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Ciao Lidia, partigiana per sempre!

Se n’è andata Lidia Menapace, partigiana per sempre, femminista, comunista da una vita e fino alla fine, voce di questo secolo così pieno.
Ciao Lidia, abbiamo fatto un pezzetto di strada insieme e ne siamo onorati.
Questo 2020 ti porta via, ma le partigiane come te non muoiono mai.
Di seguito abbiamo raccolto alcuni nostri ricordi per raccontare quanto grande è stata Lidia, e quanto bisogno ancora c’è di donne come lei…
Tre pillole sulla vita di Lidia Menapace, per capire che grande donna è quella scomparsa oggi, per capire l’importanza, il bisogno, l’attualità del femminismo.

1. Spesso Lidia viene definita “staffetta partigiana”. Ma lei rifiutava questa definizione.

Anche perché, come raccontava, era stata “congedata col brevetto di ‘partigiano combattente’ (ovviamente al maschile) e col grado di sottotenente”. Così diceva: “Contesto l’idea che le donne potessero essere solo staffette perché la lotta di liberazione è una lotta complessa”. E “il CNL del Piemonte mi disse che potevo essere partigiana combattente anche senza portare armi… Di noi dicevano che eravamo le ragazze, le puttane dei partigiani… Ma senza le donne che ricoveravano l’esercito italiano in fuga non avrebbe potuto esserci la Resistenza“.

2. Ma Lidia non era solo una presenza femminile in un contesto quasi tutto maschile come quello della guerra.

Era donna in un contesto maschilista come quello dell’Università. A 21 anni si laurea con il massimo dei voti in letteratura italiana. Il giorno della sua laurea un professore la loda dicendo che il suo lavoro è “frutto di un ingegno davvero virile”. Lidia non gliela fa passare: la sua replica viene bollata come “isterica”…

All’inizio degli anni Sessanta inizia ad insegnare presso l’Università Cattolica con l’incarico di Lettrice di Lingua italiana e metodologia degli studi letterari, ma nel 1968, a seguito della pubblicazione di un documento intitolato “Per una scelta marxista”, non le viene rinnovato l’incarico di Lettrice.

3. Lidia Menapace nella sua lotta per l’emancipazione della donna ha sempre battuto sull’elemento economico.

“Nei paesi formalmente democratici, non si può più escludere un genere da alcuni diritti. Bisogna però stare attenti. Conviene buttarsi al massimo nelle lotte paritarie. Cominciare a protestare subito se le bambine hanno minor accesso all’istruzione o se si chiede alle donne di stare in casa a occuparsi della famiglia”… “Mia mamma ha coniato un codice etico per le due figlie: siate indipendenti economicamente e poi fate quello che volete. L’importante è che siate indipendenti per le calze. Non si può essere indipendenti per la testa e non nei piedi”.
Grazie Lidia, per tutto quello che hai fatto e per quello che ci hai insegnato con il tuo esempio!

di Chiara Capretti

Il covid si è portato via anche Lidia Menapace. Classe 1924, una generazione preziosa, una perdita che pesa come un macigno.

Perchè Lidia era un vulcano, bastava ascoltarla pochi minuti per rendersene conto. Brillante, lucidissima ma soprattutto ironica e incredibilmente libera e aperta.
Quando si candidò con Potere al Popolo andai a casa sua a Bolzano prima dell’iniziativa che ci attendeva un paio d’ore dopo. In quel salotto in cui regnavano scaffali di libri di ogni genere e pasticcini per gli ospiti, sulla poltrona c’era lei e intorno a lei femministe molto punk, studenti e studentesse universitari, vecchi compagni, e mi stupì la sua capacità, nonostante i 94 anni ormai, di rispondere a tono a chiunque, entrando in confidenza con semplicità e ironia.
La stessa ironia sfrontata di Rosa Luxemburg quando in prigione chiese all’amica Gertrud Zlottko che le venisse comprata una giacca lilla, perché non era possibile vivere senza. Con uno spirito simile non c’è niente che può spaventarti.

E infatti Lidia non è mai stata zitta.

