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NO TRIV, ENERGIA, TERRITORI E DEMOCRAZIA PREMESSA

di Enrico Gagliano, Coordinamento Nazionale No Triv
Roma, 27 dicembre 2017

No Triv si riconosce nei valori della Costituzione della Repubblica che, come recita la stessa Costituzione, è costituita non solo dallo Stato ma anche dai Comuni e dalle Città metropolitane. Il Coordinamento ha da sempre un’interlocuzione privilegiata con il sistema delle Autonomie ed animata dall’obiettivo di riconnettersi ad una dimensione politica che trascende la scala locale.

Il Coordinamento nutre interesse verso forme di convergenza con altre forme organizzate all’interno di un orizzonte valoriale comune i cui capisaldi sono:

• riconversione;

• inclusione;

• solidarietà;

• integrazione;

• partecipazione e condivisione

• democrazia.

LA QUESTIONE DEMOCRATICA

Per No Triv la questione energetica è parte integrante e sostanziale di una questione più grande, che tocca direttamente la vita delle donne e degli uomini di questo Paese: quella democratica.
In occasione dell’approvazione della SEN 2013 -per intenderci, quella del raddoppio della produzione nazionale di idrocarburi, che diede la stura ad una serie interminabile di richiesta di autorizzazioni a perforare, dal Canale di Sicilia fino al Piemonte- e della SEN 2017, i No Triv hanno sempre posto particolare attenzione all’assetto del sistema di Governance del Sistema Energetico.

Il percorso referendario avviato nell’estate del 2015 con il deposito in Cassazione di 6 quesiti -di cui 4 recepiti in Legge di Stabilità 2017, un quinto finito soccombente il 17 aprile 2016 ed il sesto (introduzione del Piano delle Aree) drammaticamente attuale- è la dimostrazione di come sia possibile cambiare le regole agendo localmente e dal basso, attraverso una forte interlocuzione, spesso problematica, con gli enti di prossimità e con le Regioni. La moral suasion di oltre 200 associazioni che portò ben 10 Consigli Regionali a pronunciarsi a favore della richiesta di Referendum fu accompagnata da centinaia e centinaia di deliberazioni di Consigli Comunali che, sotto la spinta di comitati e MOVIMENTI, chiedevano alle Regioni di andare in quella direzione.

Il 17 aprile ha preparato il terreno poi per il Referendum costituzionale del dicembre 2016. Per inciso, sui temi della deforma costituzionale i No Triv avevano preso posizione con due anni d’anticipo, nel luglio del 2013, in occasione dell’Assemblea Nazionale di Crotone, quando la macchina delle riforme istituzionali era già stata messa in moto con la nomina di una Commissione di esperti istituita dal Presidente del Consiglio del tempo. La posizione No Triv è netta e cristallina: in un Paese in cui ormai più della metà degli aventi diritto decide per varie ragioni di non esercitare il diritto di voto, occorre creare nuove condizioni per accrescere gli spazi di partecipazione dei cittadini alle scelte che concernono il governo del territorio e rafforzare il sistema delle autonomie.

Anche rispetto alle questioni di più stretta specificità No Triv (decarbonizzazione veloce ed attuazione di un modello energetico, decentrato e democratico), il nodo da sciogliere resta squisitamente politico ed impatta sia sul piano del metodo sia su quello dei contenuti delle politiche energetiche. Nuovi metodi e nuovi contenuti devono andare di pari passo: l’innovazione dei contenuti non prevarrà nei fatti sulla conservazione finché le scelte energetiche resteranno confinate all’interno del campo ristretto di un’elite senza divenire, al contrario, frutto di un processo decisionale consapevole, largo e condiviso.

Un vero radicamento democratico non potrà risorgere se la politica -anche quella energetica, quindi non cambierà i suoi metodi e le sue forme, agendo in due direzioni; in particolare:

1) dando vigore e sostanza alla partecipazione territoriale attraverso un rafforzamento delle autonomie locali e a nuove forme partecipative all’interno di queste;

2) attraverso una nuova visione di metodi di discussione e di decisione all’interno delle organizzazioni politiche locali e nazionali.

