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[CALABRIA] 7 proposte per la sanità calabrese ai tempi della pandemia

L’emergenza Coronavirus sta cambiando le vite della popolazione italiana, la visione sul sistema sanitario nazionale, l’attenzione alle priorità della gestione pubblica di un paese.

Apparentemente però non in Calabria, dove neanche la pandemia riesce a scalfire la “normalità” della sanità calabrese: l’incapacità della gestione, l’arroganza di chi comanda e la miopia di chi non intende cambiare rotta e restituire ai calabresi la possibilità di determinare le proprie vite e la propria salute.

Come Potere al Popolo Reggio Calabria, sin dall’inizio due anni fa, abbiamo approfondito il tema della sanità: il gruppo di lavoro dedicato si è formato, ha fatto rete, ha avanzato proposte continue, ha lottato davanti alle strutture di tutta la provincia e dentro le assemblee pubbliche e i consigli istituzionali, a favore del potenziamento della sanità pubblica e del diritto alla salute per tutte e tutti, i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici della sanità.

Finora abbiamo condiviso con tutta la popolazione calabrese le misure attese sulla gestione sanitaria di questa situazione: che perlomeno l’emergenza pandemica e il tempo preziosissimo concesso alla Calabria rispetto alle regioni del nord, nella diffusione del contagio, attivassero meccanismi di ribaltamento di quelle logiche che hanno portato la sanità calabrese al collasso.
Invece, prevedibilmente, non ci si può attendere da una caffettiera il rombo di una Ducati.

Abbiamo il dovere, prima di parlare dell’oggi, di richiamare alla memoria di tutte e tutti un dato di fatto: esattamente dieci anni fa (il 2 aprile 2010) l’allora presidente della Regione Giuseppe Scopelliti chiedeva il commissariamento della sanità calabrese, d’accordo con Berlusconi e Sacconi, con il conseguente piano di rientro, e subito si autonominava primo commissario ad acta. Il resto è storia: iniziò la chiusura sistematica di interi ospedali, nonostante le proteste e le opposizioni di decine e decine di rappresentanti dei territori, si spartì la torta delle convenzioni con gli amici degli amici, facendo aumentare quel disavanzo che aveva “causato” il commissariamento e nessuno dei governi regionali o nazionali seguenti ha mai messo in discussione questo stato di cose, anzi hanno rinnovato commissari su commissari, mentre i cittadini calabresi sono stati derubati della benché minima possibilità di partecipare alle decisioni.

Anche per questo le dichiarazioni di pochi giorni fa della neo-governatrice Jole Santelli (storica berlusconiana di ferro), che ha alzato le mani richiamando a una “gestione dissennata” dei soldi pubblici con il commissariamento regionale, appaiono quanto mai ridicole.

L’anno scorso, poi, l’Asp 5, l’azienda provinciale reggina, fu sciolta per infiltrazioni ‘ndranghetiste e affidata a sua volta a tre commissari, che hanno aggiunto questo ad altri incarichi e che pare abbiano scelto in piena emergenza di #restareacasa, a casa propria però, lontano dall’Asp che dovrebbero dirigere.

Veniamo dunque ad oggi: mentre l’evidenza dei fatti dimostra quanto sia fondamentale avere come principale obiettivo stare un passo avanti alla diffusione del virus, tutte le misure calabresi tendono a rincorrerla, mantenendosi eventualmente anche dieci passi indietro.

