiamo non essere oggetto di invidia e risentimento. Il nostro vero compito nel periodo a venire è stringere una serie di relazioni che ci permetteranno di mantenere questa posizione di disparità senza un detrimento positivo alla nostra sicurezza nazionale.[6]

La “serie di relazioni” che doveva essere costruita per controllare “l’invidia e il risentimento” dei popoli dell’Asia e del Sud globale più in generale iniziò l’anno prima che la NATO fosse istituita, quando gli Stati Uniti riconfigurarono i piani di sicurezza nelle Americhe con il Trattato interamericano di assistenza reciproca (o Trattato di Rio) del 1947 e poi con l’adozione di un nuovo atto costitutivo dell’Organizzazione degli Stati americani (Organization of American States, OAS) a Bogotá, Colombia, nel 1948. Entrambi questi accordi legarono i Paesi dell’America Latina al giogo degli Stati Uniti. Pochi anni dopo l’istituzione della NATO nel 1949, gli Stati Uniti strinsero degli accordi segreti nell’Asia orientale (il Trattato di Manila del 1954, che diede inizio alla Southeast Asia Treaty Organisation, o SEATO) e nell’Asia centrale (il Trattato di Baghdad del 1955, che costituì la Central Treaty Organization, o CENTO). Oltre a questi trattati, sotto la guida statunitense la OAS si dedicò a un’azione anticomunista con lo Special Consultative Committee on Security Against the Subversive Action of International Communism del 1962[7]. Gli Stati Uniti diedero vita a questa ecologia di accordi militari per due scopi: contenere lo sviluppo di qualsiasi partito o forza comunista in quelle regioni e promuovere l’influenza statunitense sui governi di tutto il mondo. Questo era parte di una più ampia proiezione di potere che permise agli Stati Uniti di costruire e mantenere basi militari – in alcuni casi con capacità nucleare – lontano dalle proprie coste, ma vicino all’Unione sovietica, alla Repubblica popolare democratica di Corea, alla Repubblica democratica del Vietnam e alla Repubblica popolare della Cina, costruendo le condizioni effettive per una presenza militare globale.

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La necessità di accordi militari iniziò a diminuire per una serie di motivi tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta del secolo scorso. Innanzitutto, gli Stati Uniti avevano già consolidato un’enorme influenza militare globale, con basi dal Giappone all’Honduras che erano state costruite attraverso trattati bilaterali. In secondo luogo, la tecnologia militare aveva fatto dei grandissimi avanzamenti, permettendo agli Stati Uniti di essere molto più flessibili e mobili con il proprio arsenale di missili a medio raggio, sottomarini a energia nucleare e un’enorme capacità aerea. In terzo luogo, gli Stati Uniti avevano sviluppato una strategia nota come “interoperabilità”, che permetteva alla potenza statunitense di usare la vendita della propria tecnologia militare ai Paesi alleati per promuovere esercitazioni militari congiunte – condotte con successo sotto il comando militare statunitense e principalmente per rispondere a interessi strategici degli Stati Uniti. In ultimo, gli Stati Uniti avevano creato delle strutture di comando regionali – come il Pacific Command nel 1947 (Pacom, che poi sarebbe diventato l’Indo-Pacific Command nel 2018), il Southern Command (Southcom) nel 1963 e il Central Command (Centcom) nel 1983 – che aveva già stabilito accordi bilaterali e multilaterali con eserciti alleati. Per questo motivo, non erano necessarie ulteriori alleanze militari regionali. Questi nuovi meccanismi per l’influenza militare globale degli Stati Uniti resero i trattati sulla sicurezza meno necessari in luoghi come l’Asia e il Medio Oriente. La SEATO fu sciolta nel 1977, principalmente a causa di una mancanza di interesse da parte dei Paesi del Sudest asiatico, e due anni dopo, a seguito della rivoluzione iraniana, la CENTO fu smantellata[8]. Non accadde lo stesso, invece, in America Latina, dove l’OAS continua a operare ancora oggi, concentrandosi con una precisione chirurgica su come minimizzare il ruolo della sinistra in America Latina (Cuba fu sospesa dall’organizzazione nel 1962, avvenimento dopo il quale Fidel Castro la definì il “Ministero delle Colonie”).

Oltre all’OAS, la NATO fu l’altra, fondamentale eccezione. Non fu sciolta. La formula proposta da Lord Hastings era ancora intatta. Tenere l’Unione sovietica fuori: tenere le basi militari degli Stati Uniti e della NATO equipaggiate con le armi nucleari statunitensi in Europa come deterrente per qualsiasi mossa sovietica oltre i confini stabiliti dopo la Seconda guerra mondiale. Tenere gli americani dentro: dalla prospettiva degli Stati Uniti, questo significò nei fatti tenere gli europei sotto controllo, cosa che implicava che gli europei non avrebbero mai dovuto essere lasciati nelle condizioni di creare il proprio esercito continentale e che, qualora un allargamento dell’Unione europea (UE) fosse stato discusso, un allargamento della NATO sarebbe andato di pari passo in modo da mantenere l’influenza statunitense sulla regione. Tenere i tedeschi sotto controllo: assicurarsi che le vecchie potenze imperialiste non avessero ambizioni che andassero oltre il fatto di essere alleati subordinati degli Stati Uniti, una visione che gli Stati Uniti hanno mantenuto non solo per la Germania, ma per tutta l’Eurasia – specialmente per il Giappone. La NATO, quindi, è rimasta un elemento essenziale dell’architettura dell’imperialismo statunitense.

Indipendentemente da quello che gli ufficiali di Stati Uniti e NATO andavano dicendo, era chiaro che avessero tre obiettivi in mente per questo accordo militare: prevenire la crescita della sinistra nei propri Paesi (distruggendo i fronti popolari in Francia, Grecia e Italia durante gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso), contenere e far arretrare il blocco sovietico (che includeva, a partire dal 1959, la Rivoluzione cubana) e prevenire il successo dei movimenti di liberazione nazionale in Africa e in Asia (cosa che ha comportato il sostegno alle guerre coloniali del Portogallo in Africa negli anni Sessanta e Settanta e l’assistenza agli Stati Uniti in Corea agli inizi degli anni Cinquanta e in Vietnam dagli anni Sessanta agli anni Settanta)[9].

Madrid Peace Summit Poster, 2022.

Nel novembre 1991, un mese prima che l’Unione sovietica fosse formalmente dissolta, la NATO rilasciò un rapporto intitolato New Strategic Concept che riconosceva il fatto che ci fosse una “nuova, più promettente epoca in Europa”[10]. In questo clima, i membri della NATO avrebbero potuto trovare la forza di dire sciogliamo l’alleanza. Invece, diedero nuova legittimità alla continuazione dell’esistenza della NATO, mettendosi in guardia da minacce “multidirezionali” che necessitavano interventi coordinati, anche al di fuori dei territori degli Stati membri della NATO.

