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[PIEMONTE] CONTRO IL “MODELLO PITTSBURGH”: LOTTARE PER RILANCIARE LA SANITA’ PUBBLICA

In piena “seconda ondata” della pandemia da Covid-19 ormai anche in Italia, ci pare urgente e necessario un approfondimento ed un rilancio dell’iniziativa, perché qualcosa stona nel modo in cui anche la stessa critica sociale e politica sta affrontando questa situazione. Riaccendiamo pertanto i riflettori sulla gestione attuale dell’assistenza sanitaria nella nostra regione, annotando intanto che il famigerato “modello Lombardia” assume, in Piemonte, un altro nome: si chiama “modello Pittsburgh”, secondo l’espressione coniata dal Prof. Salizzoni, vicepresidente del Consiglio Regionale in quota PD, in un suo articolo dello scorso aprile. In cosa consista questo modello, trattandosi di assistenza sanitaria “made in USA”, è presto detto: si tratta ovviamente di sanità privata, gestita da una società che ne ha fatto un business multinazionale. Ma il punto fondamentale è questo: Salizzoni riesce a dire spudoratamente che “la sfida è costruire ospedali dotati di attrezzature di ultima generazione e dove si fa ricerca, cui affiancare una medicina di territorio capillare”, e naturalmente che questa “sfida ha un nome: Parco della Salute, della Scienza e dell’Innovazione”, per “competere con l’Human Technopole di Milano”.

Ebbene, la caratteristica più dirompente della “seconda ondata” è senz’altro che questa medicina territoriale capillare era il clamoroso “buco nero” portato alla luce dalla “prima ondata”, che avevamo provato ad analizzare nei mesi scorsi (qui il link al nostro documento); buco nero che doveva quindi essere assolutamente cancellato utilizzando i mesi scorsi di contagio allentato per investire ogni risorsa possibile in un immediato cambiamento strutturale. Cioè attrezzando appunto il territorio a partire dalla medicina di base (drasticamente sottodimensionata rispetto alle necessità) nel ruolo di filtro di prima assistenza, dando priorità assoluta ai presidi diagnostici di prossimità ed al tracciamento della catena del contagio, investendo in formazione del personale e soprattutto in un piano straordinario di assunzioni, così come in un rafforzamento delle strutture fisiche ed ospedaliere: mancano ancora posti letto, sia nelle terapie intensive, sia negli altri reparti.

Nulla di tutto questo è stato fatto, l’organizzazione del servizio sanitario è rimasta centrata solo su ospedali ancora inadeguati e carenti di personale e materiali, e dunque la seconda ondata sta mandando di nuovo in tilt tutto il sistema. Scandalosamente, lavori di ampliamento appaltati dal commissario straordinario Arcuri sono appena iniziati, posti letto prima adibiti al Covid e poi restituiti ad altre patologie devono essere di nuovo “requisiti”, l’aumento di posti in terapia intensiva e respiratori si rivela rimasto solo sulla carta. La stessa distribuzione di pazienti Covid che sembrava sotto controllo, in pochi giorni non lo è già più, ed il nuovo “piano Icardi” (che già ordina di differire ricoveri e prestazioni non-Covid) torna a premere sulle RSA, però svuotate dagli/dalle anzian* trasferit* altrove: insomma, un delirio, lo stesso identico girone infernale della prima ondata. Ciliegina sulla torta: il contact tracing in Piemonte funziona, dice Icardi, aumentando l’apertura degli “hot spot” mentre per i tamponi rapidi…si vedrà! Cioè: si fa finta di chiudere la stalla, ma i buoi sono già scappati.

All’emergenza, in particolare nel Piemonte del “modello Pittsburgh”, si risponde rilanciando la revisione della rete ospedaliera targata Saitta-Chiamparino e quindi procedendo progressivamente alla chiusura di strutture sanitarie locali, o al disimpegno nel recupero degli ospedali chiusi, per concentrare il servizio nei nuovi ospedali unici di zona, in un processo di cui lo stesso Parco della Salute è fiore all’occhiello; e nel quale le dispute sulla ricollocazione dei nuovi ospedali non cambiano, bensì confermano ad ogni passaggio la direzione di marcia; con l’intervento diretto dei privati nella stessa ristrutturazione degli ospedali esistenti, come a Tortona (AL).

