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SU ELEZIONI, AUTUNNO E PROSSIMI PASSI!

Comunicato del Coordinamento Nazionale di Potere al Popolo

Si è svolto sabato 8 ottobre il Coordinamento Nazionale di Potere al Popolo. Una riunione che ha visto una grande partecipazione, con 70 delegati da tutta Italia, preceduta da diverse assemblee territoriali che dal 25 settembre hanno fatto un bilancio della campagna anche rispondendo a un questionario che ha permesso di analizzare il voto e la nostra azione su più livelli.
Una riunione dunque ampiamente rappresentativa non solo del corpo di Potere al Popolo, ma di tutte le sue specificità locali, delle sue differenti esperienze, del cosa è e del cosa vuole essere, del come vuole contribuire a cambiare questa terribile situazione che stiamo vivendo, fra collasso ambientale, rischio di una guerra nucleare, inflazione e carovita, autoritarismo e forze di estrema destra che vanno affermandosi in Europa.
Nelle prossime pagine proveremo a render conto della discussione e delle proposte avanzate. Ci teniamo però innanzitutto a ringraziare tutte e tutti i nostri militanti per l’enorme lavoro di questi mesi, per aver dato già in pieno agosto con la raccolta firme una prova straordinaria di determinazione e di insubordinazione rispetto ai piani del Sistema di farci sparire. Uno sforzo che ha permesso non solo a Unione Popolare di presentarsi alle elezioni, ma che ha saputo caratterizzare la campagna elettorale di UP con partecipazione giovanile, sostegno di realtà di lotta e di movimento con cui abbiamo costruito rapporto in questi anni, che ha prodotto l’arrivo di ospiti internazionali con cui da tempo ci confrontiamo, e dato così un respiro aperto, positivo, non testimoniale o nostalgico al processo elettorale.
Grazie davvero a tutte e tutti!

L’analisi del voto e il bilancio della campagna fatto dal Coordinamento hanno sostanzialmente confermato il comunicato prodotto all’indomani del 25 settembre  e un’omogeneità di vedute fra di noi nonostante le differenti esperienze locali.
Tutti gli interventi hanno sottolineato che abbiamo fatto il massimo che potevamo fare, e che questo è stato perfettamente percepito dai nostri elettori come da altri osservatori esterni. E che il risultato, che ci ha visto crescere rispetto al 2018 di 30.000 voti nonostante quasi dieci punti in più di astensione, non è affatto piccolo considerata l’esclusione mediatica (non a caso le reti nazionali sono state condannate dall’AGICOM per mancato rispetto della par condicio), i ristretti mezzi economici (a causa dei tempi stretti non c’è stato modo di accumulare risorse e a livello nazionale UP disponeva di soli 40.000 euro) e una campagna elettorale fatta in un solo mese, per di più estivo – la prima volta nella storia della Repubblica!
Soprattutto, il risultato non è affatto irrilevante da un punto di vista politico: ci sono 400.000 persone che hanno scelto di sostenere, senza nulla in cambio, resistendo alle sirene del disimpegno, un progetto di rottura. Questa base, formata da tanti giovani e da avanguardie di lotta, ci offre le condizioni per rilanciare, all’indomani delle elezioni, un processo in grado di crescere, allargarsi, coinvolgere altri, per potersi presentare successivamente con ben altri esiti.