Sin da partigiana, quando in Italia si parlava di “contributo” delle donne, non di “appartenenza” alla guerra civile per la liberazione. Il PCI di Togliatti chiese alla donne di non partecipare alle sfilate “perché bisogna accreditarsi come forza rispettabile” e non si potevano vedere donne armate, al massimo vestite da crocerossine. E Lidia disobbedì.
E la lista è lunga, Lidia perse l’incarico alla Cattolica di Milano per il suo posizionamento marxista, attaccò le frecce tricolori giudicandole inutili e inquinanti, non ha mai cercato di semplificare e banalizzare, anzi con arguzia e capacità tesseva pensieri complessi all’altezza delle sfide che ci aspettano.
Sabina Guzzanti quel pomeriggio era lì con noi per intervistarla, e ruppe subito il ghiaccio chiedendole cosa aveva combinato nella vita e subito dopo, diretta “E con il femminismo come va?” E Lidia, laconica “Beh, va che mi sembrano tutte intellettuali. Troppo lontane dal popolo” e partì una grande discussione sul linguaggio, sull’educazione necessaria dall’asilo, sull’accesso al lavoro e sui salari…
Impossibile inquadrarla in un’etichetta, Lidia era indipendente, nuotava in un mare di sapere cercando sempre nuove coste, nuovi stimoli, nuovi linguaggi.
Indipendente dappertutto, partigiana per scelta di vita, per tutta la vita

Lidia Menapace era questo.

In quel maledetto febbraio 2018, a Macerata, Luca Traini aveva deciso di fare una strage di ragazzi e ragazze colpevoli di essere emigrati dall’Africa. Ferì 6 persone, non uccidendone nessuna solo perchè aveva una pessima mira.

Venne immediatamente indetta una manifestazione per il 10 febbraio successivo, ma subito partì una macchina collaudata: iniziò a serpeggiare sui media il sospetto che ci sarebbero state tensioni, perchè Casapound e Forza Nuova avevano chiamato nei giorni precedenti delle loro manifestazioni in solidarietà allo stragista. Le istituzioni allora ci dissero che anche noi antifascisti non saremmo potuti scendere in piazza, mettendoci allo stesso livello dei fascisti, che in fondo nessuno era morto e che bastava firmare l’appello con cui l’area di centrosinistra tentava di porsi come unico argine “moderato” dei fascisti.

LA VIDEO INTERVISTA DEL 10 FEBBRAIO 2018

Il Ministro dell’Interno Minniti, insieme al sindaco di Macerata Romano Carancini (PD), decretò lo stop alle manifestazioni.

Le direzioni nazionali di Anpi, Arci, Cgil e Libera, da buone cinghie di trasmissione dei dem, si associarono vergognosamente al Governo nell’impedire che scendessimo in piazza. E tutto ciò mentre Traini diceva di non sentirsi pentito, e Salvini affermava su tutti i canali che il problema era “l’immigrazione incontrollata”, che in fondo quei neri se l’erano cercata…

Per noi rinunciare a quella manifestare era fuori discussione, c’era in ballo lo sdoganamento del terrorismo e del razzismo, così tenemmo duro, pubblicamente. In un’atmosfera intesita dai media, erano centinaia le persone che ci chiamavano preoccupate. A loro davamo sempre la stessa risposta: “Il corteo si farà”. Tutta Potere al Popolo si mobilitò per evitare l’isolamento degli antifascisti di Macerata.
Alla fine arrivammo a Macerata in ventimila. In cima allo spezzone di Pap, incordonata come se avesse avuto 20 anni, c’era Lidia Menapace, che di anni ne aveva 93, scesa a Macerata dal profondo Nord.
Quel giorno sfidò per l’ultima volta nella sua vita i divieti della questura, il fascismo visibile dei Traini e quello invisibile del centrosinistra al potere, dimostrando ancora una volta cosa vuol dire essere partigiana.
Grazie Lidia per il tuo esempio.

