Prospettive per potere al popolo all’indomani delle elezioni.
di Joseph Condello, Marco Nebuloni, Alessandro Pascale, Chiara Pavan, Chiara Pollio, Paolo Rizzi, Emanuele Salvati, Marcello Simonetta, Carmine Tomeo, Lia Valentini
I risultati elettorali e le scelte dei “nostri”
Le elezioni del 4 Marzo hanno portato la sinistra di classe e i comunisti a una dimensione marginale mai vista nella storia della Repubblica. Dalla nostra destra, questo risultato viene usato strumentalmente per tornare a proporre l’unità generica della sinistra, genericamente antiliberista o, peggio, socialdemocratica europeista. Da sinistra, il risultato ottenuto viene attaccato per la presunta inadeguatezza, in particolare della lista Potere al Popolo (PaP da ora), a leggere adeguatamente la fase storica che la classe lavoratrice sta vivendo.
Registriamo la tenuta dell’affluenza, il ridimensionamento dei partiti europeisti e il forte consenso alle forze “populiste” come un segno di ribellione nel nostro Paese tra le classi popolari, non ancora del tutto passive e omologate, ma al contempo soggiogate alla dialettica in seno alle classi borghesi.
A livello generale, il risultato ha reso molto chiaro uno spostamento a destra dell’elettorato, ora su posizioni tendenzialmente anti-establishment e anti-europee, ma anche con venature fortemente antidemocratiche, razziste e xenofobe. Questo è un cambiamento culturale e delle coscienze che non è avvenuto il giorno delle elezioni, ma che si è sviluppato nel tempo. Da un lato, se dovesse materializzarsi una maggioranza parlamentare a traino leghista si permetterà alle classi dominanti di affiancare facilmente politiche economiche e sociali antipopolari a delle più aggressive politiche di repressione del dissenso e delle diversità. Non solo: le primissime vicende di cronaca post-elettorale a sfondo razzista, rendono ormai evidente la generale legittimazione di queste posizioni.
Dall’altro, in caso di governo a trazione 5Stelle, nonostante un programma statalista e assistenzialista, assisteremo prima alla realizzazione di misure di tamponamento del disagio sociale e poi alla normalizzazione nei vincoli della compatibilità e della stabilità europea. La classe padronale e i portavoce degli interessi euroatlantici hanno già dichiarato il proprio consenso a tale opzione di governo, condannandola allo scollamento col consenso popolare.
In questa fase è chiaro che contro il processo di stabilizzazione a destra del Paese tutti noi abbiamo ereditato delle armi politiche e ideologiche inadeguate. Viviamo in una fase in cui, da un lato, i rapporti di forza sono completamente sbilanciati a favore delle classi dominanti e, dall’altro, la conflittualità sembra aver raggiunto il minimo di coscienza di classe. Ogni proposta politica che le forze progressiste, prima che comuniste, faranno dovrà prendere in considerazione questo contesto, a meno di non voler restare nella marginalità politica e sociale in cui siamo stati condotti.
Genesi, direzioni e aspettative intorno a PaP
ll risultato di PaP è stato per alcuni deludente. Il messaggio della lista non è riuscito a intercettare le masse popolari che non lo hanno colto così come è stato trasmesso. Va anche riconosciuto che la pratica delle iniziative e delle assemblee, fruttuosa nella fase di costruzione del soggetto, non è riuscita a coinvolgere singoli e strati popolari non politicizzati non risultando adatta per presentarsi all’elettorato in senso generale.
Anche i contenuti del programma hanno evidenziato luci e ombre. Alcune posizioni, del tutto razionali e in linea con la proposta storica dei comunisti in questo Paese, in questa fase di imbarbarimento difficilmente potevano essere percepite come popolari. Ciò dovrà essere colto come spunto di ragionamento rispetto alla necessaria costruzione di un senso comune alternativo all’idea dominante di società.
Se non ha avuto effetti di massa, PaP si è tuttavia posto con successo nell’ottica di riunire i militanti. Si è effettivamente prodotto uno scarto rispetto a esperienze precedenti, che puntavano ad agganciare il ceto medio riflessivo oggi rivoltosi ad altri soggetti. ciascuno di noi ha sperimentato che PaP ha riattivato e ha (ri)portato al voto militanti di cui avevamo a volte perso le tracce.
PaP ha avviato un percorso per restituire soggettività e protagonismo alle classi subalterne, andando oltre l’autoreferenzialità elettorale. Questa lista è stata il primo vero esperimento di aggregazione di forze anticapitaliste a maggioranza comuniste, con l’obiettivo di proseguire nel lungo termine la ricostruzione di un blocco sociale.
