In evidenzaNewsTavoli tematiciTavolo Ambiente, territorio, modello di sviluppo

Mobilitazioni sul clima: le risposte alle domande più ricorrenti

Di Salvatore Prinzi – coordinamento nazionale di Potere al Popolo

Quando accade un fatto nuovo si solleva sempre molta confusione. Le notizie si accavallano, i media le danno in maniera interessata (secondo la convenienza del loro sponsor politico, il ritorno dei clic etc), i social finiscono per produrre ulteriore disinformazione. Così la sostanza politica dell’evento, il conflitto che lo ha prodotto e quello che ci può insegnare, sparisce dietro il particolare, il sentito dire, il complotto, la celebrazione – tutto si fa spettacolo, tutto si satura e tutto si esaurisce. Così tutto può restare uguale.

Invece se vogliamo trasformare il mondo dobbiamo capire cosa accade, ricostruirne la provenienza, dargli il tempo di mostrarsi senza giudicarlo, non rifiutarne la complessità e i limiti, ma saper distinguere le cose importanti da quelle superficiali. E agirci dentro, perché la nostra azione può modificare la realtà, fare sviluppare certi elementi e farne appassire altri.

Per questo ho provato a rispondere ad alcune domande ricorrenti in queste ore a proposito delle mobilitazioni intorno al cambiamento climatico.

1. PERCHÉ VENERDÌ 15 C’ERANO MANIFESTAZIONI IN TUTTO IL MONDO?

Perché in oltre 2.000 città le realtà sociali, studentesche e ambientaliste hanno deciso di rispondere all’appello del movimento “Friday for future”, “Venerdì per il futuro”, lanciato dalla giovane Greta Thunberg.
In realtà, questa è solo la risposta più superficiale, come vedremo fra poco.

2. COS’E’ IL FRIDAY FOR FUTURE? E CHI E’ GRETA?

Greta è una studentessa svedese che nell’agosto del 2018, impressionata dalla grande ondata di calore che portò all’incendio di molti boschi in Svezia, decise di protestare sedendosi ogni venerdì fuori al suo Parlamento finché il governo non avesse accettato di implementare gli Accordi di Parigi sulla riduzione dell’emissione di gas serra (quelli che stanno determinando un cambiamento climatico). L’età della ragazza, il fatto di essere affetta da sindrome di Asperger, la sua determinazione, la diffusa sensibilità ambientalista del Nord Europa, hanno fatto sì che diventasse rapidamente un simbolo, prima in Svezia, poi nel mondo, grazie al suo impressionante discorso del 4 dicembre 2018 a un vertice delle Nazioni Unite.

3. LA VISIONE POLITICA DI FRIDAY FOR FUTURE?

Il movimento non ha un’identità politica strettamente definita, non è organizzato. Ma le parole che hanno fatto conoscere Greta nel mondo sono molto chiare, e mettono in discussione non solo il sistema politico ma quello economico. Greta ha espresso la sua disistima nei confronti dei potenti del mondo, in particolare di Trump, e si è rivolta direttamente ai popoli, indicando le differenze di classe che stanno alla base dello sfruttamento ambientale, secondo un’analisi abbastanza diffusa nel mondo della sinistra radicale:
«Voi parlate soltanto di un’eterna crescita economica verde poiché avete troppa paura di essere impopolari. Voi parlate soltanto di proseguire con le stesse cattive idee che ci hanno condotto a questo casino, anche quando l’unica cosa sensata da fare sarebbe tirare il freno d’emergenza […] La biosfera è sacrificata perché alcuni possano vivere in maniera lussuosa. La sofferenza di molte persone paga il lusso di pochi. Se è impossibile trovare soluzioni all’interno di questo sistema, allora dobbiamo cambiare sistema».

4. “NON CI CREDO, LE MOBILITAZIONI SONO PILOTATE!”

