Il 23 marzo dobbiamo essere a Roma per la marcia per il clima e contro le grandi opere inutili. Ma non dobbiamo andare solo perché sosteniamo questa lotta e lo facciamo – penso al movimento no TAV – da almeno 20 anni. Dobbiamo andare anche per almeno altri due motivi. Il primo è che questa marcia e la protesta contro la distruzione ambientale in generale è in realtà una lotta contro un sistema economico e sociale ben preciso, quello capitalistico. Per questo alle rivendicazioni strettamente legate ai territori e all’ambiente (ad esempio, riduzione delle emissioni per fermare il riscaldamento globale a 1.5°C entro dodici anni; stop al consumo indiscriminato di suolo ed all’urbanizzazione selvaggia e guidata solo da interessi di speculazione; e molte altre) si aggiungono inevitabilmente rivendicazioni di tipo socio-economico, perché non devono essere i più poveri e i più deboli, già privati del diritto alla salute, a pagare le conseguenze e a dover rimediare alla politica di sfruttamento finora portata avanti nei confronti dell’ambiente. Le soluzioni, cioè, al problema ambientale, non possono essere inserite all’interno dello stesso sistema che le ha create. Le emissioni non possono diventare una moneta di scambio, e non si può creare un’industria che le catturi e conservi, ma vanno ridotte in origine, e così via. Il, chiamiamolo così, “pretesto” della lotta contro la distruzione ambientale per lottare anche contro il sistema capitalistico, sta venendo usato in tutto il mondo. E questo è il secondo importante motivo per cui dobbiamo andare il 23 marzo a Roma. Cioè che questa protesta è diventata l’occasione finalmente per unire tutte le lotte a livello mondiale, per dare alle riflessioni, alle parole d’ordine, agli strumenti di lotta delle realtà che difendono i mille territori sotto attacco un respiro comune, a livello nazionale come nel mondo. Come possono unirsi le lotte? Ve lo mostro. C’è una città in cui il numero di casi di tumori è salito a 349 nell’ultimo anno per l’inquinamento legato alle attività del porto. Quella città è Genova? Non solo, è anche Civitavecchia. C’è una strage compiuta dallo stato in cui sono morte 30 persone perché è mancato un controllo, o forse per una svista da parte di qualcuno. Quella città è Genova? Non solo, è anche Viareggio. Le lotte possono unirsi. Il 3 Marzo a Napoli si sono riuniti per la prima volta tutti i comitati, i movimenti e le associazioni impegnati per l’ambiente e contro il biocidio sui territori. Per il nord una riunione simile è avvenuta a Venezia il 23 febbraio. E con lo stesso spirito siamo qui stasera. Ma questo non succede solo a livello nazionale. Come Potere al Popolo abbiamo tradotto i dieci punti sull’ambiente scritti dal Partito del lavoro belga, in cui si parla di “rivoluzione climatica” come quell’insieme di punti da mettere in atto per risolvere la crisi e cambiare sistema. Quindi energia e trasporti pubblici, ma anche informazione delle masse perché tutti siano in grado di gestire e capire la crisi, in modo democratico. Allo stesso modo le 42 rivendicazioni dei Gilet gialli pubblicate a dicembre contengono note ecologiche ben precise, cioè isolamento termico delle abitazioni, nazionalizzazione delle risorse energetiche, stop alla costruzione di grandi aree commerciali. E non è un caso che quello che è il movimento sociale più longevo finora visto in Europa sia nato proprio in opposizione a una delle soluzioni che il capitalismo finge di offrire alla crisi ambientale, cioè l’aumento della tassa sul diesel per incentivare l’acquisto delle auto elettriche. Che significa tassare i più deboli per favorire le industrie dell’auto e fornire comunque una finta soluzione, cioè quella dell’auto elettrica che ad oggi non è comunque una scelta sostenibile. Negli Sati Uniti, dove finora il negazionismo verso il cambiamento climatico l’ha fatta da padrone, è stato pubblicato il Green new deal, sostenuto, almeno per ora, dal partito democratico statunitense. E anche qui il passaggio a fonti di energia rinnovabili e l’ammodernamento delle infrastrutture pubbliche è il modo per creare nuovi posti di lavoro e coinvolgere tutti e tutte (anche gli stranieri, le donne, le classi popolari) in un nuovo sistema economico. Quindi il punto non è solo la distruzione ambientale, perché quello a cui andiamo incontro poi forse è la distruzione della specie umana, non tanto della vita in generale o del pianeta. Il punto è sfruttare questa occasione per cambiare finalmente sistema e modo di vita, per realizzare finalmente tutti i punti sviluppati negli ultimi anni dalle nostre lotte, le riflessioni, le analisi, imparando dagli errori. Ci vediamo a Roma! (e prima, il 15 marzo, in piazza)
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