Giova ricordare, per smontare alcuni stereotipi che ricorrono spesso, che il progetto di Unione Popolare non era improvvisato. Eravamo partiti con un confronto serrato con le altre forze politiche già a inizio 2022, confronto che era sfociato in una prima manifestazione davanti alla base NATO di Lago Patria  poco prima dello scoppio della guerra in Ucraina. Il confronto si era trasformato in azione comune contro la guerra , era stato poi discusso nel Documento politico di Potere al popolo!, approvato dall’Assemblea nazionale di Pap!, ed era infine continuato fino al lancio ufficiale e molto partecipato del progetto il 9 luglio.  Le elezioni sarebbero dovute avvenire nel marzo/aprile 2023: la rappresentazione di una “sinistra che si mette insieme solo sotto elezioni” è stata vera in passato ma è fallace in questo caso. Purtroppo la caduta repentina del Governo Draghi ci ha imposto un’improvvisa accelerazione, peraltro, in un contesto in cui associazioni, comitati, movimenti sia a livello locale che nazionale sono stati decimati dalla pandemia e in generale dal periodo difficile. Ma ora c’è tempo e si può ovviare a questo difetto di origine…

Non solo: i numeri dell’astensione confermano come i giovani e le classi popolari abbiano maturato profondo scetticismo nei confronti dei partiti politici, 5 Stelle compresi che, rispetto al 2018, hanno registrato un vero e proprio crollo, dimezzando la percentuale elettorale (dal 33% di 4 anni fa al 15% di oggi) e perdendo circa 6 milioni e mezzo di voti, riconfigurandosi come un partito a trazione prevalentemente meridionale e che raccoglie consensi popolari soprattutto legati all’istituto del reddito di cittadinanza. Non sfonda in termini elettorali neppure la coalizione di centrodestra che, pur essendo vincitrice non aumenta il numero di consensi in termini assoluti rispetto all’ultima tornata (12.152.345 del 2018 contro gli attuali 12.183.722) ed è ben lontana dai risultati degli anni d’oro di Berlusconi. La crescita di Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni, non sconfina dal blocco di centrodestra, sottraendo voti principalmente ai suoi alleati, Lega e Forza Italia.

Insomma: non siamo in un paese che è diventato improvvisamente di destra, anzi, la destra ha tutt’altro che la situazione sotto controllo. E in particolare le classi popolari, i giovani, gli operai, i soggetti che vorremmo rappresentare non sono “conquistati” da nessun partito e piuttosto mostrano una scarsa adesione all’establishment. Certo, quello che siamo in grado di offrire ora non riesce ancora a motivarli o più probabilmente nemmeno a farci percepire. Ma da questo punto di vista la campagna elettorale ci ha per l’ennesima volta dimostrato che dove siamo presenti con il radicamento sociale i risultati sono stati migliori.
Infatti, sia gli interventi al Coordinamento e l’esito del questionario somministrato alle assemblee territoriali hanno rivelato che:

  • nei quartieri in cui negli ultimi anni abbiamo aperto le Case del Popolo, dove ci sono state lotte significative a cui abbiamo partecipato e i lavoratori hanno avuto modo di conoscerci, il risultato è stato ben superiore al 2018;
  • la campagna elettorale ha fatto sì che decine di nuove persone prendessero la tessera di Potere al Popolo e che tanti giovani si avvicinassero, aumentando il numero di partecipanti alle Assemblee Territoriali;
  • la nostra strutturazione interna è migliorata, ci siamo dotati di strumenti che non avevamo sviluppato precedentemente e abbiamo rinnovato quelli preesistenti, a partire dall’ufficio elettorale e dall’organismo di raccordo tra territori e dipartimento comunicazione. Inoltre i nostri referenti territoriali hanno ampliato le loro competenze e la loro esperienza in tempi rapidi;
  • infine, la campagna elettorale ci ha consentito di rafforzare preziosi legami internazionali con le forze progressiste e anticapitaliste europee, grazie alla visita di Mélenchon e di Pablo Iglesias , e il sostegno raccolto dal PTB. Legami che sono fondamentali per contrastare il ritorno di forme politiche autoritarie o dichiaratamente neofasciste, così come la crisi economica che interessa tutta l’Europa.

