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Torino e “Tonite”: il paradigma di un comune al servizio della speculazione

Si è tenuta pochi giorni fa l’inaugurazione del progetto ToNite, vincitore dei fondi stanziati dall’Unione Europea per le “Azioni di Innovazione Urbana”. Si tratta di 4 milioni di euro a fondo perduto per sviluppare iniziative che promettono di rendere “fruibile” la vita notturna in quelle parti del quartiere Aurora che si affacciano sulla Dora.

Ciò che salta immediatamente agli occhi, una volta spenti i “giochi di luce” che hanno salutato l’inaugurazione, è la scelta del luogo, tutt’altro che casuale.
Da anni infatti Aurora, e in particolare la sua parte meridionale direttamente adiacente al centro, è al centro di un’intensa attività di speculazione edilizia e di espulsione delle classi popolari, portata avanti da multinazionali, fondi speculativi immobiliari, istituti di credito e fondazioni bancarie, con la complicità attiva di comune e questura, che ne gestiscono l’immancabile componente repressiva. Gli anni della giunta Appendino si sono infatti caratterizzati (come la sindaca stessa ha più volte rivendicato), in continuità con le giunte precedenti, per gli sgomberi di spazi sociali e occupazioni abitative, molti dei quali concentrati proprio in quest’area, che vive fortissime contraddizioni date dall’essere una zona di “frontiera” tra centro e periferia.

Dunque anche il progetto ToNite si inserisce precisamente in questo solco: l’utilizzo del lessico della sicurezza, seppure in salsa “soft” e co-gestita dagli abitanti, serve a diffondere anche in quest’area, che molti aspirano a far entrare nel “fortino” del centro città, l’idea che ci siano elementi “di disturbo” che vanno allontanati ad ogni costo, senza preoccuparsi minimamente delle cause che stanno alla base della microcriminalità come la mancanza di prospettive occupazionali o, appunto, l’emergenza abitativa. In questo senso è particolarmente inquietante l’accostamento della retorica della sicurezza a quella delle tecnologie informatiche, che qua e là traspare nei documenti del progetto, lasciando presagire una spinta all’uso di tecnologie avanzate proprio a scopo repressivo.

Lo scopo dunque è perfettamente in linea con quello di trasformare questo quartiere in una zona “smart” e “giovane”, ovviamente solo per chi può permetterselo, e molte recenti operazioni sono state lanciate proprio a questo scopo: basti pensare alla prossima costruzione di uno studentato privato a Ponte Mosca, ovviamente di proprietà di una multinazionale del settore, o al progetto di trasformare, nell’ambito delle Universiadi 2025, anche il Maria Adelaide in alloggi per studenti facoltosi invece di restituire alla collettività un servizio sanitario di prossimità fondamentale.

Nel frattempo, mentre porta altra acqua al progetto di gentrificazione del quartiere Aurora e agli interessi finanziari che lo sostengono, l’amministrazione 5 Stelle non perde l’occasione per rifarsi la faccia in vista delle prossime elezioni, intestandosi i “4 milioni per la riqualificazione”, che ovviamente non vengono dal disastrato bilancio comunale, ma tant’è: anche giocolare sui numeri va bene pur di cercare di salvare la retorica dell’amministrazione “attenta alle periferie”. Quello che a Palazzo Civico sembrano ignorare però è che quella retorica è già crollata da un pezzo di fronte ai fatti: dopo cinque anni in cui le periferie sono state, se possibile, ancora più abbandonate a loro stesse, con il progressivo taglio di tutti i servizi di prossimità, dalla sanità al trasporto pubblico locale, e persino la manutenzione ordinaria è stata carente quando non assente, non è pensabile di raddrizzare le cose con un intervento spot possibile solo grazie al fatto di aver vinto un bando europeo. Dunque sarebbe questo, ci si chiede, il futuro della cura degli spazi pubblici? Sopravvivere tra l’incuria e l’abbandono, aspettando che il comune vinca qualche bando per poter rifare i lampioni, altrimenti si rimane al buio, sperando nell’anno prossimo?

Parlando di retorica, non poteva mancare la trita enfasi sul ruolo dei “giovani” e delle “associazioni” che collaborano al progetto, diventandone esecutori attivi. Qui si ripete come sempre lo schema che è condizione imprescindibile di qualsiasi progetto che aspiri ad un finanziamento: la ferrea regola della sussidiarietà orizzontale. L’intervento diretto dell’amministrazione comunale in un compito che pure rientrerebbe tra i suoi doveri come la manutenzione e la cura della città, è infatti visto come fumo negli occhi ormai ad ogni livello. La spesa pubblica, si dice, è per definizione inefficiente, dunque largo all’esternalizzazione, palese o nascosta, di quante più funzioni possibili, a quei “giovani volenterosi”, a quelle “associazioni di zona”, ovviamente previa vittoria della “gara di bellezza”. Qui l’evidente fine ideologico di smontare pezzo a pezzo la gestione pubblica della città per favorire i privati (sociali o meno che siano) si intreccia con la questione più immediatamente materiale: l’innegabile, per quanto taciuta, verità è che quelle associazioni, con la pletora di volontari, semi-volontari e precari che le tengono in piedi, permettono di “tappare i buchi” ad un prezzo infinitamente minore di quello necessario se veramente si volesse dare un lavoro dignitoso a chi lavora nel settore. Ciò è possibile proprio grazie alla competizione sfrenata: dal momento che molti di questi enti sopravvivono solo grazie a questo tipo di bandi, sono disposte a tutto pur di partecipare, e dunque perpetuano e anzi amplificano la dinamica di sfruttamento che è ormai maggioritaria nel lavoro, specialmente giovanile, ma sempre nascondendola sotto la retorica dell'”impegno civico”.

In conclusione, il progetto ToNite è la perfetta espressione del modello di città che è stato perpetuato negli ultimi anni, tanto dalla giunta 5 Stelle di Appendino quanto da quelle precedenti di centrosinistra. Una città che si avvita nella spirale di grandi eventi e conseguente debito pubblico, che a sua volta viene usato come un’arma contro le classi popolari per tagliare i servizi pubblici. Così molte zone della città vengono abbandonate a sé stesse, salvo poi diventare il palcoscenico di iniziative di “riqualificazione”, a loro volta fondate sullo sfruttamento del lavoro precario e talvolta non pagato, che preparano il terreno alla speculazione edilizia e all’espulsione delle fasce popolari.

Un modello di città contro il quale è urgente costruire un’alternativa che metta al centro l’azione del pubblico come l’unica veramente capace di fare gli interessi delle classi popolari contro quelli di banche, speculatori e dei loro terminali politici. Anche per questo parteciperemo alle prossime elezioni comunali del 3-4 ottobre, sostenendo la candidatura a sindaco di Angelo D’Orsi!

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