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Una sfida che parte da Sutera

Pomeriggio di sabato a una settimana dal voto. Fa un freddo micidiale nella piazzetta panoramica di Sutera, paesino dell’entroterra siciliano a 40 km da Caltanissetta. I compagni e le compagne di Potere al Popolo si preparano agli ultimi sforzi, un comizio, mentre il vento sferza sempre più gelido e poi volantinaggi porta a porta : «Da tempo ormai siamo noi di sinistra che facciamo campagna elettorale – mi racconta Pietro – gli altri ignorano i problemi del paese, no ci viviamo dentro».

Arroccato sul monte S. Paolino – sulla cui cima è sepolto uno dei combattenti della Disfida di Barletta, Francesco Salomone, il paese è considerato uno dei borghi d’Italia, con i suoi vicoli, le casette che portano i segni del tempo, il suo Presepe vivente che lo rendono attrazione turistica mondiale nonostante la difficoltà nei collegamenti. 1400 gli abitanti censiti, meno nella realtà perché in molte/i hanno trovato lavoro e abitazione a Palermo o a Catania mentre tanti altri sono emigrati nel resto d’Europa, tanto che d’estate si sentono i ragazzi parlare in inglese, francese o tedesco.

Ma Sutera, da alcuni anni è divenuta, nel quasi totale e per certi versi fortuito, silenzio mediatico, il simbolo di una accoglienza diffusa capace di cambiare autoctoni e ospiti. Riprendendo il sistema Sprar, una Onlus seria (I Girasoli) ha proposto all’amministrazione comunale eletta 5 anni fa, di far giungere a Sutera piccoli nuclei familiari, richiedenti asilo inseriti nei progetti. All’inizio c’è stata titubanza, i proprietari delle case del vecchio quartiere arabo, “Rabato” hanno accettato con piacere che qualcuno provvedesse a ristrutturare gli immobili e a corrispondere un affitto, parliamo di case che stavano cadendo a pezzi. Oggi in quelle case vivono 35 persone, 15 sono bambini, alcuni nati a Sutera altri già iscritti nel circuito scolastico.

Nella prima settimana d’agosto, ogni anno si tengono ormai le “giornate dell’accoglienza” a cui partecipa tutto il paese. I bambini si sono rivelati come la chiave di volta. In una popolazione molto anziana, il bimbo da custodire, giusto per il tempo necessario ai genitori per sbrigare le faccende domestiche, è divenuto rapidamente il nipotino o la nipotina da sempre sognati e mai arrivati. Gli anziani si sono ritrovati a ricoprire una funzione sociale vitale e poco conta la provenienza o il colore della pelle. E a seguire sono nate le amicizie fra donne, fra gli uomini, gli ospiti – temporanei perché un progetto Sprar non può proseguire all’infinito – sono divenuti vicini di casa con cui parlare di sport e di cucina, con cui condividere gioie e dolori. Quando appare un fiocco su una delle porte degli appartamenti, segno di nuova nascita, a voler festeggiare è l’intero paese. Una parte dei ragazzi che tiene in piedi lo Sprar ha trovato in questa maniera lavoro e non è dovuta migrare.

Molti possono continuare a studiare portando a casa qualche centinaio di euro, ma l’impegno che ci mettono, il coinvolgimento emotivo con cui costruiscono relazioni contribuendo a far superare le storie orrende di sofferenza e di separazione da cui provengono molti rifugiati, ha qualcosa di profondo, che cambia il pensiero comune diffuso. Viene da pensare che in posti come questi, dove un anziano ti dice che “gli stranieri sono pochi” i messaggi di Salvini e dei suoi imitatori di destra e sedicenti di centro sinistra non possano trovare spazio. E c’è da essere orgogliosi nel sapere che alcuni di questi ragazzi che operano nello Sprar, ci stiano sostenendo come possono, partecipando a comizi in una piazza fredda e andando a convincere casa per casa gli indecisi, dicendo che noi siamo la sola alternativa. Ci saranno elezioni comunali a Sutera a fine maggio. Molto è ancora da decidere ma questi compagni di strada hanno già deciso da che parte stare, si schierano sapendo bene che una amministrazione di segno meno coraggiosa potrebbe bruciare gli sforzi di anni. Ma ci stanno e si espongono, come ha fatto per primo Domenico Lucano a Riace, come viene fatto in molte località in cui si vanno costruendo legami sociali che vanno oltre le elezioni. A cena, dopo l’incontro con i candidati, mi raccontava una delle operatrici che finito il tempo del progetto le famiglie se ne vanno ma con qualche strumento in più: linguistico, lavorativo, o di semplice interazione acquisita con gli altri, con minore diffidenza. E mi diceva: «Ieri mattina mi ha telefonato una famiglia intera di cui non avevamo notizie da tempo.

Mi hanno voluta salutare tutti, padre, madre e due bambini. Hanno difficoltà e mi hanno parlato di nostalgia per le nostre feste. Ma ce la faranno e prima o poi torneranno a trovarci».

Stefano Galieni

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