Tutti questi dati hanno confermato che l’unica alternativa in campo al momento della caduta del Governo – non partecipare alle elezioni – avrebbe determinato un forte indebolimento di Potere al Popolo, la nostra trasformazione in spettatori, avrebbe implicato la non esistenza di Unione Popolare, avrebbe impedito che in campagna elettorale entrassero, per quanto poco, temi sociali e avrebbe lasciato 400.000 persone e tanti giovani senza rappresentanza o l’avrebbe parzialmente regalata a forze di sistema.
Certo questo risultato, che dimostra ancora una volta come non esistano scorciatoie al lavoro quotidiano, al radicamento sociale e mediatico, non ci può bastare, visto che non ci interessa fare testimonianza ma fare avanzare concretamente i nostri interessi di classe e rispondere ai problemi della nostra gente.

Per questo intendiamo nei prossimi mesi avanzare su tre fronti: lotta sociale e sostegno ai movimenti, rafforzamento di Potere al Popolo, costruzione dell’Unione Popolare.

Prima di entrare nel merito del “che fare” è importante avere chiaro lo scenario generale. Non sfugge a nessuno che ci addentriamo in un autunno pieno di difficoltà e pregno di scenari complessi. Innanzitutto la guerra in Ucraina, giunta ormai al 300esimo giorno, non accenna a diminuire e anzi vive, nelle ultime settimane, momenti di rinnovata intensità. Organismi internazionali, leader politici, e le due parti in causa – Nato e Russia – che disputano la partita sulla pelle degli ucraini e di tutti i popoli d’Europa travolti dagli effetti dell’economia di guerra, discutono ordinariamente a mezzo stampa di possibilità nucleari, approvano addirittura risoluzioni in questo senso (come quella del Parlamento Europeo di qualche giorno fa), senza che questo generi una mobilitazione di massa in un dibattito pubblico ormai assuefatto. A distanza di sei mesi dall’invasione russa, è palese che sono molti gli attori politici a non avere interesse a intavolare una trattativa di pace, a non volere sostituire la corsa al riarmo e la logica dell’escalation a una seria operazione diplomatica.

Una crisi che presumibilmente non si risolverà a breve e che graverà ancora sulla delicata congiuntura economica internazionale. Basti pensare che in Italia, secondo le ultime stime del rapporto redatto dal centro studi di Confindustria, il 2023 si aprirà all’insegna della stagnazione o addirittura recessione. Il calo del PIL, cominciato nel terzo trimestre del 2022, proseguirà e si assocerà a un’inflazione record e in crescita (attualmente a quota +8,9%, il valore più alto degli ultimi 40 anni).
Inflazione significa soprattutto perdita di potere d’acquisto delle classi popolari, dei lavoratori e delle famiglie che si troveranno davanti ad aumenti di prezzo vertiginosi. E non parliamo di beni di lusso, ma di beni di prima necessità, generi alimentari e energia elettrica (secondo le ultime stime una famiglia spenderà circa 3mila euro in più all’anno, di cui oltre 1000 per affitto, elettricità, combustibili e 1000 solo per il cibo). Se a questo sommiamo il problema dei salari – in Italia bassi e costantemente in calo dal 1990 -, del lavoro povero (l’ultimo rapporto Censis parla chiaro: 4 milioni di lavoratori full time guadagnano meno di 1000 euro al mese, quasi 9 milioni di persone in Italia sono interessate dalla soglia di povertà, assoluta o relativa) non è difficile immaginare che nei prossimi mesi ampie fasce della popolazione saranno colpite da un forte impoverimento.

