Il risultato elettorale delle amministrative di Riace è stato per tante e tanti una vera doccia fredda, una forte contraddizione con l’evidente bontà empirica del modello costruito in 15 anni di amministrazione e il riconoscimento di Riace come capitale dell’umanità.
Le elezioni comunali a Riace hanno visto un radicale cambio di volto, Mimmo Lucano e la sua lista hanno perso la guida del paese: l’impegno incredibile messo in campo ha visto Mimmo figura centrale, quasi imprescindibile, del processo di rinascita di Riace. Un processo sperimentale, pratico, di campo che ha dimostrato al mondo intero che quella scelta fosse la più corretta, la più indicata per costruire anche sistema economico di gestione pubblica delle risorse e dei servizi, che non lasciasse indietro nessuno.
È una realtà complessa, quella dei piccoli centri della provincia reggina, segnata da spopolamento e abbandono, non in ultimo da parte di quelle stesse istituzioni che adesso canteranno una vittoria anch’essa speculatrice ed offensiva verso la nostra terra: un risultato che verrà raccontato a convenienza. Chi resta a viverci in questi luoghi, bellissimi e difficili, permane in un miscuglio di sensazioni e sentimenti, personali e sociali, che non possono essere valutati sempre in un’ottica lineare.
Riace è il ritratto tipico di molti dei paesini che sorgono tra la costa jonica reggina e la fascia pedemontana dell’Aspromonte: una comunità molto piccola, distribuita asimmetricamente tra il borgo superiore, fino a qualche tempo fa destinato al vuoto dell’abbandono per emigrazione e poi rivitalizzato dal sistema costruito dai tre mandati di Mimmo Lucano, e “la marina” che si snoda lungo la Statale 106, arteria su cui si articola la vita lavorativa e sociale degli abitanti che resistono tenacemente alla tentazione di emigrare.
Una storica frattura quella dei trasferimenti forzati sulla costa, che ha ribaltato il ruolo di “centro” e “periferia”: una geografia di cui tenere sempre conto, quando si prova a capire il contesto del luogo; un affronto, per qualcuno, è mettere al centro, di un progetto politico e amministrativo, la “perduta” periferia.
Poco importa se il progetto politico sia stato in realtà complessivo, qualcuno si è sentito ignorato e su questo fuoco di rancore altri hanno soffiato.
Attaccare le risorse che reggevano quel sistema è stato il primo passo per indebolire questo “disturbo” che il modello Riace costituisce: il taglio dei fondi ha inciso a cascata su tutto, dai pagamenti alle anomalie della gestione, ai possibili (e inevitabili per chi amministra in contesti difficili) errori, fino alle inchieste caratterizzate da un accanimento mai visto a quelle latitudini, neanche verso i peggiori criminali.
Un accanimento che ha allontanato fisicamente Mimmo da Riace e, contemporaneamente, ha tenuto molte persone sempre più distanti da lui.
Pesa molto la sconfitta elettorale, una sconfitta per tutto il territorio dopo una partita truccata: l’esilio forzato di 8 lunghi mesi per Mimmo, mentre la Lega investiva intensamente alla conquista di un paesino in preda allo sconforto e all’incertezza, hanno determinato un cambio di prospettiva e la possibilità per un milanese leghista, come Claudio Falchi, di entrare in consiglio comunale con lo slogan “Riace ai riacesi”.
Non è la vittoria della ‘ndrangheta, non è la vittoria dell’ignoranza: è la vittoria di quel potere che, sulle incertezze e sulle difficoltà create dal processo e dagli attacchi a Mimmo e al modello Riace, ha costruito il suo consenso politico.
Nell’incertezza e nella paura del futuro per Riace, ci si è affidati alla “sicurezza” del potere, mentre lo stesso toglieva linfa a ciò che ha permesso a un piccolo paesino, come tanti, della jonica calabrese di non morire di disoccupazione ed emigrazione, di non crollare, e di avere “un ruolo mondiale”, di dare a tante persone del luogo un lavoro e un motivo per restare.
Un ruolo che chi ha vissuto centimetro per centimetro la trasformazione fisica e sociale del piccolo borgo storico del comune, la periferia, ha ancora riconosciuto e premiato domenica, nella sezione di Riace superiore dove la lista di Maria Spanò e Mimmo Lucano ha comunque avuto la maggioranza dei voti, a dispetto di tutte le dicerie, gli attacchi e un consenso comunque incrinato.
Proviamo rabbia e tristezza momentanea, per Riace e per Mimmo, nutriamo timori fondati che il piccolo comune diventi territorio di predazione, da parte di chi ha interesse che i nostri paesi restino vuoti, isolati e rassegnati: il potere governativo leghista da un lato, che spinge oggi più che mai verso il regionalismo differenziato per favorire le tre ricche regioni del nord, forte anche di un appoggio da parte del Partito Democratico emiliano, in questo; il potere ‘ndranghetista locale che sulla mancanza di tutto e su quel nulla cosmico, si fonda e controlla il territorio e per il quale il modello Riace costituisce una seria minaccia.
Nonostante tutto questo, vogliamo invitare a non banalizzare la complessità dei nostri luoghi e del nostro popolo, i suoi processi politici e sociali, attraverso facili semplificazioni e pregiudizi.
Riace continuerà ad essere capitale dell’umanità e ad accogliere; noi continueremo a fare di tutto per stare accanto a Mimmo Lucano, come lo eravamo venerdì sera durante il suo emozionatissimo comizio di chiusura della campagna elettorale, con un permesso di rimettere piede a Riace giusto per un paio di ore. Gli staremo accanto per la sua persona ma anche per ciò che rappresenta; per far sì che questo lavoro non vada perduto, a partire dal sostenere la manifestazione dell’11 giugno a Locri, quando si aprirà questo processo, tutto politico, a suo carico.
Come Potere al Popolo ci mobiliteremo a Locri e in tutt’Italia, accogliendo l’appello del Comitato 11 giugno, perché il sostegno sia concreto e perché sorgano dieci, cento, mille Riace.