Non siamo abituati alle critiche sterili, per cui esponiamo direttamente le nostre proposte per la fase di emergenza e per il dopo:

1) Piano di assunzioni a tempo indeterminato.
    È a dir poco vergognoso che in una regione in cui la pianta organica ordinaria (lo abbiamo denunciato per mesi!) è carente di ben 1000 medici e 4000 operatori sanitari, rispetto al fabbisogno, si pensi di fronteggiare una pandemia assumendo poche centinaia tra tutte le figure sanitarie necessarie e con contratti precari di 6 mesi! Questo dimostra come siano considerati davvero i nostri “eroi”: in realtà carne da macello da mandare al massacro (ad oggi sono 80 i morti per Covid in Italia, tra i sanitari), molto probabilmente senza neanche l’adeguata protezione dal contagio, e poi rigettare nella pattumiera della disoccupazione. Non chiamateli eroi, se poi li abbandonate!
È imprescindibile che il personale sia assunto a tempo indeterminato, attingendo anche dalle graduatorie e con gli specialisti ambulatoriali che già sono disponibili, sia per la fase di emergenza attuale (servono rianimatori, radiologi, tecnici di laboratorio ecc.), sia per la fase successiva. Serve essere lungimiranti!
In emergenza, lo stato attuale delle regioni con i numeri più allarmanti è di turni massacranti e di un altissimo rischio di contagio dello stesso personale in servizio: in caso di diffusione del contagio e aumento dell’affluenza presso le strutture, questa potrebbe essere la prospettiva anche in Calabria, perciò turni dimezzati e alto ricambio, insieme ai Dpi e tamponi, sono alla base della tutela di medici e operatori della nostra sanità dal rischio epidemico! Chi sostituirà coloro che vanno tutelati se non si assume personale?
Se già adesso le liste d’attesa infinite costringono le persone a emigrare in altre regioni per non morire, cosa succederà mai appena sarà passata la fase acuta dell’emergenza, in cui tutte le cure e le analisi programmate o non urgenti sono state posticipate a tempi migliori? Chi gestirà tutto questo e chi sostituirà i pensionamenti, se non si assume personale?!
Il Decreto del governo nazionale permette di rivedere il piano dei fabbisogni, rendendo fattibile pienamente il ricorso a contratti stabili e tutelati.

2) Prevenire con le cure domiciliari è meglio che curare in ospedale!
     Sembra un’affermazione scontata, eppure totalmente inapplicata. È perfettamente inutile la rincorsa all’ottenimento di milioni di posti letto in terapia intensiva, se non si fa nulla per prevenire l’acutizzazione della malattia nei soggetti positivi. Il monitoraggio mediante tamponi diffusi e le prime cure della popolazione calabrese e reggina, che sta dimostrando generalmente grande responsabilità e solidarietà collettiva restando a casa e rispettando le misure di contenimento del contagio, è un servizio fondamentale attuabile tramite i medici di base e gli specializzandi. Innanzitutto perché non tutte le persone che sono a casa hanno problemi legati al coronavirus: c’è chi ha altre patologie che richiedono quella piccola ma costante assistenza che permette di verificare che tutto vada bene e di evitare il ricorso a ricoveri improvvisi e difficili da gestire in questa fase. In seconda istanza, il controllo dei primissimi sintomi del contagio da Covid – come dimostra l’attività in altri territori – permette di tenere sotto controllo l’evoluzione della malattia, il suo trattamento, essere tempestivi in caso di aggravamento e anche verificare che la quarantena domiciliare sia adeguatamente portata avanti. Nessuno dev’essere lasciato solo!

