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COP26: nuovo fallimento annunciato?

Non potrà essere diversamente continuando a seguire il mantra della crescita infinita.

Il 31 ottobre inizia a Glasgow la COP 26, il ventiseiesimo incontro annuale, organizzato dalle Nazioni Unite, sul cambiamento climatico. Delle due settimane in programma, i primi giorni vedranno intervenire i maggiori leader nazionali, europei e delle Nazioni Unite, ma anche rappresentati dei movimenti per il clima e della società civile. Tuttavia le vere e proprie negoziazioni avverranno nella seconda parte dell’incontro, e saranno condotte soprattutto da ministri dell’ambiente e funzionari.
In questa edizione della COP i decisori politici non sono chiamati a concordare nuovi obiettivi internazionali, bensì dovranno presentare piani concreti per l’abbattimento delle emissioni di gas clima alteranti in linea con i precedenti accordi di Parigi, nei quali si erano impegnati a mantenere l’aumento della temperatura globale “ben al di sotto di 2 °C” rispetto all’epoca pre-industriale, e per “sostenere gli sforzi per mantenere l’aumento entro 1,5 °C”.

Cosa dicono i numeri?

Secondo le Nazioni Unite, entro il 2030 occorre ridurre le emissioni globali di CO2 del 45 % rispetto al 2010, ma l’analisi degli impegni che gli stati hanno adottato (nome tecnico NDC – Nationally Determined Contributions, Contributi Determinati su Base Nazionale) prevede invece un aumento delle emissioni del 16 % da qui al 2030. Altro dato importante, l’estrazione di combustibili fossili prevista al 2030 è circa il doppio di quella valutata come necessaria per rispettare gli accordi di Parigi. Questi sono i parametri a cui fare riferimento. Il resto sono chiacchiere. E la situazione è tanto più grave se si considera che già l’aumento di 1,5 °C comporta un pericoloso innalzamento dei livelli dei mari, eventi meteorologici estremi, siccitá e inondazioni diffuse anche nei paesi industrializzati, e una perdita di biodiversità gigantesca.

Cosa ci aspettiamo dalla COP26?

Alla conferenza di Glasgow, non sentiremo parlare del vero problema che impedisce all’umanità di affrontare l’emergenza climatica ed ecologica che ci sta aggredendo. I politici di massimo livello continuano a propinarci la favola della crescita, adducendo che sarà “sostenibile” e “verde”. Ma indipendentemente dal colore della crescita, il futuro di un mondo soggiogato dal dogma neoliberista sarà tutt’altro che roseo. Salvare capra (il capitalismo) e cavoli (l’ambiente) non è possibile, ed è questa la ragione di fondo per cui, dopo 26 anni di incontri sul clima, non ci stiamo avvicinando agli obiettivi posti. E che non si tratti di una questione meramente ideologica lo dimostrano gli articoli scientifici che mettono in dubbio la possibilità di contrastare i cambiamenti climatici continuando a perseguire politiche di crescita del PIL, pubblicati su autorevoli riviste scientifiche da Nature a Ecological Economy. In merito a ciò si è recentemente espresso anche il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi, che in occasione della riunione PreCOP26 alla Camera dei Deputati ha affermato che “la crescita del PIL è incompatibile con la lotta al cambiamento climatico”.

La politica ascolterà la scienza?

Per ora, non sembrerebbe proprio. Mario Draghi non perde occasione di ripetere il mantra della crescita, e dal suo intervento a Glasgow ci aspettiamo l’ennesima delirante riedizione di questo triste, antiscientifico ritornello. Come lui, purtroppo, nessuno tra i governanti dei principali paesi industrializzati mette in discussione i principi e la struttura della nostra economia. Alla COP26 le uniche parole di buon senso, sul rapporto inestricabile tra crisi ecologica e crisi sociale, sui rapporti di forza tra Nord e Sud globale, e sull’urgenza di agire in modo tempestivo, ce le aspettiamo da una attivista svedese diciottenne. Speriamo che almeno non cambi tono anche il segretario generale delle Nazioni Unite che ha recentemente parlato di “allarme rosso per l’umanitá”.

E Potere al Popolo?

Potere al Popolo si pone l’obiettivo di una transizione vera, che sia insieme ecologica, economica e sociale. Saremo nelle lotte, come sempre, nei territori e continueremo a smascherare le promesse vuote di una classe politica miope. Saremo critici ma anche propositivi, approfondendo le strade per applicare, a tutti i livelli, modelli economico sociali rispettosi dell’ambiente e delle risorse naturali.
Abbiamo sempre sostenuto che la crisi climatica non può essere affrontata senza un radicale cambio di programma: dalla crescita del PIL, alla crescita del benessere collettivo e ambientale.
Vogliamo che l’umanità scenda da questo carro in folle corsa verso l’autodistruzione, e stiamo lavorando per disegnare un futuro migliore.

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