Molti non si spiegano come un piccolo movimento abbia fatto scendere in piazza milioni di persone. Si immaginano complotti, finanziamenti occulti, che ci sia una regia politica. In realtà le cose sono allo stesso tempo più semplici e più complesse di così.
Da un lato sono più semplici: sono decenni che ormai i movimenti ambientalisti avanzano ovunque e si fa strada una sensibilità ecologica. Negli ultimi anni tutti abbiamo potuto constatare i danni che l’uomo sta portando all’ambiente e alcuni eventi hanno impressionato l’immaginario collettivo, soprattutto dei giovani, che sono quelli che pagheranno maggiormente le conseguenze. La questione è quindi reale e sentita in modo più o meno trasversale alle classi sociali e ai territori.
Inoltre, ben prima di Greta, partiti ecologisti e socialisti, reti ambientali, collettivi, erano attivi, riportavano crescite elettorale, vittorie, visibilità, miglioravano elaborazione, scambi ed organizzazione. Scioperi internazionali c’erano già stati nel 2015 all’epoca degli Accordi di Parigi, ma l’8 dicembre 2018, ad esempio, si è tenuta la “Marcia mondiale per il clima” chiamata da una rete ecologista francese che ha portato centinaia di migliaia di persone in piazza in tutta Europa.
Per cui, quando si è materializzato un simbolo, quando i giornali hanno iniziato a parlare di Greta, tutti questi soggetti sociali hanno pensato di sfruttare anche quest’occasione.
Insomma, Greta è stata come il bambino che nella favola grida: “Il re è nudo!”.
In Italia la partecipazione ai cortei ha colpito ancora di più perché finora non ci sono mai state grosse mobilitazioni sul cambiamento climatico, dato che manca una sensibilità ecologica diffusa, manca anche una presenza vera del tema nei programmi dei partiti. Tuttavia il tema ambientalista è sentitissimo dai comitati di lotta dei cittadini contro le Grandi Opere, contro l’ILVA e il biocidio, dai gruppi politici della sinistra e dei primi 5 Stelle. Ma non a caso queste manifestazioni non hanno mai ricevuto grande supporto dalla stampa, perché andavano a toccare interessi concreti.

5. QUANTO HANNO AIUTATO I MEDIA?

Come dicevo, le cose sono complesse. Anche “i media” non sono un blocco unico e agiscono seguendo interessi diversi. Ce ne sono ad esempio alcuni che hanno dileggiato Greta o gli ambientalisti. Ma certamente molti media hanno deciso di dare visibilità alla storia di Greta e hanno finito per spingere le mobilitazioni. Perché lo hanno fatto? Giriamo la domanda: perché non avrebbero dovuto farlo? L’informazione ormai si deve vendere come una merce. Quella di una ragazzina che si mobilita per il pianeta è una merce abbastanza nuova, si vende bene, fa fare clic, si condivide facilmente perché nessuno parteggia per l’inquinamento, dà un tono “impegnato” e “sociale” anche al soggetto più disinteressato. Parlare delle mobilitazioni dei giovani e trattarli affettuosamente può anche servire per farsi dei lettori fra i giovani, che si girano qualcosa che parla di loro.
D’altronde finché si indica il problema, è facile essere d’accordo. È sulle soluzioni semmai che ci si divide. Ma molti media hanno evitato di parlare delle soluzioni proposte da Greta o dagli ecologisti radicali, e hanno anzi cercato di rimuovere l’opposizione dei giovani ai governi o ai partiti di governo. Fra poco vedremo perché…

6. C’E’ QUINDI DA ESSERE CONTENTI PER QUESTE MOBILITAZIONI?

Certamente sì! Quando i cittadini del mondo scendono in piazza per affrontare un problema globale, quando grazie a una spinta dal basso il dibattito pubblico si orienta su temi seri, invece di parlare di stronzate o della solita “caccia al migrante”, quando i giovani si interessano al loro futuro e alle questioni sociali e politiche, quando embrionalmente si inizia a capire che il problema di questa situazione è lo stesso sistema economico e politico, questa non può che essere una buona notizia.
Soprattutto in Italia, dove per un anno abbiamo sentito i giornali rappresentare solo un paese risentito, demente, barbaro. Invece questa mobilitazione, che arriva subito dopo quella delle donne l’8 marzo, parla un linguaggio solare, di speranza.

7. MA SERVE A QUALCOSA SCENDERE IN PIAZZA?

Ovviamente con un corteo solo non si cambia nulla, soprattutto su un tema come questo. Ci vogliono tanti cortei e tante iniziative di sensibilizzazione, tanta organizzazione anche a livello internazionale, tante proposte e contenuti, soprattutto ci vuole lo scontro politico e sociale con quelli che impediscono che qualcosa cambi. Perché nulla si è ottenuto nella storia senza scontro verso chi detiene il potere.
Chi vuole trasformare il mondo deve stare in queste mobilitazioni e sviluppare coscienza, organizzazione e contenuti più forti, sottolineando soprattutto un punto: che a consumare di più sono i ricchi ma a pagare i costi dell’inquinamento sono i poveri. Che quindi le spese della “transizione ecologica” vanno fatte pagare ai ricchi (industriali, finanzieri) che hanno inquinato e speculato; che il problema non è solo moderare i consumi individuali, ma intervenire a monte, sul modo di produzione, vietando certe produzioni, mettendo subito limiti alle imprese che consumano risorse spesso depredando paesi già poveri, impedendo Grandi Opere Inutili, colate di cemento e devastazione territoriale. Si tratta di prendere consapevolezza che il problema è alla radice e si chiama capitalismo, cioè un modo economico che, producendo per il profitto, è disposto a distruggere sia le persone che l’ambiente.
Da questo punto di vista è ancora tutto da fare, il movimento, soprattutto in Italia, è all’inizio. Ma l’esempio del Partito del Lavoro Belga o della France Insoumise, che hanno costruito enormi mobilitazioni dal punto di vista di un’ecologia popolare, ci dice che è possibile …