Non si è fatto e non si fa quindi ciò che sarebbe urgente e necessario, perché questo invertirebbe la rotta, che deve invece assolutamente rimanere orientata verso i nuovi grandi ospedali, senza investire un solo euro di spesa pubblica nella sanità, e se proprio occorre farlo, solo temporaneamente, con assunzioni a tempo determinato, partite IVA, e così via; non è vero che “pensare di riaprire i vecchi ospedali…per riavere i piccoli ospedali vicino a casa” sia tornare indietro, è vero invece che la sanità territoriale capillare ed i nuovi mega poli di eccellenza per la cura e la ricerca sono scenari del tutto alternativi ed incompatibili tra di loro (altro che affiancare la “sanità capillare” al Parco della Salute)!

La cosa interessante, è che questo modello di grande appoggio ai privati in sanità, qui in Piemonte è stato storicamente promosso dal PD (con la recente adesione dei 5 Stelle), mentre in Lombardia è sempre stato un prodotto del centrodestra. Insomma quel generale “partito trasversale degli affari” di cui già ci parlava Nicoletta Dosio a proposito della TAV…

 

In Piemonte, questa gestione criminale e disastrosa dell’imminente seconda ondata si è vista subito a settembre quando, con il piano nazionale del Prof. Crisanti finito nel cassetto, è partito l’allarme sull’inadeguatezza dei sistemi diagnostico ed epidemiologico regionali, come denunciato dal docente di Fisica dell’Università di Torino Alessandro Ferretti (il quale già il 9 ottobre indicava il deragliamento anche di quello del tracciamento, poi diventato clamoroso col flop totale registrato nell’uso dell’app “Immuni”). Tenere insieme questo quadro d’insieme ci permette anche di mettere in luce una serie di contraddizioni, dove per esempio il PD da un lato cavalca la protesta contro la chiusura del Pronto Soccorso per far posto al “Covid hospital” a Carmagnola (CN), mentre dall’altro si vanta con gran baccano mediatico della realizzazione dell’ospedale unico di zona a Moncalieri, il quale comporterà la soppressione di alcuni presidi ospedalieri territoriali, come quello di Chieri.

Per quanto riguarda Torino, è di questi giorni la denuncia puntuale di Domenico Martelli, medico e direttore della struttura di medicina al Maria Vittoria di Torino, espostosi già negli anni scorsi per analoghe denunce in tempi “non Covid”. La sua iniziativa attuale, che per la sua carica questa volta ha rilievo istituzionale, non può restare però un gesto isolato, o peggio ancora un allarme che porti acqua al mulino del “nuovo Maria Vittoria”: si tratta infatti di un’istantanea che fotografa una situazione drammatica, frutto di scelte cinicamente non compiute in questi mesi proprio a causa di un’attenzione rivolta al futuro dei nuovi ospedali, invece che al cambiamento immediato e radicale delle priorità funzionali del servizio sanitario sul territorio.

La nostra regione si inserisce quindi nel contesto generale, caratterizzato dal taglio e dalla penalizzazione sistematici della sanità pubblica, tuttavia secondo un suo profilo originale: occorre pertanto combattere la nostra battaglia su due fronti.

  • Da un lato, sul piano generale, abbiamo iniziato quest’estate un percorso di iniziative pubbliche contro il modello della regionalizzazione e dell’aziendalizzazione (e dell’autonomia differenziata), assolutamente centrale per contrastare la
    distruzione programmata della sanità pubblica. Il disastro sociale in cui stiamo ripiombando dipende da questa dinamica, la soluzione è una sola: sanità pubblica, nazionale e laica, ricostruzione del Servizio Sanitario contro l’affermazione del “sistema sanitario” basato sullo spazio abnorme alla sanità privata accreditata; a questa soluzione strategica devono essere destinate le risorse economiche e le politiche sanitarie a partire dalla gestione dell’emergenza (è dimostrato, dal caso del Veneto della prima ondata e dalle stesse situazioni locali della Lombardia che hanno ricostruito un minimo di organizzazione territoriale, che si può fare e si può fare subito, qui ed ora). Ma, anche nelle condizioni imposte dal nuovo restringimento degli spazi sociali, bisogna trovare il modo di dare forma immediata e concreta a questa battaglia, bisogna conquistare risultati parziali che spingano avanti la battaglia generale.
  • Dall’altro, nella nostra regione si tratta di unificare la protesta, anche a partire da situazioni specifiche che assumono immediatamente questa valenza generale.