di Sergio Cararo

Lidia Menapace, un ricordo affettuoso ma non formale

Colpisce ed è bella la sincera commozione di tante compagne e compagni per la scomparsa di una figura politica della sinistra alternativa come Lidia Menapace.
Ex partigiana, cattolica progressista e comunista eterodossa (non aderì al Pci), femminista, tra le prime ad aderire a Il manifesto e autrice di diversi libri e testi significativi nella cultura politica sulla quale si sono formate e conformate almeno un paio di generazioni politiche di compagne e compagni.
Ho un ricordo personale di Lidia Menapace nella seconda metà degli anni Ottanta, quando aveva costituito insieme ad altri compagni storici come Ivano Di Cerbo e diversi ex de Il manifesto, il Movimento Politico per l’Alternativa.
Con lei e gli altri compagni del Mpa facemmo diversi incontri bilaterali e iniziative pubbliche, in solidarietà con il popolo palestinese e per cercare di costruire un polo della sinistra anticapitalista nel nostro paese. Ospitammo anche una intervista con Lidia Menapace sulla nostra rivista di allora Lotta per la Pace e il Socialismo.
Poi arrivò la costituzione del Partito della Rifondazione Comunista e la quasi totalità delle organizzazioni della sinistra alternativa (Dp, Mpa ed altre) confluirono lì. Noi, allora eravamo il Movimento per la Pace e il Socialismo, facemmo una scelta diversa e accettammo la sfida di una ipotesi comunista indipendente. (Di questo si parlerà ampiamente nel secondo volume de “La Storia anomala” di prossima uscita).

Non ha avuto altre occasioni di confronto diretto con Lidia Menapace, che ricordo come compagna e persona squisita, colta e indipendente.

Ammetto però nel 2006 di non aver gradito due sue scelte. La prima è quella di aver accettato di candidarsi alle elezioni politiche del 2006 nel Prc dopo che la candidatura per il Senato (nel collegio dell’Abruzzo se non vado errato) era stata bruscamente revocata (su pressione dei vertici dell’Ulivo) al compagno Marco Ferrando, allora dirigente di minoranza del Prc, che era stato liquidato su due piedi per le sue posizioni contro la guerra in Iraq e Afghanistan che “imbarazzavano” gli alleati della coalizione di centro-sinistra che si apprestava ad andare al voto.
La seconda scelta, conseguente alla prima, fu nei momenti più duri dello scontro tra una parte del movimento contro la guerra (tra cui noi della RdC, i Cobas ed altri) e i gruppi parlamentari del Prc e del Pdci che sostenevano il governo Prodi nella sua linea di prosecuzione degli impegni militari dell’Italia nelle guerre e nelle missioni militari all’estero.
In quella occasione Lidia ebbe parole severe e ingiustificate contro i compagni che chiedevano il ritiro dell’Italia dai fronti di guerra in Afghanistan e Iraq e lo stop alla nuova base militare Usa a Vicenza (il famoso Dal Molin). In particolare Lidia Menapace se la prese con Piero Bernocchi ma un po’ con tutti quelli – e noi tra questi – che avevano manifestato sotto Montecitorio chiedendo un cambio di rotta sulla guerra e le basi militari Usa/Nato in Italia. Ma il governo Prodi doveva essere sostenuto “altrimenti torna Berlusconi!!”
E dire che nel 2006-2008 c’erano a disposizione circa sessanta parlamentari alla Camera e al Senato che avrebbero potuto far ballare il governo Prodi su questa materia strappando qualche risultato significativo. Ma così non fu. Bisognerà attendere il voto contrario dei soli Turigliatto e Rossi al Senato sulle missioni militari che mandò sotto il governo. Ma il governo Prodi non cadde sulla guerra, tema sul quale la sinistra parlamentare avrebbe potuto rivendicare meriti importanti, ma cadde qualche mese dopo sui guai giudiziari della moglie di Mastella, un tema e una modalità non certo onorevole.

Rimane questo uno dei motivi per cui la sinistra parlamentare (Prc-PdcI) nel 2008 è uscita dal Parlamento e non vi è più rientrata.

Il sottoscritto è un compagno ormai dai capelli ingrigiti, e riesco a comprendere, a sdrammatizzare ed a storicizzare anche i momenti peggiori nelle relazioni tra compagni nelle fasi difficili, quelle più rognose e divisive. Purtroppo e per fortuna dimentico poco.
Ragione per cui ritengo Lidia Menapace una meravigliosa compagna e una donna straordinaria, con la quale, qualche volta avuto anche occasione di scontrarmi.

Ma anche questo è parte della nostra vita politica e della nostra storia.

Le compagne e i compagni, per quanto ci siano stati dissapori e divergenze, non possono che avere sempre e comunque un posto speciale nel nostro cuore e nella nostra memoria.
Ciao compagna Lidia Menapace, con te la terra sarà sicuramente lieve
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