Per la prima volta da “La Sinistra, l’arcobaleno”, la parola “unità” significa confronto di ampio respiro su temi, programmi e prospettive per rilanciare la lotta di classe in questo Paese, senza addentrarsi in dinamiche verticistiche, che annacquino i contenuti, le pratiche e la visione ideologica di fondo. Tra le forze comuniste, i sindacati conflittuali, i soggetti promotori di Eurostop, i collettivi, le realtà autorganizzate e i movimenti sociali sarà fondamentale rafforzare progressivamente i legami, per evitare una deriva formalistica e autoreferenziale del progetto e per realizzare effettivamente il processo di aggregazione.
D’altro canto, è chiaro come dentro PaP si stia producendo una dialettica sui temi del conflitto e del processo di rottura europea. In questo dibattito sono entrate organizzazioni e soggettività nuove rispetto ai confronti elettorale passati, nei quali questi temi sono stati bloccati a lungo. Durante questa campagna ci sono state alcune realtà, principalmente urbane, in cui PaP è riuscita ad assumere pratiche e discorsi innovativi. Iniziative centrate sui bisogni delle periferie, azioni emblematiche, parole d’ordine di rottura. La campagna elettorale in questi luoghi ha prodotto risultati positivi. Da qui si può ripartire per generalizzare questo approccio. Bisogna analizzare i motivi per cui tutto ciò è rimasto confinato a pochi territori. Crediamo si debba scavare oltre le motivazioni riguardanti i tempi ristretti di una campagna partita in gran ritardo e analizzare perché non si sia riusciti a spezzare le abitudini, il discorso e le reazioni automatiche della cosiddetta “sinistra radicale”.
La proposta: riunire la classe, costruire il blocco sociale e lanciare l’alternativa
La necessità di un soggetto politico antagonista e conflittuale, inteso come organizzazione della parte più avanzata delle classi subordinate, coscientemente impegnata a costruire un cammino verso un’alternativa di società, – in poche parole, la necessità di un soggetto comunista – è anche la necessità di riannodare i fili del conflitto di classe. Tanto questo lavoro è difficile, quanto è necessario che le nostre elaborazione teoriche e le nostre prassi siano continuamente in relazione e verificate tra di loro. Crediamo che PaP sia lo spazio in cui questo si può produrre.
A oggi esiste certamente il rischio che, se le forze più conflittuali che esistono dentro Pap lasciano la presa, dividendosi tra loro o facendo dei passi indietro, altri provino ad annacquare il progetto, ampliandolo a proposte riformiste e trasformandolo in un ennesimo tentativo di “lista di sinistra” fallimentare in partenza. Riteniamo che PaP debba invece impegnarsi in un percorso inclusivo dei conflitti da un lato e delle fasce popolari dall’altro. Questa è la nostra nostra proposta per PaP: da un lato, diventare organizzatore delle mobilitazioni conflittuali che già esistono; dall’altro promuovere interventi nelle fasce popolari che ancora non lottano e che reagiscono alla crisi ascoltando le sirene di securitarismo, xenofobia e qualunquismo.
1) L’approfondimento della relazione coi sindacati conflittuali e il radicamento nella realtà quotidiana della classe sono passaggi strategici e indispensabili per la riunificazione della classe e la costruzione del blocco sociale. Siamo infatti convinti che, seguendo Lenin, il primo intervento rivolto alla classe che lotta sia il passaggio dalla rivendicazione economica a quella politica. Questo passaggio è già nelle elaborazioni di alcuni sindacati che non a caso hanno contribuito alla campagna di PaP. Il nostro compito è quindi connettere le vertenze, in particolare quelle negli stessi settori. Questo è l’unico modo per rafforzare le rivendicazioni della corrente classista che dobbiamo ricomporre all’interno del movimento dei lavoratori.
PaP dovrà organizzare le RSU aderenti al progetto su un percorso di rivendicazioni, basandosi sul conflitto sui luoghi di lavoro e mirando a far saltare gli opportunismi e le contraddizioni nelle relazioni sindacali, per rafforzare il sindacalismo di classe e ridare all’organizzazione dei lavoratori il proprio ruolo strategico e storico.
Il percorso sui luoghi di lavoro deve essere affiancato a un’attività volta all’unificazione della classe, a partire dai suoi membri più isolati e sotto attacco. Per questo proponiamo sia di generalizzare la pratica degli sportelli lavoro e casa nelle aree urbane – in collaborazione con USB, Clash City Workers e ASIA – sia di riavviare la pratica dell’inchiesta, per pianificare attività specifiche che ci pongano come punto di riferimento per la classe.