Nel 1997, presso il quartier generale della NATO a Bruxelles, il Segretario di Stato statunitense Madeleine Albright affermò che con la fine dell’Unione sovietica, “molte persone credono che non ci troviamo più a dover fronteggiare una minaccia così unificante, ma io invece penso di sì”. Quale, quindi, era l’obiettivo della NATO? Albright spiegò:

È quello di fermare la proliferazione di armi nucleari, chimiche e biologiche. È quello di disinnescare la combinazione infiammabile tra tecnologia e terrore, la possibilità, per quanto impensabile possa sembrare, che le armi di distruzione di massa finiscano nelle mani di persone che non si fanno remore nell’utilizzarle. Questa minaccia proviene soprattutto dal Medio Oriente e dall’Eurasia, per questo l’Europa è particolarmente a rischio[11].

In altre parole, la NATO doveva intervenire in aree al di fuori dell’Europa per proteggere l’Europa. Questa è l’interpretazione indulgente, superficiale. Ma c’è un altro modo per comprendere quello che Albright aveva affermato in modo così chiaro. A partire dal collasso dell’Unione sovietica, la Russia – sotto un arrendevole Presidente Boris Yeltsin (che dovette la sua rielezione nel 1996 a interferenze statunitensi) – nei fatti si arrese agli Stati Uniti, e così gli Stati Uniti colsero l’occasione per usare il suo schiacciante potere militare e quello del suo principale strumento globale, la NATO, per espandere il proprio dominio nell’Europa orientale e punire qualsiasi “backlash state” (come Anthony Lake del Dipartimento di Stato statunitense li definì nel 1994, cioè quei Paesi che costituiscono una “minaccia” per gli interessi degli USA) che si rifiutasse di adottare le politiche della globalizzazione, del neoliberalismo e del primato statunitense[12].

I governi del Nord globale necessitano dell’immagine di un nemico minaccioso per legittimare l’esistenza della NATO. Che sia la minaccia percepita del comunismo (l’Unione sovietica durante la Guerra fredda) o delle accuse di terrorismo (al-Quaeda) o dell’autoritarismo (la Russia e la Cina più di recente), gli Stati membri della NATO disseminano la paura dei “nemici del mondo libero” per convincere le proprie popolazioni della necessità di militarizzare ancora di più le loro società, in modo da espandere le loro forze militari e di polizia[13]. Una tale demagogia serve a integrare movimenti altrimenti progressisti e sindacati nella campagna di guerra della NATO.

In realtà, nel 1991, era già diventato chiaro che gli Stati Uniti avrebbero usato la NATO per collocare in una posizione subordinata l’Europa orientale e la Russia e che poi la NATO sarebbe stata impiegata come poliziotto globale contro qualsiasi “stato canaglia” che avesse deciso di sfidare il potere degli Stati Uniti in questa nuova era. Le linee di ingaggio della NATO avrebbero seguito la politica statunitense alla lettera. Come sottolineava la National Security Strategy of the United States of America delineata dal Presidente statunitense George W. Bush nel 2002: “Le nostre forze saranno abbastanza solide da convincere i potenziali avversari a non perseguire una crescita dal punto di vista militare nella speranza si superare, o eguagliare, il potere degli Stati Uniti”[14]. Il concetto di “potenziali avversari” – inizialmente i “blacklash states” o “stati canaglia” nel 1994 e poi il “terrorismo catastrofico” nel 1998 – si sarebbe presto concentrato sulla Russia e sulla Cina[15].

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Vi erano dei mandati geopolitici dietro a questa decisione, ma c’erano anche la questione economica in ballo. Quando l’Unione sovietica collassò, l’industria bellica temette che sarebbe seguito un “dividendo di pace” e che i propri profitti, che erano cresciuti enormemente durante questo periodo, ne avrebbero sofferto. Per questa ragione, l’industria bellica creò lo US Committee to Enlarge NATO, presieduto da Bruce Jackson (l’allora vicepresidente di Lockheed Martin), che fece azione di lobbying sul Congresso statunitense per l’approvazione del NATO Enlargement Facilitation Act nel 1996. Nel corso dei due anni successivi, dal 1996 al 1998, i sei più grandi appaltatori militari spesero 51 milioni di dollari per fare pressione sul Congresso per promuovere l’allargamento della NATO[16]. Come disse Joel Johnson della Aerospace Industry Association, “gli interessi in gioco sono alti. Chiunque arrivi primo sarà a posto per un quarto di secolo” (dal momento che le vendite di velivoli presuppongono enormi acquisti addizionali di parti di ricambio e nuovi aerei per mantenere ed espandere le flotte)[17].

I nuovi membri della NATO erano fortemente incoraggiati a comprare dall’impresa bellica statunitense, e così l’allargamento della NATO coincise con l’allargamento del mercato delle armi per Boeing, Lockheed Martin, McDonnell Douglas, Northrop Grumman, Raytheon e Textron (note all’epoca come le “grandi sei”, tutte con sede negli Stati Uniti)[18]. Tra i periodi 2015-2019 e 2020-2024, ad esempio, i membri europei della NATO hanno più che raddoppiato le loro importazioni nel settore dell’industria bellica, con un 64% proveniente dagli Stati Uniti[19].

La dipendenza dell’Europa dai produttori di armi statunitensi è stato un problema dei burocrati della regione per decenni. Nel 2003, per esempio, uno studio della Commissione europea scrisse che “c’è il pericolo che l’industria europea possa essere ridotta allo status di sub-fornitore nei confronti dei più importanti appaltatori statunitensi, mentre il know-how è riservato alle imprese statunitensi”[20]. Questo era parte della più ampia visione di subordinazione dell’Europa alle ambizioni degli Stati Uniti.

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Nel 1999, andando oltre i limiti di qualsiasi mandato di peacekeeping delle Nazioni Unite, la NATO partecipò alla guerra in Jugoslavia per distruggere il Paese. Durante questa guerra, la NATO bombardò l’ambasciata cinese a Belgrado, cosa che la Cina continua a considerare come un atto deliberato[21]. Questo era il primo segnale della spinta della NATO al di fuori della propria area di operazioni. Due anni dopo, la NATO condusse un’altra operazione “fuori area” prendendo parte alla guerra in Afghanistan iniziata dagli Stati Uniti. Questo fornì alla NATO la convinzione di aver ottenuto la capacità e la legittimazione di operare come forza dell’ordine a guida statunitense, tanto che Ivo H. Daalder – che nel 2009 divenò l’ambasciatore degli Stati Uniti presso la NATO – e James Goldgeier (un sostenitore di lunga data dell’allargamento della NATO) nel 2006 parlarono su Foreign Affairs di una “NATO globale”[22]. Anche se la NATO non partecipò formalmente alla guerra illegale in Iraq nel 2003, ad ogni modo supportò sia la Polonia che la Turchia negli ambiti della logistica e delle comunicazioni durante il conflitto. Nel corso di questo periodo, la NATO iniziò ad espandere le proprie relazioni con forze militari di tutto il mondo, soprattutto in Europa orientale e in Asia orientale, e prese parte in vari modi alla “guerra contro il terrorismo” condotta dagli Stati Uniti[23].

