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Disuguaglianze nello sviluppo territoriale al Nord Italia: una chiave di lettura per combattere l’autonomia regionale

[Il primo estratto sintetico dei dati in elaborazione può essere consultato al link: https://drive.google.com/file/d/1r6XyGrite5R3N8LzyrojTjiMY3XG3sOa/view?usp=sharing]

Queste poche righe vogliono essere un’introduzione a quest’inizio di lavoro di inchiesta sulla condizione reale dei milioni di sfruttati del nord Italia. Il lavoro che abbiamo in mente è appena agli inizi, occorrerà una buona dose di dedizione e parecchio tempo per completarlo (e ci chiediamo, davvero un’inchiesta sullo stato di salute della società può avere una fine?), ma siamo certi che il movente di questo lavoro certosino, il perché risulta necessario e strutturale nella nostra azione politica, sia già scritto nel nostro DNA.

Nel documento di convocazione dell’Assemblea Nazionale di Potere al Popolo! del prossimo 23 giugno a Roma abbiamo scritto che “l’autonomia differenziata creerà un Sud sempre più periferico e desertificato e un Nord dove solo i ricchi vivono bene” e che “nel frattempo l’economia è ferma, il ricatto lavorativo enorme, non c’è nessuna risposta su temi sociali come la scuola, la casa, la sanità…”. E nella cornice dell’importante momento di confronto rappresentato dalla Grande Festa dell’Emilia Romagna non possiamo che partire da qui quando ragioniamo degli effetti che l’autonomia differenziata potrà avere anche alle nostre latitudini settentrionali: dobbiamo capire in che contesto essa si inscrive, confermandoci di essere la conclamazione di tendenze in corso da moltissimo tempo e di cui (certamente) non giovano le fasce popolari né del Sud né del Nord.

Per poterci permettere di fare inferenza sulla situazione di “domani”, abbiamo pensato che potesse essere utile per tutti i compagni di Potere al Popolo iniziare ad avere sotto mano una prima traccia di numeri e dati che ci permettano di fotografare il presente e la dinamica occorsa nell’ultimo decennio abbondante -gli anni a cavallo tra una stagnazione di partenza, la crisi del 2008, e l’attuale arrancamento dell’economia dell’intero paese, rallentato dai problemi che sta affrontando anche la locomotiva tedesca.

L’intento con cui proviamo a tratteggiare questo quadro complessivo è quindi quello di arricchire il bagaglio di strumenti a disposizione di ogni militante di PaP nella durezza di uno scontro politico in cui le impressioni, le opinioni e le fake news sono il pane quotidiano di chi pensa che i subalterni abbiano l’anello al naso: crediamo che la strada obbligata per sconfiggere il chiacchiericcio del circo della politica ufficiale sia quella di conoscere l’oggettività dei fatti e partire sempre da essi per mettere a verifica la validità delle nostre posizioni e scardinare le menzogne della controparte. Un approccio forse scontato, ma che purtroppo è sempre più estraneo al simulacro di quella sinistra presa ogni giorno a rincorrere le provocazioni di questo o di quel ministro, immersa nelle proprie auto-narrazioni da social e da riviste patinate. Noi consideriamo invece più utile fare un bagno di realtà. Dati, noiosi sicuramente, ma che questa realtà la rappresentano maglio di ogni speculazione.

Proviamo a mettere sul piatto alcuni elementi, concentrandoci sulla specificità della situazione settentrionale spesso descritta con uno sguardo assolutamente falsato. Circolano in questi giorni i dati Eurostat aggiornati al 2017 e secondo cui alcune regioni dell’Italia settentrionale sono al top della crescita europea. Dal 2000 a oggi l’Italia è cresciuta del 2,2%, a fronte del 22% della zona Euro e del 27% di quello comunitario. A proposito della brutalità dei dati…

Pensiamo che vedere questo dato senza raccontare la serie storica è assolutamente deviante: se infatti è vero che alcune regioni “tengono botta” con un Pil superiore a quello dell’UE a 28, è anche vero che il loro scarto dal valore medio è sceso in picchiata negli ultimi dieci anni. La Lombardia, per citare un solo caso, nel 2000 aveva un PIL per abitante pari a poco meno del 160% della media europea; in diciassette anni ci si è allontanata di quasi trenta punti percentuali. Se è vero che le dimensioni permettono ancora un paragone con le regioni più benestanti del continente, va evidenziato che la produzione di valore aggiunto e la composizione del reddito medio ci parlano di un fenomeno in corso in tutti i paesi che non rientrano nel nucleo mitteleuropeo: c’è una concentrazione di ricchezze in poche aree immerse in territori sempre più impoveriti. Il triangolo di Milano, Monza e Bergamo guida il paese in termini di ricchezza, seguito a ruota dalla provincia di Bologna che scala le classifiche di anno in anno: il capoluogo emiliano, dove si tiene l’importante confronto di questi giorni tra tutte le assemblee di PaP della regione, tende sempre più a guardare al modello milanese come la strada da seguire per restare agganciato al magnete franco-tedesco, proiettandosi nella competizione tra quelle che vengono definite le “metropoli globali” su scala quantomeno continentale. Il guado è stretto: nel settore manifatturiero italiano ci sono oggi centinaia di migliaia di imprese in meno e centinaia di migliaia di lavoratori lasciati fuori, e pochi “campioni” industriali si giocano la partita nel ricavarsi il ruolo di contoterzisti per la Germania all’epoca dell’industria 4.0 e della disoccupazione che si porta con sè. Non è questo un dettaglio da poco: se è vero che tra tutte le regioni dello stivale solo Lombardia, Emilia Romagna e Veneto vedono un tasso di disoccupazione inferiore alla media europea, va però riscontrato che questa fortunata situazione cade miserabilmente quando focalizziamo l’attenzione sulle forza lavoro giovanile, e se osserviamo che la componente di lungo periodo (quindi strutturale) dei disoccupati è ovunque superiore alla media dell’UE. E queste non sono ipotesi, sono sempre i dati che ci fornisce l’avversario.

