
Nel 1948, il governo israeliano appena proclamato si impadronì del 78% del territorio palestinese ed espulse più della metà della popolazione (750.000 persone) dai loro villaggi e città. Questo atto ignorava la risoluzione 181 (1947) dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che chiedeva la fine del mandato coloniale britannico e la divisione della Palestina in uno Stato palestinese e uno Stato ebraico. Questo processo divenne noto come la Nakba (Catastrofe).
I palestinesi si radunarono a Gaza, in Cisgiordania, a Gerusalemme Est e negli Stati arabi confinanti nella speranza di poter tornare presto alle loro case. Infatti, la risoluzione risoluzione 194 (1948) dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite affermava che “i rifugiati che desiderano tornare alle loro case e vivere in pace con i loro vicini devono essere autorizzati a farlo alla prima data praticabile e che deve essere loro versato un indennizzo”. Nulla di tutto ciò è mai avvenuto: i palestinesi stanno ancora aspettando quella “prima data praticabile”.
Nel settembre 1948, a Gaza i palestinesi organizzarono frettolosamente il Governo di tutta la Palestina, un tentativo in gran parte simbolico di esercitare la sovranità sulle loro terre rubate. Molti dei suoi funzionari, tra cui il primo ministro Ahmed Hilmi Pasha Abd al-Baqi (1882-1963) e il ministro degli Esteri Jamal al-Husseini (1894-1982), provenivano da famiglie palestinesi delle élite, la cui visione politica era stata plasmata dall’angoscia della loro grande rovina. In seguito agli accordi di armistizio del 1949, firmati tra Israele e gli Stati confinanti (Egitto, Libano, Giordania e Siria) dopo la guerra del 1948, la maggior parte del territorio non occupato da Israele passò sotto il controllo della Giordania e dell’Egitto: la Giordania controllava l’attuale Cisgiordania e Gerusalemme Est, mentre la Striscia di Gaza era amministrata dall’Egitto.
Nel 1967 Israele conquistò la Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza. Le forze di pace delle Nazioni Unite abbandonarono la regione. Almeno 750.000 palestinesi fuggirono dalle loro terre in questo secondo esodo, in seguito chiamato Naksa (battuta d’arresto). Nello stesso anno, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvò la risoluzione 242, che chiedeva a Israele di porre fine all’occupazione di queste tre regioni. Da quel momento in poi, le Nazioni Unite iniziarono a riferirsi formalmente a queste aree come “territori occupati da Israele dal 1967”. Nell’ottobre 1999, a seguito dell’istituzione dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari l’anno precedente, l’ONU ha adottato il termine “Territori palestinesi occupati” (Occupied Palestinian Territory, OPT) come denominazione ufficiale per riferirsi a Gaza e alla Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, facendo riferimento diretto al termine “territori occupati” utilizzato nella Quarta Convenzione di Ginevra del 1949. Secondo il diritto internazionale, questa designazione rende illegale la continua occupazione dei OPT da parte di Israele, compresi gli insediamenti in Cisgiordania, il muro che circonda la Cisgiordania, l’annessione di Gerusalemme Est e l’incarcerazione di Gaza.
Dall’ottobre 2023, Israele ha intensificato il genocidio contro i palestinesi a Gaza. Le azioni di Israele si sono intensificate anche in altre parti dei OPT – la Cisgiordania e Gerusalemme Est – sebbene non abbiano ricevuto l’attenzione che meritano a causa delle terribili violenze a Gaza. Tricontinental: Institute for Social Research ha collaborato con il Bisan Centre for Research and Development di Ramallah, Palestina, per produrre l’Allerta Rossa n. 19, Israel’s Crimes in the West Bank, sulla situazione in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Fin dalla sua fondazione nel 1989, il Centro Bisan, che si occupa in particolare dei diritti delle donne, è uno dei principali istituti di ricerca sociale in Palestina (il suo rapporto del 2011, ad esempio, è un testo fondamentale sulla violenza di genere nei Territori palestinesi occupati). In questa Allerta Rossa ci limiteremo a esporre i fatti – documentati dalle Nazioni Unite – relativi all’aggressione contro la società palestinese in questi settori dei Territori palestinesi occupati.
Oslo II e i Territori palestinesi occupati
Nel settembre 1995, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e il governo israeliano hanno firmato l’Accordo provvisorio israelo-palestinese sulla Cisgiordania e la Striscia di Gaza (Oslo II), che ha avviato un processo volto alla creazione di uno Stato palestinese adiacente a Israele in alcune parti dei Territori palestinesi occupati. Gli OPT rappresentano solo il 22% della Palestina storica (definita come il territorio che era sotto il mandato britannico). In altre parole, alle persone palestinesi è stato lasciato meno di un quarto della loro terra storica e, anche su quella terra, hanno poca o nessuna autorità. In seguito all’accordo provvisorio, la Cisgiordania è stata divisa in tre aree:
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Area A, che è tecnicamente sotto il pieno controllo civile e di sicurezza palestinese attraverso l’Autorità Palestinese, costituisce circa il 18% della Cisgiordania, ovvero il 3,96% della Palestina storica.
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Area B, sotto il controllo civile palestinese attraverso l’Autorità Palestinese, ma di fatto sotto il controllo di sicurezza israeliano, costituisce circa il 22% della Cisgiordania, ovvero il 4,62% della Palestina storica.
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L’Area C, completamente controllata da Israele, comprende oltre il 60% della Cisgiordania, ovvero il 13,42% della Palestina storica.
In pratica, secondo la logica di Oslo II – e dopo l’annessione di Gerusalemme Est e l’occupazione di Gaza – Israele controlla il 97% della Palestina storica.