Prima che l’Unione sovietica collassasse, e per permettere l’annessione della Repubblica democratica tedesca (Deutsche Demokratische Republik, DDR), il governo degli Stati Uniti concluse accordi con il governo sovietico affermando che la NATO non si sarebbe allargata oltre il confine orientale della Germania[24]. Tuttavia, dopo la caduta dell’Unione sovietica, la NATO fece esattamente questo. Il bombardamento della Jugoslavia nel 1999 mandò un messaggio chiaro alle nazioni dell’Europa orientale: siete o con noi o contro di noi. Negli anni che seguirono, questi Paesi furono incorporati nella NATO: Repubblica ceca, Ungheria e Polonia nel 1999; Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia nel 2004; Albania e Croazia nel 2009; Montenegro nel 2017; e Macedonia del Nord nel 2020. Nel corso di questo processo, gli Stati Uniti intrapresero delle azioni volte ad assicurarsi che la Germania ora riunificata fosse “tenuta sotto controllo” e operasse solo all’interno dei confini definiti da Washington[25]. L’allargamento a Est dell’Unione europea fu permesso, ma fu preceduto (o perlomeno coincise con) l’allargamento della NATO. L’egemonia degli Stati Uniti nel blocco occidentale era così assicurata, soprattutto nell’Europa orientale.

Anche se quattro Paesi che confinano con la Russia (Estonia, Lituania, Lettonia e Polonia) avevano già fatto il loro ingresso nella NATO verso la metà degli anni 2000, il governo russo non aveva intenzione di permettere che la Georgia e l’Ucraina, due Paesi che condividono una porzione considerevole dei propri confini con la Russia, vi prendessero parte. Al summit della NATO dell’aprile del 2008 a Bucarest, nel contesto della crescente dipendenza dell’Europa dal gas naturale e dal petrolio della Russia, la Francia e la Germania bloccarono l’ingresso della Georgia e dell’Ucraina nella NATO. Il dispiegamento di truppe russe a seguito di uno scontro militare della Georgia con la Russia nell’Ossezia del Sud nello stesso anno offrì il primo segnale della misura fino a cui Mosca si sarebbe spinta per frenare le ambizioni della Georgia per entrare tanto nell’Unione europea quanto nella NATO. La rimozione del governo ucraino nel 2014 grazie all’influenza statunitense, l’insistenza esercitata dal Nord globale sull’Ucraina affinché entrasse nella NATO e il ritiro degli Stati Uniti da trattati chiave per il controllo delle armi – incluso il Trattato anti missili balistici (2002) e il Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty, 2019) – suggerirono alla Russia che Washington aveva l’obiettivo di posizionare armi nucleari a medio raggio al suo confine[26]. Questa era una condizione non negoziabile per Mosca, e portò all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022.

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Fin dai primi anni Cinquanta del secolo scorso, gli Stati Uniti si sono lamentati per il fatto di doversi fare carico della spesa della NATO perché i Paesi europei non investono abbastanza nella propria capacità militare[27]. Nel 1952, persino il parlamento britannico dibatté della disomogeneità della spesa militare e del servizio militare obbligatorio tra i Paesi membri della NATO[28]. Nonostante ciò, il basso livello di spesa militare da parte dei Paesi europei rimase, e anzi ci fu persino un declino negli anni Settanta a causa del processo di détente che seguì alla firma del Trattato anti missili balistici nel 1972 e degli Accordi di Helsinki nel 1995 così come della stagflazione che soffocò le economie europee in quello stesso periodo. Negli anni Ottanta, l’amministrazione dell’allora presidente statunitense Ronald Reagan aumentò la pressione sull’Europa per innalzare la spesa militare. Nell’era post Guerra fredda, ufficiali statunitensi si espressero di nuovo all’unisono rispetto alla necessità di una più alta spesa militare europea.

Allo stesso tempo, tuttavia, l’Europa riconobbe che la sua dipendenza dagli Stati Uniti le impediva di operare in modo autonomo e indipendente. Dopo le guerre in Bosnia (1995) e Jugoslavia (1999), per esempio, ci fu un dibattito nelle capitali europee in merito alla loro dipendenza dagli Stati Uniti[29]. La spinta a costruire un sistema europeo di navigazione satellitare, Galileo, era stata motivata in larga parte da questa preoccupazione. “Se l’Unione europea ritiene necessario intraprendere una missione di sicurezza che gli Stati Uniti non considerano rientrare nei propri interessi”, sosteneva un documento della Commissione europea del 2002, l’Europa “sarà impotente a meno che non si doti di una tecnologia satellitare che appare oggi indispensabile”[30]. Per il summit della NATO del 2006 a Riga, gli Stati membri si trovarono d’accordo sulla necessità di dover innalzare la propria spesa militare al 2% del proprio PIL, una norma che fu poi confermata nel summit della NATO del 2014 in Galles[31].

Nonostante fossero consapevoli dei problemi legati alla loro dipendenza in campo militare, gli Stati europei vollero comunque rimanere sotto la protezione della copertura militare statunitense. I leader europei si affrettarono da vertice a vertice a esprimere il proprio consenso sull’aumentare la propria spesa militare indipendemente dal danno che questo avrebbe prodotto alle proprie società e alla propria politica estera volta sempre più alla militarizzazione. Nel 2022, il cancelliere Tedesco Olaf Scholz tenne un discorso noto come Zeitenwende (che significa “svolta epocale”) in cui promise un finanziamento di 100 miliardi di dollari per aumentare la spesa militare[32]. Poi, nel 2025, a fronte della decisione del governo statunitense di tagliare l’assistenza militare in Ucraina, il governo tedesco (ora guidato dal cancelliere conservatore Friedrich Merz) – che era stato una voce assai severa e rigida in materia di prudenza fiscale contro il proprio popolo e con i popoli dei Paesi europei più poveri (come la Grecia) – ha ignorato la propria regola sul freno al debito (un tetto che limita i prestiti del governo e che è stato sancito nella costituzione del Paese nel 2009) in modo da poter aumentare la spesa militare[33]. Nello stesso anno l’Unione europea ha annunciato dei piani per approvare 800 miliardi di euro da spendere in crediti di guerra[34]. In altre parole, i soldi si possono trovare per la NATO, ma non per la protezione sociale o per le infrastrutture strategiche[35].

