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Un mese fa il primo tentativo di sfratto a Torino: avvisaglie di una crisi che non si vuole evitare

Il nuovo anno a Torino è stato inaugurato dal tentativo di un palazzinaro torinese di sfrattare una giovane ragazza disoccupata: nella mattinata del 4 di gennaio, un picchetto organizzato dal sindacato «Asia Usb» e dai militanti di «Noi Restiamo», a cui abbiamo prontamente dato supporto e presenza come Potere al popolo, è riuscito però ad impedire l’accesso dell’ufficiale giudiziario incaricato di notificare l’obbligo di abbandonare l’appartamento, ottenendo una proroga di alcune settimane, ma ancora senza alcuna garanzia per una reale soluzione alternativa.

Nonostante il blocco degli sfratti, fino a Giugno 2021, stabilito dal decreto Milleproroghe, a pagare il prezzo salatissimo della crisi economica scaturita dalla pandemia è stata Totta, studentessa universitaria e lavoratrice precaria, che si è trovata impossibilitata a pagare il canone di affitto, a causa della perdita del lavoro causata dal lockdown. La vicenda di Totta evidenzia una falla enorme nel decreto Milleproroghe, in quanto dal blocco degli sfratti sono esclusi quelli per finita locazione. Una falla che espone pericolosamente un’enorme fascia di popolazione costituita da studenti e lavoratori fuorisede, tra i quali la tipologia del contratto transitorio di un anno è la più diffusa, dato che permette ai proprietari di pagare meno imposte.

Lo sfratto di Totta ha inoltre evidenziato l’aggravarsi della condizione abitativa, per le classi sociali più svantaggiate, che in questo caso non è stato preso in carico né dalla giunta comunale, né tanto meno dall’ente regionale per il diritto allo studio (Edisu). Oltre al mancato taglio delle tasse universitarie, infatti, è mancato un piano di ampliamento dell’offerta di posti all’interno delle residenze universitarie e misure da parte dell’amministrazione cittadina. EDISU, che dovrebbe farsi carico di queste necessità, ha mostrato carenze strutturali nella gestione della crisi abitativa, in quanto, ad oggi, il numero degli studenti idonei ma non beneficiari di posti nelle residenze ammonta a 3.500.

Gli effetti disastrosi della crisi pandemica, nel panorama torinese, vanno ad aggravare un contesto abitativo già emergenziale da più di un decennio, cristallizzando la crisi in una dimensione strutturale.

In particolare, i dati del Rapporto sull’Edilizia residenziale pubblica a Torino, stilato nel 2020, riguardanti gli sfratti relativi unicamente al 2018, indicano la cifra di 2.264, ovvero l’8% in più rispetto a quelli dell’anno prima, mentre le domande per l’assegnazione di un alloggio popolare ancora insoddisfatte oltrepassano da anni le 10mila unità. Da questi dati traspare la dimensione progressiva e strutturale di crisi propria della questione abitativa torinese, la quale non può essere affrontata solo attraverso una misura doverosa ma insufficiente come il blocco degli sfratti, la quale, infatti, ha l’utilità – con delle enormi falle, come ha dimostrato il caso di Totta – solamente di congelare e rinviare la crisi. Una soluzione a breve termine che dovrà fare i conti con il progressivo inasprimento dell’emergenza abitativa a Torino ai tempi del Covid, rappresentato dal dato sulle morosità che ha ormai toccato il 31% nelle case popolari.

La lunga onda degli effetti disastrosi della crisi del 2008 ha determinato una precarietà abitativa che si è progressivamente inasprita, fino a fare di Torino ad oggi la terza città per numero di sfratti in Italia, passando per il triste primato nazionale del 2016, anno in cui venne raggiunta la soglia dei 3500 sfratti.

Lo stato di precarietà abitativa in cui versano le classi popolari è dovuto al progressivo abbandono dell’intervento statale, in favore di una progressiva liberalizzazione del costo degli affitti, inaugurata nel 1992 dal governo Amato, con la demolizione della legge “sull’equo canone” e l’introduzione dei contratti a canone convenzionato e proseguita con tutti i governi successivi. Tale liberalizzazione ha comportato esclusivamente un aumento dei canoni, fino ad arrivare all’esplosione della crisi abitativa in una città colpita duramente dalla crisi del 2008 e segnata dalla mancata transizione post-industriale come Torino, caratterizzata da un indice molto basso di case di proprietà e con un’alta percentuale di abitazioni in affitto.