A tutto questo – nel bel mezzo di una crisi internazionale e soprattutto europea, visto che ogni singolo paese si muove per i fatti suoi, nel mezzo di una guerra speculativa che coinvolge energia e materie prime e sta già avendo effetti pesanti sul sistema economico delle piccole e medie imprese italiane –, dovrà rispondere il Governo. A Giorgia Meloni non basteranno proclami ideologici, buffonate sulla famiglia tradizionale e su agghiaccianti e irrealizzabili “blocchi navali”, non saranno sufficienti attacchi ai diritti civili e alle organizzazioni sindacali e di lotta (che Meloni ha già annunciato da Confagricoltura parlando di impegno a “non disturbare chi produce”…).
Bisognerà rispondere alle urgenze sociali, una mission impossible per uno schieramento politico che non alcuna velleità di rompere coi meccanismi sistemici che hanno generato questi problemi, che non gode del consenso delle classi popolari ma al limite della loro passività in questa fase. Giorgia Meloni è passata, rapidamente, da una blanda opposizione a Draghi dei mesi scorsi al cercare – e trovare, ovviamente – la collaborazione e la sintonia con l’ex premier, sperticandosi in rassicurazioni alla Nato e in atti di servilismo agli USA.
Anche se non sottovalutiamo i rischi di avere ai vertici dei Governo dei “fascisti di sistema”, è evidente che l’inimicizia evidente di questo Governo e la sua distanza rispetto ai nostri bisogni lascia aperti spazi di mobilitazione, magari non nell’immediato, ma potenzialmente capaci di produrre effetti politici consistenti.

Se questo è lo scenario, la prima cosa che dobbiamo fare è lavorare per suscitare un’opposizione sociale. L’abbiamo detto tante volte: se non nascono nel paese mobilitazioni, se non irrompe una nuova generazione, se le classi popolari non si fanno sentire, se il conflitto – che pure esiste costantemente – non emerge e non converge, non è possibile ottenere risultati elettorali e politici. In Italia da anni questa opposizione stenta a prodursi, e la domanda di trasformazione, che pure agita molti, si rassegna rapidamente o prende vie confuse. Eppure da altri punti di vista viviamo tempi storici eccezionali e una società globale interessata da profondi mutamenti. Il compito di Potere al Popolo, sin dalla sua nascita, è stato operare per ricomporre il conflitto sociale intorno a campagne o lotte generali, mostrando concretamente come per uscire da questa situazione ci sia bisogno di un’alternativa di sistema.

Da questo punto di vista durante l’autunno intendiamo sostenere e costruire tutte le mobilitazioni che vanno nel senso di fermare la guerra, di ridurre le disuguaglianze e produrre misure contro il carovita, di difendere i diritti dei lavoratori, di aumentare i loro salari, partendo da un salario minimo, e soprattutto di difendere l’ambiente e immaginare una vera transizione ecologica.

Per questo abbiamo aderito e invitiamo tutte le nostre assemblee a partecipare alle seguenti date:

  • 22 ottobre a Bologna alla data lanciata dal collettivo GKN e Fridays For Future
  • 4 novembre per una giornata nazionale contro la guerra che promuoviamo insieme alle forze di UP su tutti i territori con azioni, flash mob, presidi
  • 5 novembre a Roma al corteo nazionale contro la guerra convocato dalle realtà di Europe for Peace
  • 5 novembre a Napoli corteo “mo bast insorgiamo” chiamato da collettivo di fabbrica lavoratori gkn e da movimento disoccupati 7 novembre Napoli, contro guerra e carovita
  • 25 novembre nella giornata internazionale contro la violenza di genere
  • 2 dicembre allo sciopero dei sindacati di base e il corrispondente corteo

Vogliamo essere in queste piazze in maniera riconoscibile, cercando di portare il nostro contributo specifico: a) la lotta per un salario minimo, b) una patrimoniale per redistribuire la ricchezza e finanziare la transizione ecologica, c) il taglio delle spese militari e l’utilizzo di quei fondi per cooperazione internazionale e per finanziare ricerca volta al benessere collettivo; d) la necessità di un cambio di paradigma nel rapporto tra esseri umani e tra esseri umani e ambiente, tra produzione, circolazione, distribuzione di ricchezze e risorse naturali.