Goyen Chen, War Only Brings Pain, 2022

Nel 2023, un anno dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’ambasciatore tedesco Christoph Heusgen fece pressioni sul Primo ministro della Namibia Saara Kuugongelwa-Amadhila in merito al motivo per cui il suo Paese non aveva condannato la Russia. Kuugongelwa-Amadhila rispose in modo calmo che il suo Paese stava “promuovendo una risoluzione pacifica di quel conflitto in modo che il mondo intero e tutte le risorse del mondo potessero concentrarsi sul migliorare le condizioni di vita delle persone in tutto il mondo invece che investirle nell’acquistare armi, uccidere persone e alimentare vere e proprie ostilità”[36]. I soldi che vengono usati per comprare armi, aggiunse Kuugongelwa-Amadhila, potrebbero essere usati anche in Europa, “dove molte persone stanno affrontando delle condizioni di vita difficili”. Ciò che appare significativo di questo scambio non sta in quello che Kuugongelwa-Amadhila disse, ma nel fatto che avesse detto una cosa che andava contro il consenso del Nord globale.

Lo sconcerto si diffuse in tutta la sala e anche oltre. Perché le e i leader di piccoli e poveri Paesi del Sud globale prendono posizione contro il Nord globale? E perché non sono più sottomessi come lo erano un tempo? Come scrisse il Ministro degli esteri giapponese Yoshimasa Hayashi nella prefazione del Diplomatic Bluebook del suo Paese nel 2023, che fu redatto per comprendere l’affermarsi progressivo sulla scena internazionale del Sud globale, “il mondo è ora ad un punto di svolta nella storia”[37]. In un documento del novembre 2024, il relatore della NATO ed ex Ministro degli esteri lituano Audronius Ažubalis riconobbe i cambiamenti che stavano avvenendo nel mondo con l’ascesa del Sud globale:

Verosimilmente, l’Occidente non si è adattato abbastanza facilmente a questa nuova realtà, permettendo che Paesi autoritari come la Russia e la Cina si facessero strada in Asia, Africa, America Latina e nella regione del Pacifico, ottenendo dei significativi benefici economici e geopolitici[38].

L’affermazione di Ažubalis dimostra quanto poco i leader del Nord globale abbiano compreso in merito all’ascesa del Sud globale. Infatti, è l’emergere di un nuovo centro industriale e produttivo in Asia (dall’India e la Cina al Vietnam e l’Indonesia) e la creazione di un nuovo insieme di istituzioni sviluppate (inclusa la Nuova Banca di Sviluppo, New Development Bank) che hanno permesso agli Stati più poveri di fare una certa pressione sul Fondo monetario internazionale, dominato dal Dipartimento del tesoro statunitense. In altre parole, non si tratta tanto del fatto che la Cina stia “facendosi strada” in questi continenti, quanto il fatto che la Cina – e altri Paesi – siano in grado di offrire una copertura agli sforzi di sviluppo nelle nazioni più povere. Dal momento che il Nord globale non lo sta facendo, questi Paesi non si sentono più obbligati nei suoi confronti. Limitarsi a liquidare la Cina e la Russia come “potenze autoritarie” e convincersi che la vecchia retorica del liberalismo e della democrazia occidentale attrarrà Paesi che vogliono sviluppare la propria economia è una mossa sconsiderata. Allo stesso modo è assurda l’accusa di autoritarismo da parte di Paesi che si alleano regolarmente con delle monarchie. L’incapacità di comprendere questo preciso momento della storia paralizza gli intellettuali della NATO, che invece ricadono nell’assunzione secondo cui i popoli di Africa, Asia, America Latina e della regione del Pacifico stanno semplicemente venendo ingannati da Russia e Cina; se solo sapessero la verità sul liberalismo e la democrazia occidentale, farebbero la giusta decisione e si sottometterebbero al Nord globale.

Nonostante ciò, la NATO ha sviluppato una presenza massiccia nella regione del Mediterraneo, nel continente africano e in Asia (e gioca un ruolo minore in America Latina, dove il suo alleato principale è la Colombia). Per ciò che resta di questa sezione, ci concentreremo su queste tre regioni in cui l’attività della NATO appare significativa.

Il Mediterraneo, la Guerra al terrore e la strumentalizzazione della migrazione

Fino agli anni Novanta del secolo scorso, la NATO aveva esteso i propri tentacoli per esplorare nuove collaborazioni in tutto il mondo, cominciando da quello che definì il suo “vicinato meridionale” (ossia i Paesi a Sud del Mar Mediterraneo). Nel 1994, lanciò il Mediterranean Dialogue, un forum per Paesi fuori dall’area della NATO per avviare degli scambi con Paesi membri della NATO. Vari Paesi parteciparono a questo dialogo in fasi diverse, a partire da Algeria, Egitto e Israele fino a Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia, molti dei quali al tempo non avevano relazioni con Israele e nonostante questo si sedettero a un tavolo con i rappresentanti di quel Paese. Nel 2004, un anno dopo che gli Stati Uniti e molti dei loro alleati della NATO avevano partecipato alla guerra illegale in Iraq, la NATO riunì quattro Paesi del Golfo arabo (Bahrein, Kuwait, Qatar ed Emirati arabi uniti) nella Istanbul Cooperation Initiative per consolidare la cooperazione militare tra la NATO e il Golfo arabo. Molti dei Paesi coinvolti in queste iniziative (inclusi almeno Qatar, Emirati arabi uniti, Giordania e Marocco) parteciparono nell’operazione Unified Protector della NATO nel 2011, che distrusse lo Stato libico. Nel 2016, la NATO inaugurò lo Strategic Direction South Hub nei pressi di Napoli, Italia; nel 2017, istituì un Istanbul Cooperative Initiative Regional Centre in Kuwait; e poi, all’interno di questo processo di dialogo, suggerì di aprire un ufficio di collegamento della NATO ad Amman, Giordania. Questo ufficio fu annunciato al vertice della NATO del 2023 a Vilnius e fu poi aperto l’anno seguente.

Queste dichiarazioni e questi comunicati parlano diffusamente di diritti umani e democrazia, ma in realtà le parole chiave sono antiterrorismo e blocco delle persone migranti che attraversano il mare. Dopo l’atrocità della guerra della NATO in Libia del 2011, quando l’alleanza era già immersa fino al ginocchio nella palude della guerra al terrore, si diede inizio alla guerra contro le persone migranti provenienti da varie parti del Sud globale che avevano viaggiato fino a quel Paese distrutto dal conflitto militare per cercare di attraversare il mare e raggiungere l’Italia. I leader della NATO iniziarono a parlare di questa tragedia come di una “strumentalizzazione della migrazione”, che per loro significava che i propri nemici stavano usando le persone migranti come una “minaccia ibrida” per sopraffare i propri Paesi (una frase che fu usata specificatamente quando la Russia concesse alle persone richiedenti asilo provenienti da una serie di Paesi di attraversare il confine con la Finlandia nel 2024). Nel 2024, durante un incontro a Washington, l’ex Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg affermò in modo esplicito che “la NATO deve giocare un ruolo” nella “strumentalizzazione della migrazione”[39]. Questo si traduce nel fatto che la NATO dispiega tutta la sua panoplia di assetti militari per difendere la fortezza Europa, un’idea di destra e anti-immigrazione.

