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[EMILIA ROMAGNA] LA VERA EMERGENZA È IL TAGLIO DELLA SANITÀ PUBBLICA

Considerazioni politiche sull’emergenzialità del “coronavirus”

Prima di ogni considerazione di tipo politico, è bene fare un punto pratico della situazione che sta vivendo l’Italia, in particolare al Nord, dai primi casi di infezione del virus. Innanzitutto dobbiamo giocare la carta della razionalità, in un contesto social e mediatico in cui si rischiano di polarizzare due visioni specularmente folli: il virus è una “gran brutta influenza”, che ha una capacità di diffusione assai maggiore a un’influenza normale, data dal suo elemento di novità. Non siamo dunque dentro un film dell’orrore e l’umanità non è a rischio. Dall’altra parte però, la contagiosità di questo virus richiede una gestione sociale molto più attenta di una normale influenza proprio per tutelare la salute delle fasce più deboli, a partire dagli anziani: non siamo disposti a tollerare una visione per cui non dovremmo prendere misure adeguate “tanto muoiono solo gli anziani e i malati”, che lasciamo volentieri ai vampiri di pensioni.

In tutto questo, Potere al Popolo farà la sua parte adattando le proprie iniziative e manifestazioni, senza accettare in nessun modo la chiusura dell’attività politica per l’emergenzialità, ma anzi sapendo mettere in campo reti di solidarietà attiva per la gestione dei problemi quotidiani che si stanno trovando ad affrontare le persone (a partire dai lavoratori che non possono mandare i figli a scuola). E ovviamente, è nostro compito rilanciare un ampio ragionamento su temi politici che stanno “esplodendo” in questi giorni e che dovremo avere la forza di continuare anche quando l’emergenza sarà finita, e questi temi silenziati.

È evidente come il primo tra questi temi sia la gestione istituzionale e il ruolo della sanità pubblica.

L’Italia è l’unico paese europeo ad avere chiuso i voli dalla Cina, e si trova a essere quello più colpito. La decisione è stata presa su basi puramente ideologiche e antiscientifiche, evidentemente per rispondere all’incalzare delle pressioni di Salvini per “chiudere le frontiere” più che per una ragionata funzione di limitazione del contagio. Come fa notare Walter Ricciardi (OMS), questo ha fatto sì che non sia stato possibile tracciare gli arrivi (dato che i viaggiatori possono aggirare il divieto facendo scalo in altre località) per gestirli adeguatamente (attraverso la quarantena). Inoltre, evidentemente sempre sulle stesse basi ideologiche, non si è minimamente pensato di controllare i viaggiatori italiani di ritorno dalla Cina, decisione totalmente irragionevole di cui vediamo gli effetti. Sempre Ricciardi spiega un altro punto di forza degli altri paesi europei rispetto all’Italia: una catena di comando diretta, a partire dalla sanità, mentre in Italia le regioni si sono mosse, e continuano a muoversi, in ordine sparso.

Quest’ultimo punto è la triste dimostrazione che si manifesta nell’emergenzialità di un problema strutturale che stiamo denunciando da molto tempo: 21 servizi sanitari differenti non fanno che indebolire la sanità pubblica, differenziando i sistemi e quindi la qualità delle prestazioni, sancendo così il fatto che gli Italiani non sono tutti uguali nell’accesso alle prestazioni sanitarie. Ed è per questo che denunciamo con forza il progetto di Autonomia Differenziata, che non farebbe che aggravare queste disuguaglianze alimentando la “meritocrazia” per cui i sistemi sanitari migliori otterranno più soldi, mentre quelli più in difficoltà, invece che venire aiutati, verranno lasciati morire. Ma con l’autonomia differenziata si rischia di accelerare anche un altro processo, quello della privatizzazione selvaggia della sanità al nord, di cui Lombardia e Veneto sono evidentemente l’avanguardia, e verso cui l’Emilia-Romagna si sta proiettando già da anni.