Il coinvolgimento diretto e percezione dell’influenza reale sulle decisioni a tutti i livelli decisionali, può trasformare l’orizzonte partecipativo e la motivazione, ormai esangue, al coinvolgimento nell’azione politica. E molte e numerose sono le sperimentazioni di metodi on line e off line che possono sostenere nuove modalità partecipative e di scambio con i cittadini e le organizzazioni sociali.

DARE VIGORE E SOSTANZA ALLA PARTECIPAZIONE

Il sistema delle autonomie locali è stato più disegnato e ridisegnato e ciò allo scopo di rendere prossimi i cittadini alle istituzioni consentendo, anche per questa via, la crescita democratica del Paese. Le grandi riforme degli anni ’90 (l. 142/90, poi il Testo Unico degli Enti Locali, le riforme dell’ordinamento contabile e finanziario, quella dei controlli interni, dei servizi locali, ecc.) non hanno dato tuttavia i frutti sperati.

La finanza degli enti locali ha conservato il suo carattere di finanza derivata ed il grado di autonomia degli enti ha dovuto fare i conti con una serie di vincoli esterni, cogenti anche per gli enti virtuosi. Inoltre, la riforma degli ee.ll. ha sempre camminato di pari passo con la vagheggiata e mai attuata riforma della Pubblica Amministrazione, che avrebbe dovuto riportare il cittadino al centro del sistema.

Così non è stato. A maggior ragione oggi, la rinascita democratica del Paese passa attraverso il lavoro sul territorio e la partecipazione attiva dei cittadini alle decisioni che interessano il governo del territorio; per favorirla occorrono dunque pregranti modifiche agli Statuti comunali riguardanti, ad esempio:

• l’obbligo referendum propositivi, abrogativi e confermativi;

• il voto per cittadini extracomunitari residenti da più anni;

• una maggiore trasparenza nella gestione delle società partecipate e del patrimonio;

• la diffusione della pratica del bilancio partecipativo e del Prg partecipato;

• forme obbligatorie di consultazione on line su qualità dei servizi pubblici;

• creazioni di piattaforme on line attraverso cui i cittadini possano esprimersi in tempo reale sull’opportunità di singole scelte amministrative.

DEMOCRAZIA ED ENERGIA

I Movimenti sono fermamente convinti che nella definizione delle strategie e dei piani per l’energia debba essere codificato e rafforzato il ruolo degli enti di prossimità e, per questa via, il potere decisionale delle cittadine e dei cittadini. Ad esempio:

• rendendo obbligatori i Piani Energetici Comunali per Comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti o per distretti sovracomunali per i piccoli Comuni, facendo sì che la pianificazione energetica si leghi indissolubilmente ai piani dell’urbaninistica, dell’edilizia pubbica e privata, dei trasporti, ecc.;

• valorizzando il ruolo dei Comuni nel processo di pianificazione energetica ed ambientale delle Regioni, anche allo scopo di evitare che al centralismo nazionale si sostituiscano tanti centralismi regionali;

• facendo divenire i Piani Energetici Comunali e Regionali oggetto di forme di partecipazione/consultazione preventiva da parte dei cittadini e, in una seconda fase, di referendum approvativo prima della definitiva adozione dello strumento.

IL METODO DEMOCRATICO E LA PARTECIPAZIONE ALLE SCELTE ENERGETICHE

L’Atlante Italiano dei Conflitti Ambientali ha censito 136 vertenze riguardanti la realizzazione di grandi opere, osteggiate dalle comunità locali in quanto ritenute inutili ed impattanti. I relativi progetti vengono discussi e definiti in sedi lontane dai territori e senza che gli stessi vengano coinvolti nel processo decisionale o, addirittura, preventivamente informati.