 L’Africa dice: “NATO, Dégage!”

La principale azione della NATO a Sud del Mediterraneo fu il suo uso della forza per distruggere lo Stato libico nel 2011. Questa azione da un lato aprì la possibilità per persone provenienti dall’Africa e non solo per migrare in Europa attraverso la Libia, dall’altro diede inizio a un attacco terroristico contro Algeria, Mali, Burkina Faso e Niger. Più di un decennio dopo, restano le macerie lasciate dall’intervento della NATO.

In particolare, questo intervento ebbe luogo dietro al pretesto della “responsabilità di proteggere” (Responsibility to Protect, R2P), una norma internazionale sviluppata dalle Nazioni Unite sempre più in difficoltà che “cerca di assicurare che la comunità internazionale non commetta più l’errore di non porre fine a crimini atroci di massa quali genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l’umanità”[40]. Nonostante l’International Committee on Intervention and State Sovereignty avesse proposto la R2P nel 2001 in risposta al genocidio in Ruanda del 1994 e il bombardamento della Jugoslavia per mano della NATO nel 1999, fu solo dopo che gli Stati Uniti compromisero il concetto di “intervento umanitario” con la loro guerra illegale in Iraq nel 2003 che vennero intraprese azioni più concrete per consolidare la R2P come norma internazionale fino al momento in cui fu formalmente adottata a un World Summit delle Nazioni Unite nel 2005.

La Francia, che era stata uno dei responsabili della distruzione della Libia, usò il successivo attacco terroristico contro il Sahel per legittimare il proprio intervento militare nella regione, che è stato ora respinto da sollevazioni popolari dietro allo slogan France, dégage![41]. Questo sentimento, “Francia, vattene via!” rientra in un discorso più ampio: Europa, vattene via! NATO, vattene via!

Per molte persone nel continente africano non sarebbe facile fare distinzioni tra l’Unione europea, gli Stati Uniti e la NATO. Le politiche dell’UE in materia di migrazione, per esempio, non sono politiche civili, bensì politiche paramilitari che hanno impiegato l’Arma dei Carabinieri italiana e la Guardia Civil spagnola per pattugliare il Sahel attraverso i Rapid Action Groups for monitoring and intervention in the Sahel (GAR-SI) dal 2017 al 2021.

Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno utilizzato droni per fornire capacità in termini di sorveglianza facendoli partire da AB 201, una grande base militare statunitense ad Agadez, Niger[42]. L’intervento militare francese, le basi militari statunitensi nella regione e l’uso di tecnologie di sorveglianza nel Sahel e nel Sahara sono strettamente regolate oppure bandite in Europa: questo è il modo in cui l’Africa settentrionale vive il progetto della NATO – non per i diritti umani, ma per la sua brutalità[43].

Eppure, la presenza della NATO in Africa ha posto una sfida per i governi del continente, che continuano a cercare soldi e assistenza tecnica. Nel 2015, questa dinamica portò alla NATO il diritto di creare un ufficio di collegamento nel quartier generale dell’Unione africana (African Union, UA) ad Addis Abeba, Etiopia[44]. È questa concessione alla NATO che permette agli Stati africani di richiedere addestramento e finanziamenti per la da poco costituita African Standby Force (una delle sue cinque forze regionali è l’Economic Community of West African States Standby Capacity, che ha quasi invaso gli Stati di Mali, Burkina Faso e Niger dopo le loro sollevazioni popolari rispettivamente nel 2021, 2022 e 2023)[45]. I leader militari africani continuano a orbitare attorno alle sedi militari dei Paesi membri della NATO, cosa che ora è stata formalizzata sotto forma di Military-to-Military Staff Talks tra la NATO e l’Unione africana[46]. Con questo tipo di legami, non conta più nulla il fatto che il Peace and Security Council dell’Unione africana abbia emesso una dichiarazione nel 2016 chiedendo agli Stati membri di essere “cauti” in materia di basi miliari straniere sul proprio territorio[47].

Goyen Chen, Know Love, Know Peace. No Love, No Peace, 2022.

La sfida cinese della NATO

Le guerre in Jugoslavia, Afghanistan e Libia portarono la NATO al di fuori della sua area di operatività diretta. Eppure, questo è ben lontano dal limite della geografia dell’imperialismo disegnata dalla NATO. Come scrisse Sten Rynning del Danish Institute for Advanced Study nel suo libro uscito nel 2024 e intitolato NATO: From Cold War to Ukraine, a History of the World’s Most Powerful Alliance, “ovviamente, la NATO non può permettersi di ignorare l’area indo-pacifica, dal momento che questo teatro è diventato la preoccupazione geopolitica principale per gli Stati Uniti”[48]. Questa formulazione potrebbe interessare un linguista: la NATO “non può permettersi di ignorare” le questioni centrali che preoccupano non i membri della NATO presi come un insieme, ma gli Stati Uniti. In altre parole, Rynning, il cui libro è quanto di più vicino si potrebbe arrivare a una ricerca autorizzata della NATO, fa due confessioni in modo molto chiaro. La prima, che la politica dell’organizzazione è determinata non dal North Atlantic Council (che ufficialmente è il principale organo decisionale della NATO), ma dagli Stati Uniti. La seconda, che a partire dal 2009 (quando Barack Obama divenne Presidente degli Stati Uniti), gli Stati Uniti hanno visto sempre di più la Cina come il loro nemico principale, facendo pressione sulla NATO affinché espandesse la sua orbita per minacciare i cinesi e rimetterli al loro posto.

Fino a tempi recenti, la NATO descriveva la Cina come portatrice tanto di “opportunità [quanto di] sfide”, come fu scritto nella Dichiarazione di Londra del 2019. Due anni dopo, sotto la pressione statunitense, la NATO decise che la Cina non forniva più “opportunità” ma che le sue “ambizioni dichiarate e il suo comportamento risoluto costituiscono degli attacchi sistematici all’ordine internazionale basato sullo stato di diritto e ad aree rilevanti per la sicurezza dell’Alleanza” (secondo la Dichiarazione di Bruxelles del 2021)[49]. In un saggio pubblicato sul sito della NATO nel 2023, Luis Simón del Real Instituto Elcano con sede a Madrid (che è stato fondato e finanziato dallo Stato spagnolo) affermò che “la Cina costituisce una minaccia per un sistema internazionale che ancora oggi riflette in larga parte valori e interessi transatlantici”[50]. Si tratta di un’osservazione corretta: la questione non sta tanto nel fatto che la Cina si oppone a un “ordine internazionale fondato sullo stato di diritto”, come sostiene il Dipartimento di stato americano, quanto nel fatto che la Cina potrebbe opporsi al dominio transatlantico su tale sistema.