Lo ha sintetizzato bene Giorgio Cremaschi in poche righe: “35 miliardi di tagli alla sanità pubblica in 10 anni hanno distrutto il Servizio Sanitario Nazionale, mentre la regionalizzazione ha voluto dire privatizzazione della sanità. Ora vediamo che la sanità privata nelle emergenze non esiste e quella pubblica tagliata massacra di turni chi ci lavora. L’emergenza CoranaVirus serva ad affrontare questo. Ricostruire la Sanità Pubblica di Stato.”

Anche in Emilia-Romagna, si sono destinati sempre più fondi pubblici alle strutture private (convenzionate e non) togliendoli dalla sanità pubblica. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: in un contesto -ripetiamo- non di emergenza di una pandemia mortale ma di una severissima influenza con ampio contagio, assistiamo alla completa latitanza delle strutture private (ovviamente, loro devono solo preoccuparsi dei loro profitti!), e un sistema pubblico già a rischio collasso nei primissimi giorni, in cui i lavoratori della sanità stanno dimostrando del vero e proprio eroismo, ma un eroismo imposto dai tagli al personale e alle strutture! Il rischio primario di un’ulteriore diffusione del contagio sarà proprio quella di mettere in ginocchio la sanità pubblica, che tutti gli esperti ci dicono non più capace, per personale e numero posti letto, di potere sostenere un aumento del numero dei malati da curare.

Se usciamo dal campo dell’emergenzialità del CoronaVirus, il quadro rimane ugualmente desolante. Sempre Riccardi (OMS) nel marzo del 2019 diceva: “C’è una strage in corso, migliaia di persone muoiono ogni giorno per infezioni ospedaliere, ma il fenomeno viene sottovalutato, si è diffusa l’idea che si tratti di un fatto ineluttabile. In 13 anni, dal 2003 al 2016, il tasso di mortalità per infezioni contratte in ospedale è raddoppiato sia per gli uomini che per le donne. L’aumento del fenomeno è stato osservato in tutte le fasce d’età, ma in particolar modo per gli individui dai 75 anni in su. Questo ci dimostra della gravissima crisi della sanità pubblica già in un contesto di “normalità”.

Bisogna pertanto rilanciare immediatamente, e a lungo termine, una mobilitazione che ponga le questioni dell’importanza della sanità pubblica, dello stop alla privatizzazione in ogni sua forma (finanziamenti ai privati, esternalizzazione dei servizi, trasferimenti alle assicurazioni e al “welfare aziendale”) e di una sanità uguale per tutti, contro ogni nuova forma di differenziazione regionale.

Dobbiamo inoltre fare una prima riflessione sulla gestione locale rispetto alle ordinanze nelle regioni del nord, a cui dovranno seguirne altre anche, evidentemente, in base agli sviluppi di queste nelle prossime settimane.

L’idea generale è quella di evitare grandi assembramenti di persone, sia in ambienti chiusi (dove le probabilità di contagio sono maggiori) sia aperte. Si sono chiuse pertanto scuole e università, cinema e teatri, vietate le manifestazioni sportive e politiche. In quest’ottica, è di difficile comprensione perché si tengano aperte le biblioteche, o perché ad esempio a Milano si chiudano i bar ma solo dalle 18. Inoltre, pur comprendendo la necessità di garantire a tutti la possibilità di fare la spesa, perché si sta del tutto ignorando il potenziale rischio di contagio dei supermercati e dei centri commerciali?

Infine, un altro problema che si rende evidente in questa condizione particolare ma che ha delle radici profonde è quello dei lavoratori precari nel pubblico che, come allerta giustamente il sindacato USB, rimangono senza salario: la richiesta immediata è che il salario venga riconosciuto ugualmente, ma bisogna anche in questo caso sapere portare avanti un ragionamento politico sui lavoratori precari, che non possono essere trattati da cuscinetto economico per ogni problema che si pone.

La sfida che ci si pone davanti è complessa, ma spetta a noi sapere portarla sul terreno politico. L’emergenza fa esplodere i problemi che abbiamo sempre denunciato, e per cui abbiamo risposte così semplice da sembrare ovvie: sanità pubblica di qualità per tutti, lavoro di qualità per tutti.

E anche di fronte a questa sfida non ci tiriamo indietro, e già nei prossimi giorni metteremo in campo una serie di iniziative e proposte sia per affrontare questo contesto particolare, sia per potere proseguire dopo.

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