L’aver escluso le opere energetiche dal Dibattito Pubblico è la prova provata di quanto sia radicato questa cattiva pratica nel nostro Paese e la desuetudine, salvo che in limitati contesti territoriali, a praticare forme di partecipazione consultiva, preventiva ed approvativa. Eppure tutti dovremmo essere persuasi del fatto che maggiore è il grado di partecipazione consapevole alla definizione dello strumento più grande sarà percezione da parte del cittadino di avere voce in capitolo nelle decisioni che interessano il governo del territorio e, quindi, anche la realizzazione di un’infrastruttura energetica o l’approvazione di un Piano per l’Energia .

Solo favorendo l’incontro tra la domanda e l’offerta di buona politica e di buone pratiche, saremo in grado di stimolare la partecipazione del cittadino ed il suo senso di apparnenza alla polis.

SENZA DEMOCRAZIA ENERGETICA NON C’E’ DEMOCRAZIA

L’assetto organizzativo del sistema energetico nazionale non contempla alcuna forma di partecipazione -anche economica- delle comunità locali e dei cittadini alla gestione delle risorse energetiche. Seppur con qualche mitigazione priva di rilievo, subiamo la pressione e le ingiustizie di un sistema sostanzialmente centralizzato ed antidemocratico. Per rendelo più democratico ed aperto, avremmo la necessità di innovarne la governance introducendo significativi elementi di decentramento, dando il giusto peso, anche politico, ai circa 500mila produttori/consumatori di energia elettrica (prosumer) esitenti oggi in Italia.
Abbiamo dunque necessità di avere:
– una Governance energetica più democratica, policentrica e cooperativa, attribuendo potere decisionale ai territori su come produrre, distribuire, accumulare e consumare l’energia;
– un sistema energetico basato su penisole energetiche tendenzialmente autosufficienti, interconnesse e connesse alle grandi infrastrutture -a cui verrebbe attibuita una funzione di back-up- per la gestione delle situazioni di emergenza;
– un sistema economicamente più sostenibile rispetto a quello attuale, così come dimostrato dal Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano (* vedi nota).

PROPOSTE:
• Rafforzare il ruolo della generazione distribuita, fino ad affermarne il primato rispetto a quella centralizzata, basata sulla costruzione e sulla gestione di grandi infrastrutture;
• Identificare in ogni Comune le aree destinate alla realizzazione di impianti per la produzione di energia;
• Sostenere le “energy communities”, sul modello delle esperienze Salento Km0, Valli Unite, dei vari Gruppi di Acquisto Solidale sorti in tutta Italia;
• Legittimare e sostenere la nascita delle c.d. Reti Chiuse;
• Varare Piani per la mobilità sostenibile, centrati sul trasporto pubblico, car sharing, ecc.;
• Rendere obbligatorie misure di efficientamento energetico degli edifici e dell’illuminazione pubblica, sanzionando le pratiche meno virtuose;
• Prevedere Piani di Sicurezza Energetica in cui prevedere misure aggiuntive per coinsentire l’accesso all’energia da parte delle fasce più disagiate.