8. MA CHI ERA IN PIAZZA SAPEVA PER COSA MANIFESTAVA?

Accusare i manifestanti di scarsa consapevolezza è un classico del potere, serve a svuotare di senso le manifestazioni. Questa accusa viene ripetuta ogni volta che nasce un movimento. Pensate al 2001, epoca dei no global: “i manifestanti sono solo ragazzini figli di papà”, protestano contro la globalizzazione e poi hanno le Nike ai piedi… Nulla di nuovo, quindi.
Certo, sicuramente in Italia molti ragazzi sono a digiuno di politica. Anni di cazzate diffuse da media e politici hanno fatto sì che molti non abbiano familiarità con i termini della discussione o che siano più moderati della stessa Greta, perché chiedono un cambiamento senza mettere in discussione il sistema, o lo chiedono proprio a quei politici che hanno provocato il disastro… Certamente c’è qualcuno che è andato in piazza per imitazione o perché si sapeva che “c’era situazione”. Ma molti hanno anche avvertito, per quanto confusamente, che ne va del loro destino, che bisogna esserci, che questa terra gli appartiene.
Oggi, in una società così poco formata politicamente e ideologicamente, le persone si attivano su “flussi di emotività”. Si possono ignorare questi flussi dicendo che non fanno storia duratura, ma così si resta sempre a margine. Si può inseguire il flusso e restarne schiavi. O si può stare nel flusso provando a costruire.
Di sicuro è più facile far passare dei contenuti ecologisti sulla base delle mobilitazioni di venerdì rispetto a quando non si muoveva niente. Non ha senso quindi criticare i ragazzi per la loro impreparazione, che poi è quella di tutti: ha senso lavorare insieme per superarla. Non ha senso criticare i manifestanti perché consumano il gas per riscaldarsi o accendono una lampadina: ha senso far sì che a livello collettivo e globale i consumi di energia e di risorse siano regolati, e che la tecnologia sia messa al servizio dell’uomo e del pianeta, non dei profitti.

9. C’E’ UN TENTATIVO DI RECUPERO DA PARTE DELLA POLITICA ISTITUZIONALE?

Certamente sì! Ogni movimento sociale è sempre oggetto di questi tentativi di recupero da parte del potere, soprattutto appena nasce e soprattutto quando la radicalità delle sue forme è bassa (finché si sfila una volta senza dare troppi problemi, chi può trovare molto da ridire?). Questo sta accadendo in tutta Europa, con i Governi che cercano di blandire i ragazzi dicendo “avete ragione”, ma avviene con più forza in Italia, dove la società è molto più depoliticizzata, i media meno rigorosi, i soggetti politici meno robusti.
Ma il tentativo di recupero non deve certo impedire di manifestare, anzi! Facciamo un esempio storico.
Quando iniziò l’Onda, il movimento studentesco del 2008, Repubblica pompava qualsiasi cosa accadesse. Perché bisognava mettere in difficoltà il Governo di Berlusconi appena eletto, bisognava creare una sponda alla CGIL, lanciare assist al PD. Eppure nessuno pensò che per questo non valesse la pena protestare contro una riforma sbagliata come quella della Gelmini. Certo, qualcuno alle prime armi non si accorgeva di questo ruolo dei media e si beava dei titoli, per poi scoprire amaramente che quando Repubblica fece calare l’attenzione calò subito anche il movimento. Qualcuno si illudeva e pensava di giocare con i media e con la politica, e di poter incentrare tutta la protesta solo sulla mediaticità senza sedimentare niente di reale, ma anche lui fu smentito. E tuttavia nessuno pensava che ci fosse un complotto a muovere gli studenti! Così molti restarono a militare anche dopo le mobilitazioni, e nell’autunno del 2010 il movimento tornò in numeri più piccoli ma ben più radicali. Qualcosa aveva scavato…
In dieci anni il complottismo ci ha rincoglioniti. Se Zingaretti dedica la vittoria nelle primarie PD a Greta, invece di dire che Zingaretti è un incoerente perché non puoi essere per Greta e allo stesso tempo per il TAV, il problema diventa Greta che è “compatibile”. Ma in Francia o in Belgio un Zingaretti sarebbe stato incalzato dalla stampa o dalla piazza! Purtroppo invece la nostra stampa è servile e questa piazza è ancora a digiuno.
Insomma: da un lato le mobilitazioni di massa all’inizio sono sempre spurie, generiche, depoliticizzate. Da un altro lato ci sono soggetti politici ma anche economici, imprenditori “verdi”, che hanno interesse a che si sviluppi questo settore di mercato, che ci siano finanziamenti, e cercano di utilizzare queste mobilitazioni per offrire le loro soluzioni.
Per questo bisogna stare nei movimenti per difenderne l’autonomia e non farli sovradeterminare da chi ha interessi privati.