Alla luce della dimensione strutturale che ha da tempo assunto l’emergenza abitativa cittadina, appaiono largamente insufficienti gli strumenti adottati dall’amministrazione comunale in merito. I 9 milioni di euro in arrivo dal Fondo Nazionale di Sostegno alla Locazione, i quali si andranno ad aggiungere ai 4 milioni e 150 mila euro stanziati dall’amministrazione comunale, saranno sufficienti a soddisfare, secondo le previsioni del comune, circa il 58% delle domande di supporto arrivate alla città nel solo 2020, a fronte di un accumulo di migliaia di domande rimaste insoddisfatte negli ultimi 10 anni.

In questo contesto drammatico, le amministrazioni cittadina e regionale non fanno altro che puntare il dito contro le occupazioni abusive, contro le quali è stato recentemente firmato un protocollo d’intesa con Prefettura, Città e Regione, e incentivare la guerra tra poveri, attraverso la recente proposta dell’assessore regionale Caucino (lega), che al grido di “prima i piemontesi!”, porterebbe all’introduzione di una nuova norma sulle case popolari del Piemonte, garantendo ai piemontesi una corsia preferenziale per accedere all’alloggio popolare.

Alle classi popolari torinesi non serve una guerra tra poveri, ma politiche abitative strutturali che aumentino l’offerta di edilizia popolare, a fronte di un inasprirsi della crisi economica. Ovvero un netto cambio di direzione rispetto alle politiche neoliberiste che hanno contraddistinto negli ultimi decenni le diverse amministrazioni comunali, senza soluzione di continuità. La direzione intrapresa nell’ambito della pianificazione dello sviluppo economico cittadino dalle giunte di centrosinistra prima, e pentastellate dopo, hanno infatti portato, nell’attuazione dei diversi piani strategici, ad una progressiva turistificazione e gentrificazione dei quartieri centrali. Il tentativo claudicante di riconversione della città in eccellenza del terzo settore, è passata e passa ancora dall’aspirazione a creare un polo universitario d’elite, in grado di attirare capitale esterno. Ne sono testimoni i numerosi progetti volti alla costruzione di studentati di lusso nei quartieri periferici, tra cui spicca il progetto riguardante la costruzione di The Student Hotel (società olandese finanziata dalla holding Aermont e dal fondo pensionistico Apg , con 25 studentati-hotel quattro stelle in Europa) in Aurora. In tale studentato di lusso, il prezzo del canone di una camera doppia è stimato intorno ai 450 euro, ovvero molto di più del prezzo della camera singola di Totta.

Tale progetto, insieme ad altri investimenti privati in ambito abitativo nei quartieri popolari, rappresenta uno dei simboli della gentrificazione, nonché una delle cause della crisi abitativa, in una direzione politica che progressivamente erode spazio vitale per le classi sociali più deboli.

Il caso di Totta è solo l’esempio calzante della crisi reale che vivono le classi popolari all’interno del nostro contesto cittadino e che lo sblocco di licenziamenti e degli sfratti nei prossimi mesi non faranno che far precipitare, evidenziando tutte le storture del modello di città su cui hanno puntato le amministrazioni di centrosinistra prima e cinquestelle poi. Per questa ragione sosteniamo la sua lotta insieme ad Asia Usb, perché non è accettabile che a fronte di 60mila alloggi privati vuoti, le persone continuino a finire per strada.

Rivendichiamo con forza la necessità di un cambio radicale delle priorità che le amministrazioni di centro sinistra e cinquestelle hanno perseguito negli ultimi decenni. Bisogna rompere con un modello di città volto solamente ai bisogni di grandi capitali privati e praticarne uno nuovo, che guardi alle reali esigenze delle periferie e dei lavoratori.

Torino ha bisogno di una direzione completamente diversa, che non svenda i propri spazi urbani alla speculazione e alla rendita di grandi capitali ma metta invece al centro le esigenze e le priorità di chi davvero vive e lavora in questa città.

Dobbiamo invertire le priorità!

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