Chiaramente questa tensione ricompositiva sul piano delle vertenze sociali parallelamente proseguirà anche sul terreno della rappresentanza con Unione Popolare.
La tornata elettorale di settembre ha confermato la rilevanza di due fattori chiave per provare a incidere nella realtà politica: l’importanza delle organizzazioni e quella della capacità di costruire percorsi unitari che siano radicati in pratiche, obiettivi e punti programmatici comuni.
Daremo il nostro contributo affinché il percorso di Unione Popolare possa crescere e migliorare a partire da un modello che federi le forze esistenti e dia la possibilità ad altri di aggiungerci, interagire, rafforzarsi reciprocamente.
Vogliamo costruire un percorso aperto, non l’ennesimo soggetto politico che si chiuda su sé stesso, ma una piattaforma di resistenza democratica che diventi riferimento per chiunque intenda mobilitarsi e che migliori costantemente il suo programma andando sui territori a incontrare associazioni, comitati, movimenti. Per creare attivazione di persone nuove e non solo di chi è già inquadrato in qualche associazione. Per poi arrivare a un altro momento di verifica nazionale, come le Europee, con lo stesso simbolo – sarebbe un miracolo, viste le peripezie della sinistra italiana dal 2008 – ma con una comunità più larga e un progetto politicamente più consolidato.
Questa prospettiva ci sembra condivisa dalle altre forze che hanno lanciato l’Unione Popolare e dunque già nei prossimi giorni inizieremo questo percorso. Invitiamo a contattarci chiunque – singolo oppure organizzazione – sia interessato.

Ma non è possibile animare e collegare i movimenti sociali, come così come evitare che Unione Popolare sia stata l’ennesima lista elettorale, se non lavoriamo sulla costruzione di un nucleo determinato, che sappia aggregare e formare giovani, radicare movimenti, elettori e opinione in attività pratiche sui territori. Per questo bisogna rafforzare il percorso di Potere al Popolo, che in 5 anni dal suo primo lancio e in 4 anni di vita come organizzazione è stata una risorsa importante sia per i movimenti che per le coalizioni di sinistra radicale.
La difficile congiuntura internazionale, le tendenze di destra che si stanno impadronendo dei governi, la repressione e le logiche autoritarie, il fatto di avere di fronte apparati organizzati, ci dimostrano che non ci può essere vittoria, nemmeno parziale, senza la creazione di un’organizzazione forte, decisa, capace di combattere su più livelli, compreso quello culturale. Proprio per questo intendiamo da subito strutturare maggiormente Potere al Popolo. Vogliamo farlo lavorando su due direttrici, la prima riguarda il piano organizzativo, la seconda quello del dibattito politico.
Innanzitutto durante la campagna tesseramento e poi quella elettorale abbiamo costituito un gruppo organizzativo e una filiera di responsabili delle singole assemblee. Questo gruppo e questo contatto fra “centro” e territori vanno irrobustiti.
In secondo luogo, intendiamo continuare ad aprire Case del Popolo, che sono essenziali per lo sviluppo del nostro movimento. La prossima si aprirà il 16 ottobre a Catanzaro e sarà dedicata a “Thomas Sankara”. In bocca al lupo!
In terzo luogo, giunti ormai a 5 anni di attività e dopo l’elaborazione di due lunghi documenti politici nel 2021 e 2022 , sentiamo il bisogno di una riflessione che ci consenta di andare oltre l’immediato e approfondire, da un punto di vista teorico e politico, la nostra identità, il nostro compito storico e cosa vuol dire oggi battersi per il socialismo. Nei prossimi mesi inizieremo quindi questo percorso, organizzando seminari e incontri e producendo testi e opuscoli.

Di fronte a un mondo dove l’egemonia culturale è a destra e le difficoltà materiali sempre più pressanti spingono al “si salvi chi può”, bisogna strutturarsi ed essere consapevoli del piano strategico. La portata di queste crisi ci dice che l’alternativa può essere solo un’alternativa di sistema.

La posta in gioco è la nostra stessa vita, e la possibilità di viverla con pienezza e felicità: non facciamocela strappare da nessuno!
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