3) Una testa decisionale e priorità alle strutture pubbliche.
     Grande è la confusione sotto il cielo, ma la situazione è tutt’altro che eccellente. Vediamo perché. La governatrice Santelli nei suoi decreti individua più strutture Covid, anche tra quelle cosiddette “spoke” (quelle decentrate), mentre a voce corregge il tiro per placare le proteste e dice che saranno solo negli “hub” (le strutture centrali, in sostanza le aziende ospedaliere); il Grande Ospedale Metropolitano appronta la torre Covid ma nel frattempo gli sfuggono “contagiati” tra il personale degli altri reparti; l’Asp reggina, gestita sporadicamente dai commissari come fosse una visita di cortesia, cerca di dimostrare la propria esistenza individuando completamente a caso tre suoi presidi nella provincia (Gioia Tauro, Melito P.S. e Locri) da destinare a pazienti Covid (tra l’altro non adeguatamente attrezzate) e dividendo la popolazione che malauguratamente avesse bisogno di assistenza non Covid tra un paio di strutture pubbliche, distanti anche centinaia di km, e le strutture private a cui destinare altri soldi in convenzioni di cui non si conosce bene la natura, la soluzione apparentemente più semplice ma in realtà più onerosa e con gravi rischi all’effettivo controllo di tutta l’emergenza.
Secondo noi è urgente, prima di tutto, accentrare tutte le gestioni in un unico tavolo decisionale, perché le varie aziende sanitarie e la Regione agiscano come fossero davvero una cosa sola, smettendo di perdere colpevolmente tempo e risorse in mille rivoli. È bene, poi, che il principio di azione sia: utilizzare tutte le strutture pubbliche in possesso e solo successivamente valutare il ricorso alle strutture private mediante ordinanze che non prevedano profitti per queste ultime e che pongano ciò che è necessario sotto il totale controllo della sanità pubblica.

4) Basta soldi alle strutture e ai fornitori privati!
     I grandi “prenditori” della sanità calabrese e italiana hanno costruito imperi con i soldi dei cittadini. Le analisi sul costo della sanità convenzionata, già da molti anni, hanno dimostrato che lo stato e le regioni, attivando le convenzioni con i privati, hanno speso il triplo di quanto avrebbero potuto; le conseguenze non sono positive e l’affidamento ai privati ha dimostrato, anche nelle regioni considerate ai vertici del modello sanitario da seguire, tutto il suo fallimento. Sono soldi nostri e siamo convinti che solo il mantenimento della sanità completamente nazionalizzata possa garantire un reale diritto alla salute. Ugualmente deve accadere per le produzioni legate alla sanità pubblica: la fabbricazione di macchinari, forniture e dispositivi di protezione deve essere in mano pubblica; il motivo lo vediamo in queste settimane nella confusione, nella difficoltà di reperimento e nella speculazione che ruotano attorno a ciò che è diventato essenziale per la vita di ognuno di noi. “La mano invisibile del mercato” si regola sulla base della convenienza per il profitto dell’imprenditore privato, che sia sulla manodopera, sui materiali e sulla distribuzione; la produzione pubblica si regola sulla base del fabbisogno e si adatta in base alle necessità del corretto funzionamento di servizi pubblici così importanti, garantendo lavoro e tutele per la popolazione e un notevole risparmio per l’amministrazione pubblica. Anche per questo pensiamo che tutti i servizi collegati a quelli pubblici (pulizie, mense, manutenzioni, costruzioni) debbano essere internalizzati: più qualità, più tutele e più trasparenza.

