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STUDENTI PER LA PALESTINA E REPRESSIONE: UNA TESTIMONIANZA DAI PAESI BASSI

Come Potere al Popolo! sentiamo l’esigenza di connettere le varie lotte nel mondo, e in questo momento storico soprattutto le mobilitazioni contro il genocidio in corso in Palestina. Abbiamo quindi raggiunto Mattia, uno studente italiano all’Università di Amsterdam, con cui abbiamo parlato del movimento studentesco, della repressione e del nuovo governo di estrema destra nei Paesi Bassi.

Ciao Mattia, sui nostri giornali abbiamo visto alcuni video delle acampade e della pesante repressione che gli studenti hanno subito nelle università olandesi. Iniziamo ripercorrendo le principali fasi di quello che è stato il movimento degli studenti per la Palestina all’Università di Amsterdam.

Lunedì 6 maggio è iniziato l’accampamento al campus di Roeterseiland (Facoltà di Scienze Sociali) piantando le tende nel giardino dell’università, con la presenza di un centinaio di persone e l’organizzazione di attività come lezioni alternative e incontri. Nonostante, quindi, le attività si svolgessero in modo tranquillo e pacifico, l’università fin da subito ha scelto di rispondere con la repressione, facendo solo finta inizialmente di “trattare”.

Le richieste degli studenti sono state chiare fin da subito: la pubblicazione in modo trasparente degli accordi con le università israeliane, degli investimenti in aziende israeliane – da cui disinvestire – e infine tagliare i rapporti con le università israeliane e con tutte quelle istituzioni complici del genocidio. A queste richieste, nelle settimane successive, si è aggiunta la domanda di amnistia per gli studenti che sono stati arrestati e che la nostra università ha deciso di perseguire penalmente. Ci tengo a precisare che queste richieste sono state poste durante dei tavoli improvvisati, visto che gli studenti non hanno nessuna rappresentanza in quelli che sono i principali organi decisionali dell’università (come il Senato accademico e il consiglio d’amministrazione in Italia). Il rettore e i rappresentanti degli organi di potere dell’università hanno risposto con l’istituzione di una commissione sulle linee etiche dell’università, che non era però tra le richieste degli studenti, che l’hanno quindi rifiutata in quanto foglia di fico di quelle che sono le reali posizioni dell’università. Nel giro di poche ore, l’università ha chiesto l’intervento della polizia che è arrivata con decine di agenti in antisommossa e bulldozer. Nella notte, le autorità hanno fatto irruzione nel campus picchiando e arrestando 169 studenti, di cui appunto alcuni sono stati denunciati. In risposta alla repressione sono aumentati i presidi di solidarietà e i cortei, anche loro repressi. L’università ha così giustificato la repressione puntando il dito contro chi si accampa in università, si copre il viso o costruisce delle barricate. Al momento si sta cercando di riformare una sorta di accampamento a Science Park (Facoltà di Scienze)

Prima accennavi alla rappresentanza negli organi della governance universitaria. In varie università olandesi si è registrata infatti una partecipazione alle mobilitazioni non solo da parte degli studenti, ma anche di segmenti di chi lavora in università. Cosa ci puoi dire a riguardo?

Bisogna partire considerando che nei Paesi Bassi c’è un basso livello di sindacalizzazione, che ovviamente è un problema nel momento in cui ci vorrebbe uno sciopero ma si finisce a dover propendere per azioni meno efficaci come i walk-out. La saldatura sociale/politica c’è stata principalmente tra studenti, lavoratori più precari e lo staff, mentre i professori ordinari si sono tenuti più distaccati in quanto ritengono che le università “non siano luoghi politici” (anche se la risposta alla guerra in Ucraina ha dimostrato il contrario) e che non devono proprio esserlo (quindi neanche sul caso della guerra in est Europa), adottando un concetto particolare di “libertà accademica”. La solidarietà è venuta quindi dai settori più precari dell’università, cioè quelli che hanno anche più da perdere con la loro esposizione.

Per quanto riguarda l’organizzazione delle mobilitazioni, una loro caratteristica positiva è stata sicuramente la loro capacità aggregativa, nel senso che sono riuscite ad incanalare le reazioni spontanee delle persone di fronte a quanto succede a Gaza in modo chiaro e senza fronzoli, mettendo nero su bianco degli obiettivi “pragmatici” e portandoli avanti come richieste che hanno mobilitato migliaia di abitanti di tutta la città. C’è stata quindi la capacità di tradurre in modo pratico delle domande che hanno spinto un elevato numero di persone a scendere in strada in supporto degli studenti. D’altra parte, questa gestione “orizzontale” e spontaneistica pone alcune questioni, ad esempio non è molto chiaro chi sono le persone che organizzano, rendendo così meno efficiente il movimento stesso, sprecando molte energie e soprattutto non si sa chi è legittimato a dover eventualmente negoziare con l’università.

In Italia chi solidarizza con la Palestina viene indicato dai media mainstream e dai politici come antisemita o “filo-Hamas”. Sugli studenti in particolare si fa riferimento a non meglio precisati “infiltrati” esterni all’interno delle mobilitazioni. Come vengono rappresentati invece nei Paesi Bassi?

Sostanzialmente allo stesso modo, è una narrazione che viene usata riguardo le proteste negli Stati Uniti e che alla fine investe tutti noi. La poca organizzazione di cui accennavo prima non ha permesso inoltre di avere una linea definita per quanto riguarda il rapporto coi giornalisti (con chi parlare o meno, chi deve parlare o meno…)

In definitiva, chi tira le fila delle mobilitazioni? Se ci sono, e se hanno un ruolo, le associazioni studentesche, gli olandesi con background migratorio, collettivi…

Nei Paesi Bassi c’è una maggiore politicizzazione delle persone che sono olandesi con background migratorio, che significa un rapporto più stretto con le organizzazioni della sinistra radicale (mentre in Italia questo non avviene o avviene a fatica). Dall’altro lato però, a differenza dell’Italia, qui non c’è una tradizione di movimento studentesco in università che sia radicata, o comunque di dimensione comparabile, a quella che abbiamo avuto noi. Per questo motivo non esistono grandi organizzazioni di studenti universitari magari su scala nazionale. Quindi, come dicevo, ci sono proteste che muovono una notevole quantità di persone ma diventano difficili da organizzare e gestire (ad esempio, le assemblee non esistono o se esistono non si conoscono)

Sappiamo che nel caso delle elezioni che si terranno negli USA a novembre, le mobilitazioni per la Palestina sono entrate al centro del dibattito tra Biden e Trump. Come si configurano le mobilitazioni per la Palestina nel contesto della politica olandese, in particolare con il governo di estrema destra che si sta per insediare? Soprattutto alla luce dell’uso che il Partito per la Libertà (PVV) di Wilders ha fatto dell’islamofobia e, più di recente, del sostegno ad Israele (tanto che nel programma di governo si prevede di spostare l’ambasciata olandese da Tel Aviv a Gerusalemme).

Wilders inizia la sua carriera nel Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (VVD), con il suo supporto al sionismo e la sua islamofobia che maturano proprio durante la sua esperienza in un kibbutz in Israele. Il sionismo è quindi un pilastro fondante dell’estrema destra olandese, che è proprio un valore politico da sempre, più che un “semplice” appiattimento sulle posizioni euro-atlantiche. Allo stesso tempo è stata anche la sindaca di Amsterdam, del partito della Sinistra Verde (GL) a definire i manifestanti come violenti e inconsapevoli, approvando poi l’intervento della polizia in università.

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