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Crollo del ponte Morandi a Genova. Nazionalizzazione e controllo popolare sulla rete autostradale

Crollo del ponte Morandi a Genova: Siamo sconvolti, addolorati, ma anche arrabbiati!

Esprimiamo tutta la nostra vicinanza alle famiglie delle vittime e alla popolazione di Genova. Siamo sconvolti, addolorati, ma anche arrabbiati. I comitati di cittadini per la difesa del territorio da tempo chiedevano che si intervenisse su quel ponte, che invece di nuove grandi opere si facessero controlli seri… Restavano sempre inascoltati.

La tragedia di Genova non viene dal nulla e non può essere minimizzata, come pure molti si affannano a fare in queste ore. È il risultato del disinteresse della politica verso le istanze dei cittadini, di un sistema di costruzione che mette al centro i profitti, di una privatizzazione senza regole né logica della rete autostradale, che ha messo in mano “ai privati” un monopolio costruito con soldi pubblici e senza possibile concorrenza.

Il sistema delle “concessioni” – la “proprietà” resta pubblica, ma la gestione è privatissima – è una foglia di fico sotto la quale sono nati frutti assassini. Oggi Repubblica scrive che Autostrade per l’Italia nel 2009 aveva detto che quel ponte “potrebbe star su altri cento anni a fronte di una manutenzione ordinaria con costi standard”…

Crediamo che solo il controllo pubblico e popolare, la nazionalizzazione della gestione di tutte le tratte autostradali può permettere di tutelare la sicurezza dei viaggiatori, sottraendola ai condizionamenti degli interessi finanziari privati. Una nazionalizzazione da attuare senza alcun indennizzo, naturalmente, visto che i profitti accumulati dai “gestori” – dal 1999 ad oggi – sono ben più alti.

Su questo punto sfidiamo quanti oggi si stracciano le vesti, puntando solo ad allontanare da sé – ognun per sé – la ricerca delle responsabilità. In primo luogo quelle politiche. Se non lo faranno neanche dopo questa tragedia, dimostreranno di essere assolutamente uguali ai governi che li hanno preceduti:

– attentissimi alle esigenze delle grandi imprese che pretendono “grandi opere” invece che manutenzione del territorio;

– obbedienti alle direttive dell’Unione Europea per cui ogni risorsa deve essere sacrificata alla “riduzione del debito”;

– ipocriti che fanno finta di provare dolore ma già pensano ai contratti “per la ricostruzione”. Siamo stanchi di piangere “tragedie”.

Non è possibile che i profitti contino più della vita delle persone. Vogliamo avere il potere di decidere noi quali opere ci servono e non le imprese o gruppi multinazionali in combutta con la politica. Nel frattempo, i responsabili devono pagare.

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