10. IL MOVIMENTO ANDRA’ AVANTI? COME NON FARLO MORIRE?

Di certo a livello internazionale non si fermerà a breve, vista l’importanza del tema ecologista. È quindi logico immaginarsi che anche in Italia vivrà per qualche tempo sull’onda di questa spinta. È possibile che Repubblica e una parte del mondo liberale e di sinistra pomperà questo tipo di mobilitazioni almeno fino a maggio per due motivi: andare contro la Lega, che su questo tema ha poco da dire, e contro i 5 Stelle che su questo tema hanno tradito; usare questa mobilitazione per far recuperare voti alle Europee al PD di Zingaretti.
Poi, il giorno dopo le elezioni, i ragazzi potranno di nuovo sparire, soprattutto se osano fare dell’ecologismo militante, magari impedendo fisicamente la costruzione del TAV… Già il 23 marzo prossimo vedremo come la stampa parlerà del grande corteo a Roma contro le Grandi Opere Inutili: volete vedere che i toni saranno ben diversi?

Come possiamo quindi non far morire il movimento?

  1. Slegandolo dalla dimensione puramente mediatica. Le telecamere vanno sfruttate, ma non inseguite, gli sforzi vanno concentrati nel lavoro pancia a terra, nella costruzione di organizzazione, nei volantinaggi e nelle iniziative sui posti di lavoro e nelle scuole. I movimenti di opinione che sfruttavano la mediaticità sono già stati sconfitti con il movimento no global e il movimento no war 15 anni fa: c’è bisogno di costruire movimenti radicali e radicati, di dare continuità e stabilità all’iniziativa;
  2. Si fa morire questo movimento se lo si depoliticizza. Se si tirano su piazze senza bandiere e senza politica, pensando che sia qualcosa di nuovo. È una roba già vista e che ha già prodotto disastri all’epoca dell’Onda, quando “l’apolitica” rese più facile l’infiltrazione dei fascisti. E che ha fatto sì che nella società italiana prendesse piede un partito post-ideologico come i 5 Stelle, che alla fine ha aperto la strada all’iper-ideologica Lega.
    Le bandiere e i simboli – non di quelli che sono o sono stati al Governo, ovviamente – danno un colore, riconnettono le storie e i percorsi, fanno fare dibattito, spingono a informarsi. Quello che il potere vuole è proprio che i giovani non abbiano visione politica, così possono essere strumentalizzati, che lancino slogan contro il cambiamento climatico ma non contro Salvini o il TAV.
    Politicizzare un movimento vuole anche dire renderlo democratico: non fare sì che le cose siano decise da autoproclamati leader nelle segrete stanze, perché anche questa è una cosa che ha fatto allontanare negli anni tantissime persone.
  3. Bisogna collegare questo movimento ambientalista agli altri conflitti e movimenti esistenti in Italia. Perché nessuna questione viaggia da sola, sono tutte connesse. Lo sfruttamento dell’ambiente è solo un’altra faccia dello sfruttamento sull’uomo e sulla donna. Dunque bisogna legare la lotta per l’ambiente a quella per i diritti dei lavoratori, delle donne, a quella per una scuola che deve formarci bene, a quella per una università e una ricerca libera dalle aziende private e finalizzata al bene collettivo. A quella per l’accoglienza dei migranti molti dei quali scappano proprio da territori devastati a causa dei cambiamenti climatici e della desertificazione.
    Solo se da lotte sparse si passa a un unico fronte che sappia coinvolgere le classi popolari si può sperare di vincere.

Insomma, c’è tanto da fare! Non è facile, ma le tante ragazze e i tanti ragazzi scese in piazza ieri meritano la nascita di un movimento vero! Intanto ci vediamo a Roma sabato 23 marzo, per evitare nuovi scempi ambientali…


Lascia un commento