Potere al Popolo di Alba è riuscito a coagulare attorno alla raccolta di firme contro la chiusura del Pronto Soccorso imposta con l’apertura dell’ospedale di Verduno, un consenso significativo della popolazione, privata in questo modo dell’assistenza sanitaria di prossimità. L’iniziativa si sta ora indirizzando verso un momento pubblico importante dedicato alla consegna delle firme direttamente alla Regione Piemonte: vedremo quando e come si potrà fare, ma proponiamo fin da subito che sia un appuntamento centrale per rendere visibile ed incisiva la protesta. Crediamo si possa e si debba far convergere su quell’obbiettivo, non certo per fregiarcene come organizzazione, bensì per il carattere fortemente simbolico dell’iniziativa stessa, tutta la capacità di raccogliere altre istanze, di dare forma ad un movimento.

A Torino, d’altronde, Potere al Popolo sta proseguendo, anche in condivisione con altre

realtà cittadine, l’analisi e l’iniziativa contro il Parco della Salute, progetto di ospedale centralizzato e amico dei privati che, dietro la retorica dell’”eccellenza”, nasconde un’ulteriore tappa dello smantellamento del servizio sanitario a danno della nostra salute; e che anche in tempi di pandemia, a conferma di quanto andiamo sostenendo, viene rilanciato da tutte le principali forze politiche, fino ad arrivare a Sinistra italiana.

Per proseguire questa lotta nell’emergenza, contro la deriva verso una crisi sociale sempre più profonda, utilizziamola anche noi, la pandemia, ma non per favorire gli interessi di chi ci sta portando al massacro. Ribaltiamo la logica del profitto dei padroni delle città, i quali mentre spingono verso il disastro la sanità pubblica donano fondi privati per l’emergenza negli ospedali: usiamo l’emergenza stessa come occasione per mettere a nudo l’ipocrisia di fondazioni bancarie, forze speculatrici e consorterie politiche (e sindacali, a proposito di sanità: basti pensare all’indecente rifinanziamento pubblico del rinnovo contrattuale bidone per la sanità privata).

La fase attuale è nuovamente quella della compressione dei bisogni sanitari della popolazione, le liste d’attesa già esplose nelle fasi precedenti della pandemia tornano a dilatarsi all’infinito, per prestazioni irrinunciabili si deve ricorrere alla sanità privata, che poi in diversi casi nel torinese è costretta a mettersi a disposizione dell’emergenza Covid: ma la paghiamo sempre noi, attraverso il sistema dell’accreditamento!

Noi non siamo per la difesa di strutture

sanitarie obsolete, anzi: è nostro interesse fondamentale che la salute popolare sia trattata nel modo migliore possibile. Ma pensiamo anche che l’ammodernamento si possa e si debba accompagnare con la redistribuzione del servizio sanitario sul territorio, che richiede per forza un ulteriore investimento di risorse pubbliche: quanto avremmo risparmiato approfittando dell’estate e rinforzando subito il servizio sanitario nazionale? Ci saremmo forse risparmiat* i nuovi DPCM, le chiusure, ma soprattutto altri contagi e altri decessi. A volte le stesse parole assumono significati opposti: anche noi pensiamo che il Covid 19 “debba costringere Torino a…ripensare il futuro partendo dalla salute”. Ma non per “fare come Pittsburgh”, poiché “abbiamo tutte le competenze necessarie” per non fare “sul Po quello che hanno fatto sul fiume Ohio”. Perché la salute non è una merce, bensì appunto un bisogno (ed un diritto) fondamentale.

 

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