Venerdì scorso si sono tenute in Irlanda le elezioni europee, accoppiate alle elezioni locali e ad un referendum costituzionale sulla questione del divorzio. Il conteggio è ancora in corso e i risultati definitivi non arriveranno prima della metà della settimana, per via del sistema elettorale irlandese piuttosto complesso. L’unico dato certo è quello sul referendum sul divorzio, dove l’82 per cento dei votanti si è espresso a favore di un allargamento della restrittiva legge sul divorzio votata con un altro referendum solo nel 1995. Al di là di questo segnale di ulteriore secolarizzazione della società irlandese, dopo l’importante referendum sull’aborto del maggio 2018, è possibile comunque dare una prima valutazione politica sul voto irlandese sulla base di exit poll, proiezioni e primi risultati dal conteggio.
Il principale dato politico che emerge è il ritorno sulla scena del partito dei verdi. Il partito ecologista esiste in Irlanda da diversi anni, ma era praticamente scomparso dalle elezioni del 2011, in cui gli elettori avevano giustamente punito la partecipazione ad un governo di coalizione insieme al partito di centro-destra Fianna Fáil che aveva implementato durissime politiche di austerità prima dell’arrivo della Troika a Dublino a fine 2010. I verdi hanno ottenuto una cinquantina di consiglieri locali e soprattutto dovrebbero essere in grado di eleggere due europarlamentari, su un totale di undici seggi espressi dall’Irlanda (tredici se e quando Brexit dovesse avvenire). Il candidato dei verdi CiaránCuffe è stato il primo degli eletti nella circoscrizione di Dublino (l’unica su cui si abbiano già i dati definitivi), sopravanzando l’ex ministro della giustizia Frances Fitzgerald, candidata di punta del Fine Gael, partito di centro-destra attualmente al governo.
Questo risultato appare in linea con il trend registrato dai partiti ecologisti nel resto d’Europa (con exploit registrati ad esempio in Germania e Francia). La questione per l’Irlanda e per il resto d’Europa è che cosa vogliano fare i partiti ecologisti di questo consenso. Nel caso irlandese, l’esperienza del passato direbbe che i verdi sarebbero pronti ad entrare in coalizione con uno dei due principali partiti irlandesi (Fine Gael e Fianna Fáil), entrambi di centro-destra, con il rischio concreto di vedersi parte di governi che portano avanti politiche antipopolari con un tocco di ‘greenwashing’. La giovane candidata dei verdi all’europarlamento Saoirse McHug ha dichiarato dopo le elezioni che si dimetterebbe dal partito se i verdi andassero al governo con Fine Gael o Fianna Fáil . I leader del partito Eamonn Ryan e Ciarán Cuffe (entrambi in passato ministri nel governo di coalizione col Fianna Fáil) sono però stati molto meno netti al riguardo.
Fianna Fáil e Fine Gael sono risultati i principali partiti alle elezioni locali. Il Fianna Fáil al momento in particolare sembra uscire vincitore, raccogliendo all’incirca il 27 per cento dei voti, mentre il Fine Gael, che al momento governa il paese alla guida di un esecutivo di minoranza, avrebbe ottenuto all’incirca il 25 per cento. Nei primi commenti sugli exit poll irlandesi molti giornali italiani hanno quindi gridato alla vittoria dei partiti ‘europeisti’, ma questa è una lettura riduttiva, guidata dal fatto che i media mainstream italiani leggono ormai qualsiasi elezioni in europa con la lente ‘sovranismo vs europeismo’. In realtà in Irlanda non esistono al momento partiti che non siano ‘europeisti’ fra le maggiori forze politiche. Lo stesso partito repubblicano di sinistra Sinn Féin, che in passato aveva espresso voto contrario nei vari referendum che hanno accompagnato l’introduzione dei trattati europei (in Irlanda la legge prevede che vi sia un referendum di ratifica), ha di recente avuto un atteggiamento molto più cauto sulla questione europea, specie a partire dalla questione della Brexit e del possibile ritorno al confine tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord. A questo si aggiunga il fatto che storicamente l’Irlanda è un paese anomalo, in cui sin dalla nascita dello stato irlandese si sono alternati alla guida del paese due partiti di centro-destra (Fianna Fáil e Fine Gael). Il fatto che FF e FG abbiano ottenuto la maggior parte di voti non è quindi una grande novità: soltanto nel 2018 per la prima volta nella storia dello stato irlandese la somma dei voti delle due formazioni non ha superato il 50 per cento. Il relativo cattivo risultato del FG alle elezioni locali, sommato al fatto che il partito è al momento alla guida di un governo di minoranza che si regge su un patto di desistenza col FF, ha fatto dichiarare al premier Leo Varadkar che il paese potrebbe presto andare ad elezioni, finora sempre rimandate con la scusa della Brexit. Se a livello locale sorride il FF, il FG (che a Bruxelles siede nel PPE) è andato assai meglio per le elezioni europee, dove dovrebbe eleggere 4 eurodeputati. Stando alle proiezioni, il FF (Alde) si fermerebbe massimo a due eurodeputati, pagando la scelta di avere più di un candidato in alcune circoscrizioni, con il risultato che si sono elisi a vicenda.
