In Venezuela nuova vittoria dell’alleanza chavista!
Dal 5 gennaio 2021 il Venezuela avrà dunque una nuova Asamblea Nacional. Le elezioni di domenica 6 dicembre, le numero 25 in 21 anni di chavismo – alla faccia della dittatura, sono state vinte dall’alleanza chavista, che ha guadagnato il 67% dei voti, più di quattro milioni in termini assoluti.
Il risultato è in linea con quanto previsto, anche perché l’opposizione si è presentata divisa, frammentata e assai eterogenea.
Oltre che in una crisi di credibilità, dovuta a strategie che nel corso di questi ultimi anni hanno dimostrato di essere forse gradite a Washington, ma sicuramente responsabili di un inasprimento delle condizioni di vita in Venezuela.
Guaidò è uscito immediatamente in pubblico, con un video di 7 minuti. Un video i cui contenuti si sarebbero potuti indovinare con certezza già prima della giornata elettorale. “La maggioranza del Venezuela – ha dichiarato l’autoproclamato Presidente – ha voltato le spalle a Maduro e alla sua frode elettorale”. Il canovaccio, come al solito, è dettato dagli USA. Non è un caso che personaggi del calibro del senatore repubblicano Rubio si siano affrettati a usare le stesse parole.
Così come hanno fatto i rappresentanti dell’Unione Europea. Che accusano il governo bolivariano di “non aver rispettato gli standard internazionali minimi per un processo elettorale credibile”. Conseguentemente, l’Alto Rappresentante per la Politica Estera sostiene che “l’UE non riconosce questo processo elettorale come credibile, inclusivo e trasparente, né i suoi risultati come rappresentativi della volontà del popolo venezuelano”.
Ovviamente non si sforza di dire dove si anniderebbe la mancanza di credibilità, certificata, al contrario, dall’ex Primo Ministro spagnolo Zapatero e da altri ex capi di Stato, presenti in Venezuela come osservatori internazionali. L’invito era giunto anche a Bruxelles, ma l’UE lo ha rifiutato, dimostrandosi ancora una volta incapace di avere una politica estera autonoma da Washington e soprattutto a favore della pace e della cooperazione internazionale. Anzi, nel comunicato ufficiale si continua a insistere per una “transizione”.
Tornando al risultato elettorale, la vittoria chavista era stata preventivata da molti osservatori.
Sotto la lente di osservazione era piuttosto la partecipazione elettorale. Ci si è fermati al 31% degli aventi diritto. Un dato più basso di quello delle presidenziali del 2018, quando a votare era andato il 46% degli aventi diritto, ma più alto di quello del 2005, quando le opposizioni decisero di boicottare le elezioni legislative e ci si fermò al 25% degli aventi diritto.
Oggi tutti parlano di elezioni poco credibili, data la scarsa affluenza. Peccato che chi scrive questo, si dimentichi di dire che, sempre domenica 6 dicembre, si è votato in Romania, paese dell’UE, e che a votare è stato il 31% degli aventi diritto. Ma lì nessuno osa mettere in discussione la “credibilità” di Bucarest perché il prossimo governo sarà guidato dalla coalizione di centrodestra che vede affiancati il Partito Nazionale Liberale e i riformisti di USR-Plus, entrambi convintamente europeisti e fedeli di Bruxelles. Ancora una volta due pesi e due misure.
In ogni caso, la partecipazione non è stata certamente alta. Perché? I motivi sono diversi.
Sicuramente ha inciso il boicottaggio promosso da un settore dell’opposizione, quello più violento, nonché gli appelli in tal senso di USA, UE, Gruppo di Lima. Ma a incidere sono anche le difficoltà della vita quotidiana, dei problemi economici che si vivono nel Venezuela sotto il blocco statunitense. In questo 2020 il popolo venezuelano ha dovuto affrontare la scarsità di carburante e problemi relativi ai servizi di base, acqua e gas. Ha dovuto affrontare il continuo aumento dei prezzi a fronte di salari bassi. Condizioni che non invitano alla partecipazione politica. Tutt’altro. E non è un caso che quando Chavez cercò di favorire la partecipazione dei settori tradizionalmente esclusi dalla vita politica del Paese, individuò come chiave non tanto la costruzione dei “Consigli” e degli organi istituzionali necessari, bensì il miglioramento del tenore di vita di masse fino a quel momento invisibili allo Stato.
La bassa affluenza di domenica non ci deve far però dimenticare che il chavismo, che tutti danno per spacciato da anni, ha vinto ancora una volta. I problemi sul tavolo per Maduro e per la nuova Asamblea Nacional non spariscono, certo. E anche la partecipazione popolare, in un processo bolivariano che si è sempre contraddistinto per la sua tensione verso la costruzione di una “democracia protagonica y participativa” non può essere sottovalutata. Ma noi, dall’altra parte dell’oceano, allo stesso modo non possiamo perder di vista la cornice entro cui si svolge la battaglia. Che non è guerra lampo, ma guerra prolungata, fatta di blocco economico, sequestro dell’oro e dei conti all’estero, di tentativi di golpe – l’ultimo a maggio 2020 – e di violenze ripetute all’interno del Paese.
Oggi va chiesto il rispetto della sovranità e della volontà popolare che si è espressa chiaramente domenica nelle urne.
E, subito dopo, rivendicare la fine del blocco da parte degli USA e la fine della complicità europea. Che, per piegare un governo che prova con difficoltà a costruire una prospettiva autonoma, puniscono consapevolmente milioni di cittadine e cittadini. Si tratta di crimini e chiunque abbia a cuore la pace e la giustizia dovrebbe opporvisi in ogni sede e con ogni mezzo.