Simón evidenzia due altri modi assai significativi in cui la Cina è “rilevante” per la sicurezza della NATO. In primo luogo, la Cina ha dei sistemi d’arma che potrebbero raggiungere l’Europa e la “proprietà di infrastrutture strategiche in Europa”. In secondo luogo, dal momento che la nuova Guerra fredda contro la Cina è “enormemente importante per gli Stati Uniti”, la NATO deve essere coinvolta sul fronte indo-pacifico. Ciò conferma il punto sollevato da Rynning sul fatto che, se questo è importante per gli Stati Uniti, allora deve essere importante per la NATO (qui, Simón, un cittadino spagnolo, è d’accordo con Rynning, un cittadino danese, sul fatto che la sovranità della politica estera dei loro stessi Paesi possa essere subordinata agli ordini di Washington).

È questo approccio che ha spinto la NATO a usare il suo Individually Tailored Partnership Programme (creato nel 2021) per costruire solide relazioni con l’Australia e la Nuova Zelanda (che sono già entrambe membri dell’alleanza di agenzie di intelligence Five Eyes) così come con il Giappone e la Corea del Sud. Questi Paesi sono ora parte dell’Indo-Pacific 4 (IP4) e hanno presenziato al vertice della NATO a Madrid del 2022 come partner stretti (“near members”)[51]. Poi, nel settembre 2024, il Primo ministro giapponese Shigeru Ishiba ha proposto la creazione di una “NATO asiatica”. Tuttavia, anche se in passato l’alleanza ha preso in considerazione l’idea di aprire un ufficio di collegamento a Tokyo, una NATO asiatica sarebbe alquanto ridondante visti gli elementi già stabiliti dalla Indo-Pacific Strategy degli Stati Uniti, che sono:

  • Five Eyes, un network di agenzie di intelligence legate da accordi segreti composto da Australia, Nuova Zelanda, Canada, Gran Bretagna e Stati Uniti.
  • Quadrilateral Security Dialogue (o Quad), che comprende Australia, India, Giappone e Stati Uniti.
  • Squad, che sostituisce una meno entusiastica India con le Filippine.
  • Alleanza tra Australia, Gran Bretagna e Stati Uniti (Australia-United Kingdom-United States, AUKUS)
  • Alleanza tra Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti (Japan-South Korea-US, JAKUS).

Inoltre, il governo degli Stati Uniti ha coinvolto in modo assai provocatorio la provincia cinese di Taiwan nel ruolo crescente della NATO in Asia. Per esempio, la bozza del Taiwan Policy Act redatta dal Congresso statunitense considera Taiwan come “il principale alleato non membro della NATO” mentre un emendamento raccomandato all’Arms Export Control Act del 1976 lo include nella sua lista di “NATO plus recipients”, concedendogli di aggirare norme sulla non proliferazione di vario tipo[52].

In altre parole, ci sono già numerose piattaforme che svolgono le funzioni di una NATO asiatica, e la NATO è già pienamente coinvolta nell’area indo-pacifica, come dimostrato dalla sua volontà di prendere parte al progetto statunitense di pattugliare le acque attorno alla Cina e costruire progetti di sicurezza come basi e alleanze militari. L’alleanza atlantica della NATO è già salpata nell’Oceano pacifico. È questa la diplomazia del ventunesimo secolo, fatta con le navi cannoniere.

Nel 1839, le navi britanniche che imposero l’oppio alla popolazione cinese avevano nomi assai evocativi come HMS Volage e HMS Hyacinth: il primo (Volage) faceva riferimento alla volubilità mentre il secondo (Hyacinth [giacinto]) era un riferimento alla mitologia greca e rimandava alla gelosia. È bene tenere a mente questi nomi. Anche le alleanze della NATO sono volubili. Anche gli interessi della NATO sono mossi dalla gelosia che protegge gli interessi dei suoi Stati membri prima degli interessi globali, come invece pretende di fare. La NATO vuole conservare il sistema fondato sul dominio degli Stati Uniti e impedire lo sviluppo degli altri Paesi. È questo che rende la NATO l’organizzazione più pericolosa e reazionaria della Terra al giorno d’oggi.

