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Sulla “nuova” legge sanitaria della Regione Lombardia (legge Consiglio Regionale n.96, 30 novembre 2021)

Il 1° gennaio 2022 è entrata in vigore la “nuova” legge sanitaria della Regione Lombardia (approvata il 30 novembre dal Consiglio Regionale a maggioranza Lega, Forza Italia e soci).

Potere al Popolo nell’opporsi a tale delibera individua in essa l’asse portante ma soprattutto definitivo di quel processo iniziato con la Legge Formigoni del 2009 ( in verità iniziato anni prima con l’avvento del “Celeste” alla Presidenza della Regione) a cui ha dato seguito Maroni nel 2015.
Tale processo ha permesso nel corso degli anni alla Sanità Privata lombarda di giungere ad accaparrarsi più del 40% della spesa sanitaria attraverso la politica degli accreditamenti.

Sono bastate poche ma significative righe per sancire che “la equivalenza e integrazione all’interno del Sistema Sanitario Lombardo dell’offerta sanitaria e sociosanitaria delle strutture pubbliche e delle strutture private accreditate; garantendo la parità di diritti e di obblighi per tutti gli erogatori di diritto pubblico e di diritto privato” e che, collateralmente, viene attribuita al “privato” la possibilità di “concorrere alla istituzione delle Case e Ospedali di Comunità” previste dal Piano di Ripresa e Resilienza Nazionale (PNRR).

Ciò non bastasse, il 15 dicembre 2021 la Giunta Regionale della Lombardia ha approvato una delibera contenente “ulteriori determinazioni in merito all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)” che recita testualmente si riserva di modificare il quadro programmatorio a seguito della definizione delle effettive disponibilità delle quote derivanti dal PNRR”.

Se stiamo alla declaratoria della nuova legge regionale lombarda (ormai denominata delibera Moratti dal nome della Assessora alla Sanità nonché vicepresidente della Giunta Regionale) si evince che dovrebbero essere istituite reti di prossimità, strutture di telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale – Case di Comunità, Ospedali di Comunità e Centrali Operative Territoriali” che, allo stato, prevede la realizzazione di 218 Case di Comunità, 71 Ospedali di Comunità e 101 Centrali Operative Territoriali entro tre anni (cioè, entro la fine del 2024).

Ma quali sono i reali punti di caduta su cui tale legge rappresenta la continuazione del dissanguamento della Sanità Pubblica ed una gigantesca presa in giro dei cittadini lombardi?

In primis è che né il PNRR né la NADEF (Nota di Aggiornamento della Finanziaria del governo Draghi) prevedono stanziamenti per nuove assunzioni di personale sanitario: così rischia di incepparsi tutta la rete delle Case e degli Ospedali di Comunità, che si troveranno in deficit di personale sanitario per poter funzionare come rete della sanità territoriale, mentre si allungheranno ulteriormente le liste di attesa per visite specialistiche ed esami clinici con il conseguente ricorso agli operatori sanitari da parte di chi se lo può permettere (si stima che nel 2020 siano state rinviate 10 milioni di visite specialistiche ed esami clinici che il SSN non era stato in grado di assicurare a causa della pandemia da covid 19).

La presa in giro, una vera e propria truffa è rappresentata dal fatto che se quanto recita il nuovo provvedimento a proposito degli “ambulatori sociosanitari, distribuiti in modo più capillare sul territorio grazie anche alla presenza di medici di medicina generale (MMG) in associazione” è altrettanto notorio e reale che la maggioranza dei MMG in Lombardia lavora già in cooperative, per cui gli ambulatori territoriali di fatto esistono già. Inoltre, non è pensabile che gli MMG possano espletare anche attività diagnostica strumentale di primo livello, sia per questioni di tempo sia di competenze (si tratta, infatti, comunque di prestazioni specialistiche).

Tutto questo accade, ed è bene ricordarlo in un Paese come il nostro dove negli ultimi dieci anni, infatti, i governi che hanno guidato l’Italia (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte) hanno indebolito il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) tagliando i finanziamenti destinati al Fondo Sanitario Nazionale (FSN): un taglio complessivo di 37 miliardi di euro (Fonte: Report Osservatorio GIMBE n.7/2019). A pagarne le conseguenze è stato soprattutto il personale sanitario (quelli che nel 2020 venivano retoricamente chiamati “i nostri angeli”) perché il 50% dei 37 miliardi “risparmiati” sono stati tolti alla spesa per il personale attraverso il blocco dell’assunzione di nuovi medici per sostituire i pensionati, e il mancato rinnovo del contratto che doveva servire ad allineare le retribuzioni dei medici italiani agli standard europei. Le Regioni si sono adoperate ad aggirare il blocco spostando parte della spesa sanitaria dalla voce “personale” alla voce “acquisizione di beni e servizi” con il ricorso ai grandi operatori sanitari privati: un falso in bilancio legalizzato. In questo modo è aumentata a dismisura la spesa sanitaria privata, raggiungendo nel 2018 la cifra record di 37,5 miliardi (poco meno di un quarto della spesa sanitaria totale). Nell’attacco sistematico al Servizio Sanitario Nazionale si è distinta, in particolare, come tutti sappiamo la Regione Lombardia, ma nondimeno Il Lazio, il Veneto, il Piemonte, l’Emilia Romagna.

Così come occorre ricordare che quanto accade è frutto della revisione del titolo V della Costituzione (voluta dai DS – oggi PD – ma portata a compimento dal governo Berlusconi nel 2001) che ha aperto le porte al cosiddetto “regionalismo differenziato”. Su questa base, la sanità – prima di esclusiva pertinenza dello Stato- è diventata materia di “attribuzione concorrente Stato-Regioni”. I risultati si sono visti: il Servizio Sanitario Nazionale si è praticamente spezzettato in 21 Servizi Sanitari Regionali con diversi Livelli Essenziali di Prestazioni socio-sanitarie erogate ai cittadini a seconda delle Regioni (in contrasto con il diritto alla salute uguale per tutti sancito dalla Costituzione). Peggio ancora, durante la prima ondata della pandemia in base al regionalismo differenziato ogni Regione ha fatto a modo suo senza una cabina di regia unitaria a livello nazionale, e si sono verificati continui scontri e contrasti tra Regioni e Stato, con i risultati che si sono visti in termini di ricoveri nelle terapie intensive e di decessi per covid (e non solo).

Per questi motivi Potere al Popolo ribadisce la sua opposizione non solo alla nuova legge sanitaria della Regione Lombardia ma anche ad ogni forma di “regionalismo differenziato” (cioè ad un sistema sanitario spezzettato in 21 sottosistemi regionali) e sostiene, invece, la necessità di difendere e rafforzare il SSN centralizzato, frutto delle lotte dei lavoratori e delle lavoratrici degli anni ’60 e ’70: un servizio di carattere universalistico, cioè “senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio” com’è scritto nella legge istitutiva 833 del 1978.

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