La conformazione particolare della politica irlandese, in cui la questione nazionale ha avuto storicamente la precedenza rispetto a quella di classe, si ripercuote anche sulla debolezza della sinistra irlandese. Il partito laburista (S&D) ha da sempre dimensioni molto più ridotte del suo equivalente britannico, e in passato ha partecipato al governo solo in coalizione con uno dei due partiti di centro-destra, con esiti solitamente disastrosi. Ne è un esempio la recente partecipazione al governo di coalizione con il Fine Gael dal 2011 al 2016, in cui il Labour, dopo aver promesso in campagna elettorale di fermare l’austerità (‘it’s Frankfurt’s way or Labour’s way’), si è trovato ad implementare una serie di pesanti misure di austerità. Dopo aver raggiunto il suo massimo storico nel 2011 al 19.4%, il Labour è crollato al 6 per cento alle elezioni politiche del 2015, e da lì non si è più ripreso. Anche a queste europee la percentuale oscilla intorno al 6.6% e il partito non eleggerà nessun deputato. L’unica figura significativa del Labour a livello nazionale sembra attualmente essere il Presidente della Repubblica Higgins, rieletto lo scorso novembre, ma che ha una funzione puramente rappresentativa.
Il Sinn Féin (GUE-NGL) negli ultimi anni aveva mostrato una crescita costante fra elezioni locali e nazionali, imponendosi durante la crisi come partito della lotta all’austerity, almeno nella Repubblica d’Irlanda. Questa tornata elettorale, il primo importante test dopo la fine della leadership di Gerry Adams (sostituito da Mary Lou McDonald), ha segnato una battuta d’arresto. A livello locale il partito è sceso sotto il 10 per cento (alle ultime politiche nel 2016 aveva raggiunto il 13.8 per cento). La strategia della McDonald di catturare maggiori voti al centro, cercando di presentare il partito come un potenziale affidabile partner in un governo di coalizione, non sembra dunque aver pagato. Vanno meglio le cose per quanto riguarda le europee, dove il partito dovrebbe difendere 2 dei 3 seggi ottenuti nel 2014 nella Repubblica d’Irlanda, confermando anche l’eurodeputata uscente Martina Anderson nel Nord Irlanda. Oltre al SF nell’attuale parlamento irlandese sono presenti i partiti di ispirazione trotzkista People Before Profit e Solidarity (GUE-NGL), che però non sono riusciti ad eleggere nessun candidato all’Europarlamento, pagando l’alto numero di candidati a sinistra nella circoscrizione di Dublino, e non hanno ottenuto grandi risultati anche alle elezioni locali. Tradizionalmente il sistema elettorale irlandese vede anche la presenza di un alto numero di candidati indipendenti, di cui alcuni dichiaratamente a sinistra. A queste elezioni europee 3 candidati indipendenti sono tutt’ora in corsa per essere eletti, e teoricamente potrebbero sedere nel gruppo del GUE (come ha fatto nel 2014 l’eurodeputato Luke ‘Ming’ Flanagan, alla caccia della riconferma).
Se almeno due dei candidati indipendenti dovessero farcela ci troveremmo così nella situazione paradossale in cui un paese tradizionalmente conservatore e in cui tutt’ora predominano due partiti di centro-destra potrebbe eleggere 4 dei suoi 11 eurodeputati nel gruppo del parlamento europeo della sinistra radicale. Questo rappresenterebbe una percentuale superiore alla maggior parte degli altri paesi europei, specie se si considera il pessimo risultato dei partiti a sinistra di S&D.
Al contempo, i risultati delle elezioni locali non fanno ben sperare per la sinistra irlandese nel caso si dovesse andare ad elezioni anticipate. L’esperienza del passato recente della lotta contro la tassa sull’acqua mostra comunque che su alcune tematiche è possibile costruire un’unità nelle lotte capace poi di generare anche consenso elettorale. In quell’occasione avevano preso parte alla lotta sia i partiti della sinistra radicale che alcuni dei sindacati più combattivi, aiutando a far emergere un movimento di massa dalla chiara connotazione di classe contro uno dei lasciti della Troika, dopo la crisi del 2008. Lasciare svanire questa eredità per rincorrere i voti del centro rischia di essere un errore strategico non da poco.