Il soffocamento dei palestinesi in Cisgiordania
Le operazioni di Israele in Cisgiordania sono state progettate per rendere la vita delle persone palestinesi insopportabile. I controlli e le restrizioni alla libera circolazione hanno reso praticamente impossibile per i palestinesi istruire i propri giovani e dare lavoro agli adulti. Prima dell’ottobre 2023, Israele gestiva 590 posti di blocco e checkpoint in Cisgiordania, che da allora sono aumentati fino a quasi 900, causando un arresto quasi totale delle attività umane di base. È diventato impossibile per i palestinesi accedere all’acqua e alla terra per la produzione agricola, nonché all’acqua potabile necessaria per una vita dignitosa. La criminalizzazione da parte di Israele dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi (UNRWA) ha gravemente compromesso le sue operazioni, impedendo alle persone palestinesi rifugiate (circa un quarto dei palestinesi che vivono in Cisgiordania) di accedere all’istruzione di base, alla sanità e ai servizi per l’occupazione.
Sfollamento e confisca
Israele sta compiendo una pulizia etnica in Cisgiordania, ricorrendo a tattiche quali sparatorie, pogrom, violenze sessuali e distruzione di case e fattorie per espellere ancora più rapidamente le persone dalle loro terre. Dall’inizio dell’operazione “Muro di ferro” nel gennaio 2025, l’esercito israeliano ha sfollato con la forza 8.255 famiglie palestinesi dalle loro case nei campi profughi di Jenin (3.840 famiglie sfollate), Nur Shams (1.910 famiglie sfollate) e Tulkarm (2.505 famiglie sfollate). Queste famiglie sono i discendenti diretti dei rifugiati palestinesi che sono stati vittime di pulizia etnica dalle loro case durante la Nakba del 1948 e a cui è stato negato il diritto al ritorno da allora. Oltre a questi campi profughi, le forze di occupazione israeliane – che comprendono sia l’esercito israeliano ufficiale che i coloni israeliani armati – hanno cacciato 28 comunità palestinesi dalle loro terre tra gennaio 2022 e settembre 2023 e hanno distrutto oltre 3.500 strutture, tra cui case, stalle e cisterne d’acqua in Cisgiordania tra ottobre 2023 e aprile 2025.
Morte, arresti e torture
Dall’ottobre 2023, le forze di occupazione israeliane hanno ucciso circa 900 palestinesi in Cisgiordania, tra cui almeno 190 bambini, e ferito altri 8.400. Questi numeri sono probabilmente più alti, data la mancanza di organizzazioni umanitarie in grado di documentare adeguatamente le violenze perpetrate da Israele in un’area le cui istituzioni sono state profondamente colpite dal genocidio e dall’occupazione in corso. Dalla fine del 2023, le forze di occupazione israeliane hanno arrestato 15.000 palestinesi, molti dei quali con la qualifica di “detenzione amministrativa”, che non richiede un’accusa formale (anche queste cifre sono probabilmente sottostimate a causa delle severe restrizioni alla rappresentanza legale). Dal 7 ottobre 2023, sono stati documentati più di 65 casi di palestinesi uccisi nelle prigioni, nei centri di detenzione e nei campi di concentramento israeliani. La violenza sessuale è all’ordine del giorno in questi campi.
Il Bisan Centre for Research and Development, l’Assemblea Internazionale dei Popoli e Tricontinental invitano le persone intellettuali, i gruppi della società civile e le organizzazioni politiche e sociali a prestare molta attenzione agli sviluppi non solo a Gaza, ma anche in altre parti dei Territori Palestinesi Occupati. Il genocidio e i crimini contro l’umanità in corso non possono essere ignorati né lasciati impuniti.
Fadwa Hafez Tuqan è nata nella città palestinese di Nablus (Cisgiordania) nel 1917. Quando è morta, nel 2003, la sua città era sotto il controllo militare israeliano. Il poeta Mahmoud Darwish le ha dedicato un elogio funebre che rifletteva su come Tuqan, come tante altre e tanti altri, abbia dovuto scrivere poesie di fronte agli eventi sconvolgenti del 1948 e del 1967. “Cosa fa il poeta in un momento di catastrofe?”, si chiedeva Darwish. “Improvvisamente, il poeta deve uscire da se stesso e rivolgersi all’esterno, e la poesia è la testimone”. Una delle sue poesie più celebri è Il gabbiano e la negazione della negazione, pubblicata il 15 novembre 1979 su Attali’ah, un settimanale di Gerusalemme che dal 1977 al 1995 ha dato voce alla sinistra palestinese.
Ha attraversato l’orizzonte e diviso l’oscurità,
padroneggiando l’azzurro, sfrecciando su ali di luce –
Girando, rigirandosi e ancora girando.
Bussò alla mia finestra buia e il silenzio ansimante tremò:
“Uccello, porti buone notizie?”
Mi rivelò il suo segreto, ma
non disse una parola.
Poi il gabbiano scomparve.
Uccello, mio uccello marino, ora so
Che nei momenti difficili, in piedi nel tunnel del silenzio,
Tutto cambia.
I semi germogliano anche nel cuore dei morti,
Il mattino irrompe dall’oscurità.
Ora lo so,
Mentre sento il galoppo dei cavalli, il richiamo della morte lungo le rive,
Che quando arriverà il diluvio,
Il mondo sarà purificato dai suoi dolori.
Uccello, mio uccello marino, che sorgi dalle profondità dell’oscurità,
Che la benedizione di Dio sia su di te per le buone notizie che porti.
Perché ora lo so
Qualcosa è successo… l’orizzonte si è aperto e la casa ha accolto la luce del giorno.
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della diciannovesima newsletter (2025) di Tricontinental: Institute for Social Research.
Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.