Le conseguenze sulla morfologia del territorio urbano del Nord Italia sono proporzionali all’impatto epocale di queste direttive di sviluppo ineguale: dove si concentrano le ricchezze si formano agglomerati metropolitani sempre più popolosi, con grosse fette di popolazione attive nei servizi, con redditi sempre più bassi, affollati in periferie sempre più grandi su cui si fiondano gli interessi voraci di aziende alla ricerca di profitto su grandi numeri. Questo profitto, ce lo siamo detti molte volte, è possibile grazie alle privatizzazioni che hanno messo a mercato le vite di milioni di lavoratori. Sono infatti questi gli anni in cui le principali province settentrionali stanno conoscendo un importante aumento del prezzo per l’alloggio, per il trasporto, per la fornitura di utenze come luce e gas, per visite ambulatoriali e assistenza sociale, ovvero le principali fonti di spesa di una famiglia in città. Il sistema pubblico è stato abbattuto, e il mercato si presenta come alternativa credibile: proprio in questi giorni i dati pubblicati in merito ai miliardi tagliati al Sistema Sanitario Nazionale stanno fornendo alle compagnie di assicurazione l’occasione sfacciata di proporre finalmente il pieno riconoscimento normativo del sistema integrato come formalizzazione di una situazione di fatto già concreta da tempo, con i cittadini poveri affollati in liste di attesa infinite e quelli più benestanti rivolti direttamente al sistema privato. Il ruolo della triade sindacale in questa partita è noto alle cronache.

Su questo crinale si è modellato negli scorsi anni l’istituto delle città metropolitane, istituite per consentire una più efficiente realizzazione degli interessi dei grandi attori economici del territorio intenzionati ad arraffarsi le ricchezze concentrate in poche decine di chilometri quadrati. Sulla base dello stesso principio, oggi la classe dirigente del Nord si prepara all’affondo finale: proporre la realizzazione dell’autonomia differenziata, che consenta – pur con la differente retorica e il diverso approccio delle forze politiche maggiormente rappresentative di una o dell’altra regione – il sostanziale sganciamento da vincoli nazionali oggi troppo stretti e politicamente troppo deboli per impedire ancora a lungo la libertà di movimento e di organizzazione ai grandi capitali concentrati tra le Alpi e la Pianura Padana.

Le conseguenze di questo scenario sulle sensibilità politiche di quelle che una volta avremmo definito le masse non sono di poco conto. Un dato su tutti è interessante: i dati ci dicono che al Nord la distinzione tra il successo elettorale del PD e quello della Lega non è correlata con la minore o maggiore presenza di immigrati sul territorio (cosa tutt’al più riscontrabile maggiormente al Sud), ma piuttosto il PD si è attestato come l’espressione dei ceti urbani e istruiti mentre la Lega si offre come buon rappresentante del territorio più diffuso e quindi anche delle province più disagiate. Il tutto, lo vogliamo dire con forza, in un paese in cui i sondaggi (per quel che possono valere) non hanno rilevato un aumento della percezione della “questione migrante” negli ultimi anni.

Cosa dice a noi questa fotografia?

Quali sono per Potere al Popolo le implicazioni insite nel riscontrare una disuguaglianza strutturale tra territori e persone in quel Nord Italia la cui rappresentazione mainstream non descrive le profonde fratture che si stanno sviluppano al suo interno?

Che situazione ci pone dinnanzi agli occhi e che scelte ci impone sul cammino?

Certamente non possiamo evadere questi interrogativi.

Vogliamo trovare collettivamente le risposte per essere utili alla nostra gente, fornendole la possibilità di esprimere e rivendicare i propri bisogni, anche lungo un orizzonte concreto di rottura con le compatibilità capitalistiche organizzate dai trattati e dai centri di comando dell’Unione Europea: un orizzonte di giustizia sociale e ambientale, di redistribuzione della ricchezza, di servizi pubblici, accessibili e garantiti, di diritti per tutte e tutti.

Non abbiamo molti alleati in questa sfida, se non coloro che hanno deciso di iniziare a organizzare un’alternativa di sistema complessiva. Le forze della sinistra subalterna hanno dimostrato di aver segnato il passo e la loro ipotesi è oggi senza miccia – anche questi ci paiono dati, che però non si trovano qui in allegato. Tocca a noi scrivere un futuro diverso in connessione diretta con le forze sociali che non possono trovare spazio in questo contesto asfissiante: una vera e propria sfida che stiamo affrontando con il grande lavoro politico e sociale che viene portato avanti in tanti territori, nelle Case del Popolo fiorite in questi mesi. Di questo lavoro l’inchiesta è parte fondamentale: speriamo quindi con questo lavoro di raccolta di dati di fornire un piccolo strumento che possa essere utile a tutta la comunità di Potere al Popolo!

I coordinatori nazionali per l’Emilia-Romagna
Chiara Pollio
Lorenzo Trapani
Carolina Zorzella
Stefano Carosino

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