Togliamo i figli ai poveri per darli ai ricchi?
Questa è di fatto la folle soluzione espressa sul Tirreno di Martedì 3 ottobre da Riccardo Ripoli, fondatore dell’Associazione Amici della Zizzi. L’intervista è stata pubblicata dal quotidiano cittadino con estrema leggerezza, dedicandogli un’intera pagina.
In riferimento agli spiacevoli fatti di cronaca livornese che hanno visto come protagonisti ragazzi minori coinvolti nelle cosiddette “baby gang”, il signor Ripoli propone come soluzione alle difficoltà sociali che i ragazzi delle periferie nord spesso si trovano a vivere, l’affidamento ad una famiglia che vive in quartieri più facoltosi. Il messaggio implicito rafforza un’idea pericolosa: avere maggiori possibilità economiche rende automaticamente le famiglie “migliori”, in grado di educare “meglio”. L’assunto dietro questo tipo di credenza è infondato: i fattori che contribuiscono al processo educativo sono molteplici e non solamente riconducibili al contesto sociale vissuto.
Ci saremmo aspettati dal fondatore di un ente che rappresenta un pilastro portante del terzo settore livornese un’analisi quantomeno ponderata, che tenesse conto della complessità dei fattori che determinano le problematiche che i giovani dei quartieri periferici (ma non solo) spesso si trovano a vivere.
Abbiamo riscontrato invece una risposta fin troppo semplicistica e pericolosa, stigmatizzante, che alimenta la paura e il pregiudizio. Inoltre, dal quadro che emerge dall’articolo, viene completamente cancellato il lavoro quotidiano che da anni numerose realtà associative svolgono in questi quartieri.
Evidentemente si è del tutto ignorata la dimensione emotivo-affettiva necessaria ad un sereno sviluppo della personalità del ragazzo e si è dimenticato, forse, anche del diritto del minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia e che le circostanze di fatto che privano il minore di un contesto familiare idoneo non fanno mai riferimento al concetto di ambiente come declinato dal signor Ripoli. Perché ciò sarebbe chiaramente una follia!
Il contrasto tra quartiere benestante e quartiere a basso reddito produce una fotografia fortemente classista, secondo la quale la violenza e lo spaccio sono derive che si apprendono solamente nei quartieri popolari, quando sappiamo che non è così!
L’intervento educativo infatti deve tenere conto di molteplici fattori – che sono sì anche ambientali – senza però criminalizzare la condizione economica vissuta da un minore e dalla sua famiglia, con l’obiettivo ultimo di individuare strumenti e azioni utili ad agevolare il benessere, anche economico, del nucleo familiare.
E’ necessario mettere al centro dell’agenda pubblica le politiche giovanili e investire su interventi nei quartieri che offrano cura, prospettive e strumenti concreti, al fine di potenziare il lavoro sinergico del mondo del terzo settore con il pubblico, che indubbiamente, dopo trent’anni di tagli al welfare è messo in ginocchio.