ALTRI PUNTI PROGRAMMATICI DI RILIEVO NAZIONALE

Il Piano delle Aree
L’Italia è sprovvisto di un Piano che preveda quali aree sono interdette alla ricerca ed all’estrazione degli idrocarburi. Fin dalla campagna referendaria No Triv (estate 2015) il CNNT si batte per l’approvazione di questo importante strumento di pianificazione (detto, Piano delle Aree) per dare voce e potere ai territori in merito alla realizzazione delle grandi opere nel settore energy. Su uno specifico quesito dedicato al Piano delle Aree non è stato possibile esprimersi per un cavillo giuridico sollevato dal Governo e dalla Regione Abruzzo. Nel 2017 in Parlamento sono state depositate diverse proposte di legge riguardanti l’ntroduzione del Piano: secondo la bozza elaborata dal CNNT e presa a riferimento da alcune forze politiche (es.: Alternativa Libera, M5S, Mdp), lo strumento viene approvato dal Ministero dello Sviluppo Economico, sentito il Ministero dell’Ambiente e previa Intesa con la Conferenza Unificata in cui sono per l’appunto rappresentati anche i Comuni.
Venendo alla cronaca degli ultimi mesi, è legittimo chiedersi cosa sarebbe stato oggi del TAP se il Movimento No Tap avesse potuto far leva su uno strumento così congegnato prima che nel dicembre 2013 Parlamento italiano ratificasse l’accordo governativo trilaterale tra Italia, Grecia ed Albania. La questione si porrà negli stessi termini nel 2018 per Poseidon il cui approdo è previsto ad Otranto. Quella del TAP non può essere derubricata a questione pugliese o del Sud. Il gasdotto Brindisi-Minerbio, lungo 687 km, attraverserà 10 Regioni, 3 parchi nazionali, 21 aree protette, una delle aree più sismiche d’Italia tagliando in due lo Stivale, giungendo a Minerbio e transitando per zone interessate dal sisma che ha sconvolto almero tre Regioni e 131 Comuni. In questi luoghi, come rilevato dalla Corte del Tribunale delle Libertà “Marco Pannella”, perdura oggi una intollerabile situazione di lesione dei diritti fondamentali in danno delle popolazioni. Con la prosecuzione die lavori del TAP, tutti i territori interessati verranno militarizzati e le relative Amministrazioni locali “commissariate”. Oggi il Sindaco ed i Cittadini di San Foca stanno subendo una forte restrizione delle loro libertà costituzionali ed un intero territorio è ostaggio del consorzio TAP e delle forze dell’ordine poste a presidio non solo delle aree del cantiere ma anche delle aree “cuscinetto”.
La Strategia Energetica Nazionale 2017
Nel corso della conferenza stampa di presentazione della Sen 2017, il Presidente del Consiglio pro tempore è stato piuttosto esplicito: se desiderano la transizione, Regioni ed enti locali non devono intralciare la realizzazione di opere considerate di interesse strategico. Ad esempio, nell’elenco delle infrastrutture strategiche indicate nella Sen 2017 figura anche il progetto di Incremento die limiti di scambio dell’Elettrodotto Foggia-Villanova, per favorire la produzione degli impianti da fonte rinnovabile.
La domanda sorge spontanea: è accettabile che le comunità e le amministrazioni locali debbano tacere di fronte alle tante aberrazioni di un’opera al centro di legittime contestazioni ed anche di indagini dell’Autorità Giudiziaria?
V.: http://cdca.it/archives/14357 sul tratto Villanova-Gissi
Riforma della disciplina della VIA
Nel recepire la direttiva comunitaria, il Governo ha voluto per l’Italia una normativa a maglie lasche, che va cambiata in modo radicale restituendo ai territori i poteri relativi alla valutazione di progetti impattanti.

NOTE (*)
Secondo un recente studio del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano le ricadute sistemiche associate allo sviluppo delle EC sarebbero molto rilevanti. Se si pensa ad esempio ai costi sostenuti dal sistema elettrico nazionale questi, in seguito all’effettivo livello di diffusione delle EC, potrebbero essere ridotti tra 0,3 e 1 mld € all’anno (pari a circa il 10 – 30% del totale dei costi oggi sostenuti per la rete). Altro importante beneficio sistemico consisterebbe nella riduzione della dipendenza energetica dall’estero, per un valore stimato in circa 10 mld € all’anno, pari cioè a circa un sesto dell’attuale bolletta per l’importazione di energia. Tale risultato ci porterebbe in linea rispetto al target fissato dalla Strategia Energetica Nazionale al 2020 (Fonte: rielaborazione da MiSE – Strategia Ener-getica Nazionale). Lo stesso studio del Politecnico infine individua nella diffusione di EC un volume d’affari legato allo sviluppo di filiere nazionali riferite alle tecnologie abilitanti le stesse Community, le quali potrebbero intercettare importi nell’ordine dei 10 – 40 mld € al 2030. 

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