di Nadia Rosa
Oggi stiamo attraversando una fase di ulteriore trasformazione nei modi di produzione (come si producono beni e servizi). E forse, come scenario possibile, anche dei rapporti di produzione. L’uso dei big data nel processo produttivo robotizzato, la disponibilità di macchine capaci di svolgere mansioni a medio-alta complessità sin qui appannaggio dei soli esseri umani, robot equipaggiati di algoritmi di apprendimento di ultima generazione, sono già stati sperimentati in luogo di operatori di call center o di assistenza post-vendita, anestesisti, redattori di articoli in giornali specializzati.
Per non parlare dell’emergere dell’”economia delle piattaforme”. Le “labour platform”, che vanno dalle piattaforme che forniscono la consegna di pasti a domicilio come Foodora o Deliveroo, trasporto come Uber, servizi per la casa come TaskRabbit o servizi come Amazon e Crowdflower, connettono in modo immediato clienti e prestatori di servizi.
Questa trasformazione ha una duplice natura: da un lato, potrebbe offrire grandi opportunità associate alla creazione di nuova ricchezza e maggior benessere, attraverso i guadagni di produttività ed alla maggiore efficienza dei processi produttivi, grazie all’implementazione delle innovazioni di processo.
Dall’altro lato, ogni “salto tecnologico” costituisce una sfida alla sostenibilità sociale del sistema economico. Ci riferiamo al rischio di distruzione di occupazioni a medio-alta competenza e all’ espansione senza precedenti del concetto di flessibilità, le cui implicazioni sull’organizzazione economica e sociale e in particolare sulle condizioni di lavoro, non è ancora possibile prevedere completamente.
Il riconoscimento della non neutralità della tecnologia è pero’ già di per se un buon punto di partenza, poiché mette in luce il ruolo chiave della politica economica. Quest’ultima, infatti, è lo strumento attraverso cui è possibile sfruttare le potenzialità tecniche delle innovazioni minimizzando il rischio di disoccupazione, riduzione dei salari, frammentazione del lavoro e accumulazione di eccessivo potere di mercato da parte delle imprese e per assicurare l’equa distribuzione di costi e benefici; nonché la sostenibilità sociale dello stesso cambiamento tecnologico.
Lottiamo per: rappresentare gli interessi nei nuovi lavori autonomi e delle piattaforme informatiche; inserire nella programmazione di Industria 4.0 finanziamenti finalizzati alla nuova e buona occupazione, in alternativa ai finanziamenti a pioggia di questi anni, anche attraverso l’adozione di specifici piani di formazione, utili anche per evitare il deperimento delle competenze accumulato dai lavoratori espulsi e favorirne la ricollocazione in nuovi settori o nuove mansioni.