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Cosa abbiamo da perdere?

Hanno salvato 218 vite esposte a due alternative: la morte in mare su gommoni alla deriva o finire catturati dalla sedicente Guardia costiera libica, finanziata dall’UE, per essere riportati nelle mani di aguzzini usi a chiedere un riscatto, a torturare, a stuprare a rinchiudere in centri di detenzione.

In un mondo normale sarebbero stati chiamati “eroi”, oggi invece come ormai noto perché anche la stampa mainstream ha sussultato, sono accusati di “associazione a delinquere” e la loro imbarcazione è stata sequestrata con un atto di vera e propria pirateria giuridica.

In una affollata conferenza stampa ieri pomeriggio Oscar Camps, fondatore dell’Ong spagnola Proactiva Open Arms, che dal 2016 con 3 imbarcazioni ha tratto in salvo circa 25 mila persone, Riccardo Gatti, (Coordinatore in Italia dell’Ong), l’ormai ex senatore Luigi Manconi e l’avvocato Alessandro Gamberini, hanno raccontato di una vicenda assurda che potrebbe divenire normalità fino a quando verranno tollerati i comportamenti di governi e procure simili.

Nel corso della conferenza sono stati ricostruiti in maniera precisa e puntuale i vari passaggi che hanno portato a questa assurda montatura. Una settimana fa, alle 3 di notte del 15 marzo, la Pro Activa, battente bandiera spagnola e attrezzata per il soccorso in mare riceve una chiamata dall’MRCC di Roma, la Guardia costiera italiana, che li mette in allarme per 3 natanti in difficoltà a 74 miglia dalle coste libiche.

Gli operatori della nave si mettono immediatamente in azione, salvano i 117 presenti nel primo gommone, incontrano il secondo già svuotato e raggiungono il terzo, con altre 101 persone a bordo. Durante le operazioni di soccorso vengono intercettati da unità della “Guardia costiera libica”, già resasi protagonista nello scorso novembre, del pestaggio di migranti “soccorsi”.

I militari libici chiedono la consegna di tutti i fuggitivi, “altrimenti vi spariamo” ripetono, dando 3 minuti di tempo per obbedire a tale intimazione, peraltro in acque internazionali. Gli operatori della Ong propongono ai libici di interloquire con i propri omologhi italiani, dopo un tira e molla, finalmente la nave può allontanarsi con tutti i richiedenti asilo a bordo in salvo.

Alcuni si erano già gettati in mare, preferendo la morte al ritorno in Libia. Ma a quel punto inizia un nuovo, assurdo, tentativo di allontanare la nave. Interpretando addirittura in maniera forzata il già assurdo Codice di condotta per le Ong realizzato dal ministro Minniti. Il Codice, peraltro firmato anche dalla Ong spagnola e privo di valore di legge ma più simile a scrittura privata, ha contribuito a togliere dalle acque libiche potenziali soccorritori, lasciando ad ex trafficanti, oggi in divisa il compito di riprendere chi scappava.

Ma detta scrittura, in caso di salvataggio in acque internazionali chiedeva l’”impegno” dei soccorritori, a rivolgersi alle autorità del proprio paese di provenienza, contemporaneamente si rammentava il “dovere” che attiene ad un impegno gerarchicamente primario, ad operare i salvataggi. Alla Open Arms veniva chiesto di rivolgersi alla Spagna affinché venisse rivolta all’Italia una richiesta formale per garantire un porto di approdo. Mai accaduto, ma non solo. Mentre si provvedeva a portare in salvo a Malta una madre con figlio piccolo gravemente malato (Malta non avrebbe accettato di accogliere i profughi), iniziava un lento stillicidio di notizie che teneva bloccati in mare equipaggio e 218 persone stremate per ulteriori 48 ore.