Soprattutto dove il lavoro di organizzazione del conflitto è più arretrato, le energie vecchie e nuove di PaP devono essere spese in una militanza politica fuori dai cancelli delle fabbriche e dei luoghi di lavoro, con funzioni di investigazione, di denuncia politica e di sostegno delle vertenze.
2) In base ai problemi specifici delle diverse aree d’azione, dovremo studiare, attuare e verificare altre pratiche di indagine e di intervento sociale e politico. Nei quartieri abbandonati a se stessi proponiamo un ritorno alle attività di “casa del popolo”, declinate secondo le esigenze attuali.
L’inchiesta e la conoscenza della quotidianità locale sono la base per queste pratiche, ma queste devono essere anche finalizzate politicamente. La verifica del lavoro svolto deve avere come primo criterio proprio la capacità di produrre politicizzazione. Il mutualismo non deve esistere di per sé, sviluppandosi come mera risposta solidale all’assenza dei servizi e alle condizioni di vita generate dall’attacco capitalistico, ma per riaffermare il ruolo che secondo i comunisti il Pubblico e la Politica devono avere a sostegno delle classi popolari, senza distinzioni di etnia e sesso.
3) La mancanza di lavoro dei comunisti sul terreno sociale e popolare è uno dei fattori che ha permesso a forze esplicitamente fasciste di trovare insediamento, minimo ma reale, nei quartieri popolari attraverso metodi e un’immagine assistenzialista e corporativista.
Sono diventati evidenti anche i limiti delle pratiche antifasciste, che troppo spesso abbiamo attuato senza porci il problema della costruzione del consenso nelle classi popolari. Da un lato, va riconosciuto come l’antifascismo istituzionale abbia ormai esaurito il suo ruolo. Dall’altro, troppo spesso l’antifascismo militante non è riuscito a spezzare la narrazione degli opposti estremismi. Con nessuno di questi due strumenti siamo riusciti a bloccare la diffusione del fascismo tra le classi popolari. Alcune volte sono state le istituzioni e l’apparato ideologico della borghesia a sfruttare il conflitto antifascista per legittimare la repressione del conflitto in senso generale.
Proponiamo quindi che PaP individui i territori su cui avviare il lavoro di intervento sociale, costruzione del consenso e politicizzazione anche partendo da quelli dove le organizzazioni neofasciste sono riuscite a mettere piede.
4) Dobbiamo controbattere alla risposta che le forze reazionarie e demagogiche danno alla questione dell’immigrazione, affrontandola organicamente in ottica di classe e recuperando, anche su questo tema, un ruolo egemonico tra gli strati popolari. Il capitale ha creato un esercito industriale di riserva e le destre reazionarie e liberali ne approfittano per ridurre i diritti e i salari dei lavoratori e per accrescere i propri consensi con proposte razziste. La nostra risposta va elaborata in collegamento con le forze sindacali che organizzano i lavoratori immigrati in lotta, ma anche con interventi nei quartieri popolari in cui più forti sono i fenomeni di lotta tra i poveri. Dobbiamo tradurre in pratica l’idea che i diritti degli immigrati corrispondono ai diritti dei lavoratori italiani.
5) Infine, crediamo sia necessario elaborare un dibattito teorico tra i comunisti che faccia un salto di qualità, perché riteniamo fondamentale che l’avanzamento della prassi si accompagni ad una battaglia delle idee. Abbiamo accumulato negli ultimi anni un’elaborazione sul processo di integrazione europea, sull’analisi dei nuovi fenomeni di imperialismo e sulla storia dei movimenti comunisti, ora dobbiamo portare la nostra attenzione sulla condizione del lavoro e dei lavoratori, sul loro coinvolgimento all’interno del conflitto. La verifica continua di pratica e teoria va portata avanti sia attraversi i mezzi di comunicazione esistenti sia attraverso l’organizzazione di giornate di confronto dal vivo.
Occorre fare un salto di qualità, alzare l’asticella. Bisogna fornire alla classe adeguati dirigenti, in grado di interpretare la realtà attraverso i corretti parametri ideologici. Bisogna tornare a costruire rapporti organici con gli intellettuali marxisti, sviluppare una forte formazione ideologica dei militanti e dei dirigenti politici, ricomporre l’intellettuale collettivo, tornare a portare sul terreno dell’azione politica nazionale i tanti centri di studio del marxismo che resistono in Italia sotto forma di associazioni culturali.
Attualizzare e riconfermare le teorie e la storia dei movimenti rivoluzionari internazionali ci darà i mezzi per confrontarci con la realtà e i suoi cambiamenti. Rottura europea, lavoro, nuove strutture imperialistiche, analisi di classe sono alcuni dei temi che devono emergere dalla “battaglia delle idee”.