5) Quali strutture per i pazienti Covid?
    È a nostro avviso sbagliato pensare di lasciare, di fatto, solamente l’ospedale di Polistena come unico riferimento pubblico per i pazienti non Covid in tutta la provincia. La nostra proposta – nell’ottica di sinergia tra le varie aziende – è di considerare l’Hub del Grande Ospedale Metropolitano come struttura di riferimento Covid, restituire agli ospedali di Polistena e Locri reparti fondamentali (pensiamo a ostetricia, ortopedia ecc, chiusi di recente o a rischio chiusura, soprattutto per mancati investimenti sul personale) e mantenerne destinazione non-Covid, al più prevedendo nelle rispettive Terapie Intensive una quota minima di posti letto da destinare a pazienti Covid in eventuali casi di assoluta emergenza.
Di questi presidi vanno inoltre rafforzati i laboratori di analisi, insieme ai due reggini, per consentire un’adeguata copertura di tamponi e analisi del sangue su tutta la provincia.
Gioia Tauro e Melito P.S., invece, dotandoli di radiografi portatili oltre ai già esistenti impianti di gas medicali, potrebbero diventare (in affiancamento alle diffuse cure domiciliari) strutture per ospitare la sorveglianza attiva sui casi sospetti, in attesa di esito del tampone e per la degenza di persone positive ma non acute, per le quali la quarantena domiciliare sia difficilmente attuabile: conviventi con soggetti più vulnerabili, anziani in casa di riposo, persone senza fissa dimora o di passaggio. Queste strutture permetterebbero un trattamento corretto dei primi sintomi e il trasferimento tempestivo presso il GOM in caso di avvisaglie di aggravamento, costituendo un punto di riferimento ben organizzato per territori più distanti dall’hub principale. Bisogna infatti considerare la necessità di guardare al futuro: sarebbero importanti presidi di prevenzione e prima assistenza specialistica finché resterà il pericolo di contagio, al servizio della popolazione e di aiuto alla formazione del nuovo personale sanitario, se non ancora pronto ai reparti dei centri principali.
Vogliamo ricordare che sono stati assegnati, ma non ancora erogati, ben 86 milioni di euro alla Calabria per l’acquisto di attrezzature tecnologiche sanitarie e 23 milioni per l’emergenza Covid: vanno immediatamente sbloccati e utilizzati razionalmente per attuare anche questo piano. Inoltre chiediamo di sbloccare 1,5 milioni di euro che l’ASP reggina aveva destinato specificamente per le nuove strumentazioni di diagnostica come le TAC che, oltre ad essere indispensabili per la diagnosi del Covid-19, saranno poi necessarie per abbattere interminabili liste d’attesa.

6) Mezzi di trasporto.
     Chiunque conosca il territorio calabrese e la provincia reggina, sa bene cosa voglia dire spostarsi al suo interno: nessun tipo di organizzazione può essere attuata senza un’adeguata dotazione di mezzi di trasporto. Ambulanze, automediche ed elicotteri sono gli strumenti fondamentali per garantire l’assistenza adeguata e lo spostamento tra i presidi, nonché lo spostamento del personale per garantire le cure domiciliari. Ricordiamo infatti che in ospedali con utenza di decine di migliaia di persone, come quello di Melito P.S., è presente una sola ambulanza, mentre il resto dei mezzi indispensabili è di fatto esternalizzato.

7) Non dimenticare il territorio!
Vogliamo infine ricordare come sia urgente utilizzare i fondi già stanziati per l’edilizia sanitaria e  attivare al più presto le Case della Salute di Scilla e Siderno, per come già deliberato: rispettivamente 9 milioni e 8 milioni di euro sono già disponibili e vincolati a quelle due strutture; attendere ancora vorrebbe dire perderli e rendersi responsabili di un torto irreparabile alla collettività.

 

Crediamo che “andrà tutto bene” se impariamo a uscire da questa emergenza più uniti e più forti ma, soprattutto imparando dagli evidenti errori del passato, cambiando le condizioni materiali che hanno determinato la situazione attuale: fine dei commissariamenti e dei piani di rientro, corretta gestione economica, pianificazione, prevenzione, investimenti devono essere le parole chiave del presente e del futuro della sanità calabrese. Individuare i responsabili del disastro e far pagare loro tutto è una necessità vitale, per restituire dignità, giustizia e le risorse che sono state depredate. Ripristinare la centralizzazione del Sistema Sanitario Nazionale, revocando la competenza alle Regioni, per garantire la giusta ed equa ripartizione di risorse economiche, di personale e di servizi su tutto il territorio nazionale; ribaltare l’aziendalizzazione del sistema, uscendo dalla logica di “produttività” aziendale per restituire la logica di “servire” alla collettività.

Crediamo che ci siano tutte le possibilità, in questo periodo difficile, per rendere alla popolazione calabrese il servizio sanitario che merita, diventando un modello di cambiamento, di ricerca e di integrazione territoriale che getti le fondamenta di uno sviluppo basato non sullo sfruttamento dei territori ma sulla cooperazione e il benessere degli abitanti.

Si può fare e lotteremo ogni giorno perché quest’obiettivo sia raggiunto.
Non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema!

Potere al Popolo!

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