Come ha spiegato l’avvocato che sta seguendo la situazione, veniva garantita la possibilità di attraccare a Pozzallo (provincia di Ragusa) la nave e di lasciar sbarcare le persone a bordo. Il comandante della nave ed alcuni dell’equipaggio venivano interrogati come persone informate dei fatti. Secondo un percorso non chiaro invece di procedere al limite ad una indagine per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, che sarebbe ricaduta sulla procura di Ragusa, gli atti con i verbali sono stati inviati alla procura di Catania, nelle mani di quel Carmelo Zuccaro che sta conducendo una guerra, forse anche personale, contro le Ong.

La procura a questo punto ordinava il sequestro della nave in base all’accusa di “associazione a delinquere” per cui veniva interessata la DDA (Direzione Distrettuale Antimafia) di Catania che ha poteri anche nel ragusano. In tempi brevi si dovrà confermare o meno la validità del sequestro, intanto un’altra nave dopo la Iuventa (della Ong tedesca Jugend Rettet) che da 9 mesi è bloccata a Trapani, non può più agire come mezzo di soccorso. Insieme alla nave sono stati sequestrati i cellulari e i computer degli interrogati.

Proactiva ha già inviato nel Mediterraneo Centrale un’altra sua imbarcazione l’Astral, mentre la sola nave di una Ong (SOS Mediterranèe) rimasta nei pressi della Libia è l’Aquarius. Nell’accusa a Proactiva, si insiste sul fatto che andava rispettata, in acque internazionale la zona di intervento SAR (Search And Rescue) attinente alla Libia. Peccato che il governo di Tripoli, riconosciuto e finanziato dall’UE, abbia da mesi annunciato di non poter garantire il controllo di una zona di salvataggio così ampia. Ma dalla Libia si continua a partire e a morire: c’è chi viene rigettato nel deserto del Niger, chi muore nei centri di detenzione e chi continua a tentare la fuga in mare.

Nel 2016, il rischio di morire, ricorda il Comitato per i nuovi desaparecidos, era di una persona su 68, quest’anno di “sicurezza” la percentuale è salita a uno su 28. I risultati “mirabolanti” del lavoro sporco di Minniti verranno certamente usati dai Salvini o dai Di Maio di turno per dimostrare di avere altrettanto a cuore le frontiere della Fortezza Europa. Si realizzeranno altre misure, si continueranno ad elargire soldi ad assassini chiamati presidenti come Erdogan, in Turchia, piuttosto che Al Bashir in Sudan, o ai mercenari libici a cui ormai l’Italia versa uno stipendio per vigilare tanto sui centri di detenzione quanto sui compound petroliferi.

Ma non riusciranno a mettere un filo spinato sul mare. Fino a quando le politiche imperialiste europee non cambieranno e migrare non sarà una costrizione ma una scelta, ci sarà sempre chi troverà il modo di “bruciare le frontiere”. E per chi come coloro che vanno in mare a salvare le persone a proprio rischio, per chi soccorre in montagna come è accaduto ad una guida alpina che si è imbattuto in una donna in avanzato stato di gravidanza a 1900 mt di altezza, o per chi offre cibo, riparo, assistenza, anche un semplice the caldo, il rischio di ritrovarsi con una accusa simile a quelli della Pro Activa (pena fino a 7 anni) è molto forte. E allora si scelga di rischiare disobbedendo all’ordine costituito e restando in questo fedeli alle leggi del mare, della montagna, alle costituzioni, che non si possono utilizzare in base al consenso che portano in chiave elettorale. Ci si schieri senza se e senza ma, non dalla parte di vittime inconsapevoli, ma da quella di uomini e donne che stanno cercando, con ogni mezzo, di cambiare il proprio destino, sapendo che per costoro è in gioco la vita, per noi che ne possiamo scrivere, l’opportunità di cambiare o meno questo mondo.

Cosa abbiamo da perdere? Hanno creato il “reato di solidarietà”, intendiamo forse lasciarlo diventare accettabile?

Stefano Galieni (Resp. Immigrazione Prc S.E.)

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