
È di questi giorni la notizia dell’attacco della destra governativa ad un libro di storia per le scuole superiori, “Trame del tempo” della Laterza, reo di presentare, nel terzo volume, un passaggio, non più lungo di un capoverso, sulle elezioni del 2022 e sul governo Meloni che, benché oggettivo, ben fatto e storicamente documentato (anzi proprio per queste ragioni) è risultato sgradito alla compagine di governo. L’attivissimo Valditara non ha esitato a interpellare l’Associazione Italiana Editori e a minacciare non si sa bene quali provvedimenti. In attesa di sapere che cosa accadrà – per il momento l’effetto ottenuto è una valanga di solidarietà nei confronti di autori ed editore – cerchiamo di capire perché non siamo di fronte ad un episodio singolo, ma ad una postura culturale che viene da lontano.
La scuola è stata infatti storicamente un pallino dell’estrema destra, consapevole dell’importanza di quest’istituzione nella società contemporanea come o forse più di quanto non lo sia, a volte, la “sinistra” che dice di difenderla (svendendola ai privati). Sotto il fascismo c’era il cosiddetto “testo unico di Stato”, introdotto da una legge del 1929 e adottato a partire dall’a.s. 1930-31: un libro unico per prima e seconda elementare, due libri (antologia e sussidiario) per terza, quarta e quinta, preparati da una commissione di intellettuali “di fiducia” nominati dal Ministero della Pubblica Istruzione. I libri erano una vera e propria apologia del fascismo e del Duce, presentato in modo mitico come degno erede di una continuità storica che dai “fasti” dell’Impero Romano arrivava fino all’età contemporanea.
Nei primi anni 2000, governo Berlusconi, si tornò a polemizzare sui “comunisti” che imperversavano con la loro ideologia nelle scuole, attraverso libri di testo orientati. A farlo fu in particolare Roberto Maroni, allora Ministro dell’Interno, particolare che fa capire l’intento repressivo e poliziesco del polverone.
L’episodio di cronaca di questi giorni arriva a valle di una serie di iniziative del Governo sulla scuola che rivelano in modo chiaro e netto quali sono le intenzioni e gli obiettivi che si vuole raggiungere. Dalle nuove linee guida sull’educazione civica alle nuove indicazioni nazionali per il primo ciclo (particolarmente importanti per ciò che vi è scritto sull’insegnamento della storia) emerge il disegno di riportare all’interno della scuola una visione reazionaria, conservatrice, razzista e suprematista del mondo e della società, senz che siano possibili letture alternative.
Per questo motivo le azioni del Ministero sono destinate a scontrarsi con un certo grado di resilienza del mondo della scuola, che continua, fortunatamente e nonostante tutto, a garantire una pluralità di vedute, tra le quali trovano, purtroppo, spazio anche quelle più vicine alla narrazione governativa, accanto però ad altre di segno opposto. Questa pluralità è garantita dal fatto che la scuola non si basa, nel bene e nel male, su un solo modello pedagogico, né tantomeno su una sola lettura del mondo e della storia; ai docenti, come alle autrici e agli autori dei libri in uso, non viene richiesto un giuramento di fedeltà a determinati valori.
È questa resilienza il problema di una parte specifica del Governo, che va dalla Lega, con l’attivissimo Rossano Sasso, a Fratelli d’Italia: sono questi due partiti in particolare ad aver dato vita ad una vera e propria caccia alle streghe, a causa della quale periodicamente uno o una docente ritenuto “non conforme” viene messo alla gogna per la condanna pubblica, vuoi che sia per le posizioni sui conflitti in corso, per le tematiche relative al mondo LGBT o per qualunque altra posizione dissonante con quelle governative. La destra al governo continua, com’è tradizione del fascismo, ad atteggiarsi a vittima, e indica di volta in volta in questo o quell’insegnante, intellettuale, autrice o autore (che sia Christian Raimo o altri meno famosi e conosciuti) uno degli elementi della presunta congiura politico-culturale ai loro danni.
Non possiamo, naturalmente, leggere l’insieme di questi interventi senza legarli alla repressione poliziesca più esplicita e palese, che va dal cosiddetto DDL Sicurezza, di recente convertito in legge e già in parte smontato dalla Cassazione, fino all’infiltrazione di ben 4 agenti dell’antiterrorismo (il quinto ha avuto meno fortuna) in un’organizzazione politica come la nostra, passando per lo spionaggio di una decina di giornalisti e attivisti attraverso un software, Paragon, di produzione israeliana.
L’Italia postdemocratica e meloniana, seguendo una tendenza globale, si dimostra sempre meno attenta e rispettosa anche degli aspetti formali della democrazia così come l’abbiamo conosciuta. Per questo ogni forma di repressione, che sia lo spionaggio, l’infiltrazione, la censura, le denunce, gli arresti, le violenze poliziesche, deve trovare l’opposizione compatta di tutte quelle componenti democratiche e progressiste della società, senza distinzioni di sorta. L’attacco su un fronte è sempre parte di un disegno generale, e riguarda tutte e tutti noi. Per questo la nostra solidarietà a Caterina Ciccopiedi, Valentina Colombi, Carlo Greppi, autori del testo contestato oggi, e al loro editore, è ancora più forte, ed è la medesima nei confronti di tutte e tutti coloro che, in questi quasi tre anni, sono stati vittime della repressione, sotto qualunque forma, nonché di coloro che, purtroppo, lo saranno nel prossimo futuro. È nostro dovere continuare a rispondere colpo su colpo, e non arrenderci: non hanno vinto e non vinceranno.