Othman Ghalmi, Where Can I Find Peace, 2022

NOTE

1. Peter Gowan, ‘The NATO Powers and the Balkan Tragedy’, New Left Review, no. I/234 (marzo-aprile 1999), 103.
2. Sevim Dagdelen, NATO: A Reckoning with the Atlantic Alliance, (LeftWord Books, 2024); Sten Rynning, NATO: From Cold War to Ukraine, a History of the World’s Most Powerful Alliance (Yale University Press, 2024); Grey Anderson, a cura di, Natopolitanism. The Atlantic Alliance Since the Cold War (London: Verso, 2023).
3. Per saperne di più sulla Conferenza di San Francisco, si veda Tricontinental: Institute for Social Research, The New Cold War is Sending Tremors through Northeast Asia, dossier no. 75, maggio 2024, https://thetricontinental.org/dossier-76-new-cold-war-northeast-asia/ .
4. ‘Review of the World Situation’, Central Intelligence Agency, 17 maggio 1949, https://nsarchive.gwu.edu/document/17548-document-03-central-intelligence-agency-review.
5. ‘Lord Ismay’, North Atlantic Treaty Organisation, consultato il 16 marzo 2024, https://www.nato.int/cps/ge/natohq/declassified_137930.htm.
6. Office of the Historian, Foreign Service Institute, United States Department of State, ‘Report by the Policy Planning Staff’, report no. 23, 24 febbraio 1948, in Foreign Relations of the United States, 1948, General; The United Nations, Volume I, Parte 2 (Washington, DC: US Government Printing Office, 1976), https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1948v01p2/d4.
7. Tricontinental: Institute for Social Research, ‘The US Ministry of Colonies and Its Summit’, red alert no. 14, 25 maggio 2022, https://thetricontinental.org/red-alert-14-summit-of-the-americas/.
8. ‘The US Ministry of Colonies and Its Summit’.
9. Mascha Neumann, ‘East German Weapons in the Fight Against Fascist Portugal’, Internationale Forschungsstelle DDR, 24 aprile 2024, https://ifddr.org/en/east-german-weapons-in-the-fight-against-fascist-portugal/.
10. ‘The Alliance’s New Strategic Concept (1991)’, North Atlantic Treaty Organisation, consultato il 1 luglio 2022, https://www.nato.int/cps/fr/natohq/official_texts_23847.htm?selectedLocale=en.
11. Madeleine K. Albright, ‘Statement by Secretary of State Madeleine K. Albright During the North Atlantic Council Ministerial Meeting’, North Atlantic Treaty Organisation, 16 dicembre 1997, https://www.nato.int/docu/speech/1997/s971216aa.htm.
12. Nel 1997, Peter Gowan scrisse: “Con l’ingresso in Polonia, nei fatti la NATO aumenta l’insicurezza dei Paesi baltici. La conclusione è inevitabile: la prima e principale condizione per questa mossa verso la Polonia non è la minaccia russa ma l’attuale estrema debolezza della Russia. A causa del catastrofico collasso sociale ed economico interno alla Russia e del fatto che il suo Stato è stato, per il momento, asservito a un clan di capitalisti criminali che ruotano attorno al protégé dell’Occidente Boris Yeltsin, nel contesto attuale lo Stato russo non è nelle condizioni di resistere all’allargamento. Questa debolezza russa sarà quasi sicuramente temporanea. Dobbiamo presumere che l’economia e lo Stato russo si riprenderanno. Potrebbe facilmente diventare dieci volte più forte in termini di risorse rispetto ad oggi. La NATO sta quindi sfruttando una ‘finestra di opportunità’ che non resterà aperta a lungo. Si tratta, quindi, di definire rapidamente un fait acompli nei confronti della Russia”. Peter Gowan, ‘The Enlargement of NATO and the EU’, in The Global Gamble: Washington’s Faustian Bid for World Dominance (Verso, 1999), 298–299.
13. George Monastiriakos, ‘Invite Ukraine to Join NATO and Win the Peace in Europe’, The Hill, 23 ottobre 2024, https://thehill.com/opinion/international/4947010-ukraine-nato-membership-war-russia/.
14. The White House, ‘The National Security Strategy of the United States of America’, Settembre 2002, https://2009-2017.state.gov/documents/Organisation/63562.pdf, 39.
15. Per il concetto di “stati canaglia” o “backlash states”, si veda Anthony Lake, ‘Confronting Backlash States’, Foreign Affairs 73, no. 2 (marzo–aprile1994): 45–55. Sul concetto di “terrorismo catastrofico”, si veda Ashton Carter, John Deutch, e Philip Zelikow, ‘Catastrophic Terrorism: Tackling the New Danger’, Foreign Affairs 77, no. 6 (novembre–dicembre1998): 80–95. Quando Lake scrisse quel saggio, era Consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti mentre Carter fu poi il Segretario della Difesa (2015-2017). Deutch è stato Vicesegretario della difesa per gli Stati uniti (1994-1995) e poi capo della Central Intelligence Agency (1995–1996), mentre Zelikow fu l’autore della National Security Strategy di Bush nel 2002.
16. Katharine Q. Seele, ‘Arms Contractors Spend to Promote Expanded NATO’, New York Times, 30 marzo 1998, https://www.nytimes.com/1998/03/30/world/arms-contractors-spend-to-promote-an-expanded-nato.html.
17. Jeff Gerth e Time Weiner, ‘Arms Makers See Bonanza in Selling NATO Expansion’, New York Times, 29 giugno 1997, https://www.nytimes.com/1997/06/29/world/arms-makers-see-bonanza-in-selling-nato-expansion.html.
18. Seele, ‘Arms Contractors’.
19. ‘Ukraine the World’s Biggest Arms Importer; United States’ Dominance of Global Arms Exports Grows as Russian Exports Continue to Fall’, Stockholm International Peace Research Institute, 10 marzo 2025, https://www.sipri.org/media/press-release/2025/ukraine-worlds-biggest-arms-importer-united-states-dominance-global-arms-exports-grows-russian#:~:text=European%20NATO%20members%20increase%20dependence,19%20(52%20per%20cent); Sylvia Pfeifer, Jana Tauschinski, e Charles Clover, ‘Two-thirds of arms imports to Nato countries in Europe come from US’, Financial Times, 9 marzo 2025, https://www.ft.com/content/d3214157-639b-4743-ab29-9af662d47ec5.
20. European Union, Towards an EU Defence Equipment Policy (Brussels: Commission of the European Communities, 2003), 11.
21. Tom Stevenson, Someone Else’s Empire. British Illusions and American Hegemony (Verso Books, 2023), 46–47.
22. Ivo H. Daalder e James Goldgeier, ‘Global NATO’, Foreign Affairs 85, no. 5 (settembre–ottobre 2006): 105–113.
23. Renée De Nevers, ‘NATO’s International Security Role in the Terrorist Era’, International Security 31, no. 4 (2007): 34.
24. Per un esame dell’annessione della DDR, si veda Internationale Forschungsstelle DDR e Tricontinental: Institute for Social Research, Risen from the Ruins: The Economic History of Socialism in the German Democratic Republic, Studies on the DDR no. 1, 20 Aprile 2021, https://thetricontinental.org/studies-1-ddr/; per il dibattito relativo all’allargamento della NATO verso Est, si vedano Mary Elise Sarotte, ‘A Broken Promise? What the West Really Told Moscow About NATO Expansion’, Foreign Policy 93, no. 5 (settembre–ottobre 2014): 90–97, e il suo libro Not One Inch: America, Russia, and the Making of Post-Cold War Stalemate (Yale University Press, 2021).
25. Tricontinental: Institute for Social Research, Hyper-Imperialism: A Dangerous Decadent New Stage, Contemporary Dilemmas no. 4, 23 gennaio 2024, https://thetricontinental.org/studies-on-contemporary-dilemmas-4-hyper-imperialism/.
26. Per una più ampia comprensione dell’acquisizione neoliberale delle strutture dell’Ucraina, si veda Yuliya Yurchenko, Ukraine and the Empire of Capital: from Marketisation to Armed Conflict (Pluto Books, 2017); per un esame del contesto della guerra in Ucraina, si vedano John Bellamy Foster, John Ross, Deborah Veneziale e Vijay Prashad, The United States is Waging a New Cold War: A Socialist Perspective, Tricontinental: Institute for Social Research, Monthly Review, No Cold War, settembre 2022, https://thetricontinental.org/the-united-states-is-waging-a-new-cold-war-a-socialist-perspective/.
27. Una prima sintesi è disponibile in Karen Busler, NATO Burden Sharing and the Three Percent Commitment (Congressional Research Service, 1985) e un’analisi più recente si trova in Assessing NATO’s Value (Congressional Research Service, 2019). La somiglianza dei toni e degli argomenti nonostante il passare di oltre trentacinque anni e il susseguirsi di cinque Presidenti è incredibile.
28. ‘Nato Countries (Military Service)’, UK Parliament Hansard, 30 maggio 1952, https://hansard.parliament.uk/commons/1952-05-30/debates/92c8849d-0446-49e0-91f9-034f3349e3dd/NatoCountries(MilitaryService).
29. Per ulteriori informazioni si veda British House of Commons Defence Committee, Lessons of Kosovo: Fourteenth Report of the Defence Select Committee (London: UK Parliament, 24 ottobre 2000).
30. Helen Caldicott e Craig Eisendrath, War in Heaven. The Arms Race in Outer Space, (New York: The New Press, 2007), 31.
31. ‘Press Briefing by NATO Spokesman After the Meeting of the North Atlantic Council at the Level of Defence Ministers’, NATO Defence Ministers Meetings, 8 giugno 2006, https://www.nato.int/docu/speech/2006/s060608m.htm.
32. Olaf Scholz, ‘Policy Statement by Olaf Scholz, Chancellor of the Federal Republic of Germany and Member of the German Bundestag, 27 February 2022 in Berlin’, Press and Information Office of the Federal Government, 27 febbraio 2022, https://www.bundesregierung.de/breg-en/news/policy-statement-by-olaf-scholz-chancellor-of-the-federal-republic-of-germany-and-member-of-the-german-bundestag-27-february-2022-in-berlin-2008378.
33. David McHugh, ‘Germany to Ease Government Debt Limits in Major Step Aimed at Boosting Economy, Defense Spending’, AP News, 5 marzo 2025, https://apnews.com/article/germany-ukraine-debt-brake-economy-military-spending-74be8e96d8515ddddd53a99a69957651.
34. Le Monde con AFP, ‘EU Chief Unveils €800 Billion Plan to “Rearm” Europe’, Le Monde, 4 marzo 2025, https://www.lemonde.fr/en/european-union/article/2025/03/04/eu-chief-reveals-800-billion-plan-to-rearm-europe_6738782_156.html.
35. Janan Ganesh, ‘Europe Must Trim Its Welfare State to Build a Warfare State’, Financial Times, 5 marzo 2025, https://www.ft.com/content/37053b2b-ccda-4ce3-a25d-f1d0f82e7989.
36. Saara Kuugongelwa-Amadhila, ‘Main Stage I: Defending the UN Charter and the Rules-Based International Order’, panel discussion presso la Munich Security Conference, Munich, 18 febbraio 2023, https://securityconference.org/mediathek/asset/main-stage-i-defending-the-un-charter-and-the-rules-based-international-order-20230218-0917/.
37. Tricontinental: Institute for Social Research, The Churning of the Global Order, dossier no. 72, 23 gennaio 2024, https://thetricontinental.org/dossier-72-the-churning-of-the-global-order/.
38. Audronius Ažubalis, NATO and the Global South, (NATO Parliamentary Assembly, 2024), 13, https://www.nato-pa.int/document/2024-nato-and-global-south-report-azubalis-055-pcnp.
39. ‘Speech by NATO Secretary General Jens Stoltenberg at the Wilson Center Auditorium Followed by Q&A’, North Atlantic Treaty Organisation, 17 giugno 2024, https://www.nato.int/cps/en/natohq/226742.htm?selectedLocale=en.
40. Global Centre for the Responsibility to Protect, ‘What is R2P’, https://www.globalr2p.org/what-is-r2p/#:~:text=The%20Responsibility%20to%20Protect%20populations,Background%20Briefing%20on%20R2P
41. Vijay Prashad, ‘In Africa They Say, “France, Get Out!”: The Nineteenth Newsletter (2024)’, Tricontinental: Institute for Social Research, 9 maggio 2024, https://thetricontinental.org/newsletterissue/the-sahel-seeks-sovereignty/.
42. ‘Groupes d’Action Rapides – Surveillance et Intervention au Sahel (GARSI)’ [Rapid Action Groups – Surveillance and Intervention in the Sahel (GARSI)], CIVIPOL, 15 giugno 2021, https://civipol.fr/fr/projets/groupes-daction-rapides-surveillance-et-intervention-au-sahel-garsi.
43. Tricontinental: Institute for Social Research, Defending Our Sovereignty: US Military Bases and the Future of African Unity, dossier no. 42, 5 luglio 2021, https://thetricontinental.org/dossier-42-militarisation-africa/ , e Antonella Napolitano, Artificial Intelligence: The New Frontier of the EU’s Border Externalisation Strategy (Copenhagen: EuroMed Rights, luglio 2023).
44. ‘Cooperation with the African Union’, North Atlantic Treaty Organisation, 27 aprile 2023, https://www.nato.int/cps/fr/natohq/topics_8191.htm?selectedLocale=en.
45. Hanna Eid, ‘A New World Born from the Ashes of the Old’, Interventions no. 5, Tricontinental Pan Africa, 8 ottobre 2024, https://thetricontinental.org/pan-africa/eid-interventions-5/.
46. ‘NATO Delegation Takes Part in Ninth Round of Military-to-Military Staff Talks with the African Union’, North Atlantic Treaty Organisation, 28 novembre 2024, https://www.nato.int/cps/en/natohq/news_230897.htm.
47. ‘The 601th Meeting of the AU Peace and Security Council on Early Warning and Horizon Scanning’, African Union, 8 giugno 2016, https://www.peaceau.org/en/article/the-601th-meeting-of-the-au-peace-and-security-council-on-early-warning-and-horizon-scanning.
48. Sten Rynning, NATO: From Cold War to Ukraine, a History of the World’s Most Powerful Alliance (Yale University Press, 2024), 275.
49. ‘London Declaration’, North Atlantic Treaty Organisation, 4 dicembre 2019, https://www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_171584.htm ; ‘Brussels Summit Communiqué’, North Atlantic Treaty Organisation, 14 giugno 2021, https://www.nato.int/cps/en/natohq/news_185000.htm.
50. Luis Simón, ‘NATO’s China and Indo-Pacific Conundrum’, NATO Review, 22 novembre 2023, https://www.nato.int/docu/review/articles/2023/11/22/natos-china-and-indo-pacific-conundrum/index.html.
51. ‘Relations with Partners in the Indo-Pacific Region’, North Atlantic Treaty Organisation, 24 ottobre 2024, https://www.nato.int/cps/en/natohq/topics_183254.htm , e Tricontinental: Institute for Social Research, The Churning of the Global Order, dossier no. 72, 23 gennaio 2024, https://thetricontinental.org/dossier-72-the-churning-of-the-global-order/.
52. ‘Shigeru Ishiba on Japan’s New Security Era: The Future of Japan’s Foreign Policy’, Hudson Institute, 25 September 2025, https://www.hudson.org/politics-government/shigeru-ishiba-japans-new-security-era-future-japans-foreign-policy ; US-China Economic and Security Review Commission, ‘Chapter 9: Taiwan’, in 2024 Annual Report to Congress (Washington, DC: US Government Publishing Office, novembre 2024), 443–485, https://www.uscc.gov/sites/default/files/2024-11/Chapter_9–Taiwan.pdf ; US Senate Committee on Foreign Relations, Taiwan Policy Act of 2022 (Washington, DC: US Senate, 2022), https://www.foreign.senate.gov/imo/media/doc/Taiwan%20Policy%20Act%20One%20Pager%20FINAL.pdf ; Clinton Fernandes, Sub-Imperial Power. Australia in the International Arena (Melbourne University Press, 2022); Clinton Fernandes, Island off the Coast of Asia. Instruments of Statecraft in Australian Foreign Policy (Monash University Press, 2018); Brendon Cannon e Kei Hakata, a cura di, Indo-Pacific Strategies: Navigating Geopolitics at the Dawn of a New Age (London: Routledge, 2021); Nanae Baldauff, Japan’s Defence Engagement in the Indo-Pacific (Springer Nature, 2024).

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