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STORIA RECENTE DELL’ARGENTINA: IL FALLIMENTO DEL NEOLIBERISMO

Ripubblichiamo un articolo di Paolo Angelone, militante di Potere al popolo! e dottorando in economia, sulla situazione in Argentina in seguito all’ascesa di Javier Milei alla presidenza del paese.

La storia argentina è di particolare interesse perché rappresenta l’esempio globale più palese, e per certi versi più avanzato, di come l’applicazione massiccia di misure neoliberiste, imposte dai centri di accumulazione di capitale estero (a partire da quello USA) tramite il ricatto del debito pubblico, non conduca ad una stabilità finanziaria ma al contrario al collasso di un’economia tutto sommato abbastanza industrializzata.
Il saggio di Paolo si articola in 3 sezioni: una prima in cui si ripercorre brevemente la storia del paese dalla stagione delle privatizzazioni degli anni 90 e del conseguente default del 2001 fino alla tragicomica ascesa dell’anarcocapitalismo di Milei; una seconda parte si focalizza sull’economia popolare e sulla strutturazione del proletariato e delle sue organizzazioni in un’economia in uno stadio avanzato di desertificazione industriale; infine un’ultima parte si concentra sul peronismo e sulle motivazioni che spingono alcune organizzazioni marxiste ad aderirvi.
Buona lettura!

Argentina 2024

La storia argentina è di particolare interesse perché rappresenta l’esempio globale più palese, e per certi versi più avanzato, di come l’applicazione massiccia delle misure neoliberiste, quali: privatizzazioni, austerità, liberalizzazioni e deregolamentazione dei flussi di capitali, non conduca ad una stabilità finanziaria ma al contrario al collasso di un’economia tutto sommato abbastanza industrializzata ed in salute ed al saccheggio delle risorse pubbliche da parte dei centri di accumulazione di capitale. Qui Il processo di smantellamento dello stato e dei diritti sociali e di desertificazione industriale è stato particolarmente rapido ed intenso, ma, con le dovute differenze, condivide le stesse traiettorie che vivono i paesi europei dagli anni ottanta, in seguito alla sconfitta dei movimenti operai ed alla caduta del blocco sovietico.

Il presente documento si articolerà in 3 sezioni: una prima in cui si ripercorrerà brevemente la storia del paese dalla stagione delle privatizzazioni degli anni 90 e del conseguente default del 2001 fino alla tragicomica ascesa dell’anarcocapitalismo di Milei; una seconda parte si focalizzerà sull’economia popolare e sulla strutturazione del proletariato e delle sue organizzazioni in un’economia in uno stadio avanzato di desertificazione industriale; infine un’ultima parte si concentrerà sul peronismo e sulle motivazioni che spingono alcune organizzazioni marxiste ad aderirvi.

Dalla tragedia del Corralito alla farsa dell’anarcocapitalismo: eredità della storia argentina

Nell’ultimo secolo in Argentina, così come negli altri paesi dell’America Latina, gli strumenti principali nelle mani dell’imperialismo a tutela del capitale internazionale utilizzati per l’imposizione del neoliberismo e quindi per l’appropriazione delle consistenti risorse nazionali e del tessuto industriale pubblico tramite privatizzazioni, austerità e deregolamentazione dei flussi di capitali, sono stati la CIA ed il FMI, la prima addestrando e sostenendo le dittature militari che hanno assicurato l’applicazione delle misure neoliberiste, la seconda concedendo prestiti condizionati all’applicazione delle medesime misure. Entrambi gli strumenti sono ovviamente nelle mani degli USA, principali garanti del capitale internazionale, ma non avrebbero portato ad alcun risultato senza la complicità di un’oligarchia locale che beneficia delle suddette misure per conservare ed ampliare i suoi privilegi atavici.

Mettiamo da parte la CIA[1] e le catastrofi umanitarie che ha provocato e focalizziamoci sulla questione del debito e sul condizionamento politico che ne deriva, tema sul quale ad oggi possiamo vedere più affinità con la situazione italiana e dei paesi euromediterranei.

Bisogna tenere conto che il debito argentino, contratto in moneta estera, principalmente in dollari, deve essere ripagato in moneta estera, e per farlo ci sono 2 strade: o richiedere un prestito in moneta estera, che generalmente rimanda ma aggrava il problema, o esportare più di quanto non si importi per accumulare riserve in dollari. Questa seconda opzione è l’unica concreta via ma risulta particolarmente complessa per i paesi che ereditano un tessuto economico coloniale, dedito ad esportazione di beni primari a basso valore aggiunto. Per migliorare il saldo della bilancia commerciale riducendo le importazioni, diversi paesi latino americani nel corso del ‘900 hanno provato ad adottare una politica di protezionismo ed industrializzazione interna, è la cosiddetta politica di ISI (Industrializzazione a Sostituzione delle Importazioni), per quanto riguarda l’Argentina, questa fase corrisponde a quella peronista, a cavallo degli anni ‘40 e ‘50[2]. Un ulteriore elemento da tener conto per quanto riguarda il debito in valuta estera è che eventuali svalutazioni della moneta nazionale determinano di converso un immediato aumento del debito con esiti potenzialmente rapidi e disastrosi.

Le dittature militari degli anni 70 ed 80 lasciarono un’eredità finanziariamente disastrosa al paese, durante questo periodo infatti si registrarono la completa apertura ai mercati internazionali, lo smantellamento dell’industria nazionale, una spesa enorme per il complesso militare e per il sistema di repressione che condusse alla scomparsa di circa 30 mila persone sospettate di filomarxismo, la nazionalizzazione di debiti privati di alcune famiglie oligarchiche – come quella del futuro presidente Macri – ed infine la spesa per la disastrosa operazione militare nelle Malvinas; a ciò deve essere sommato il generale aumento dei tassi di interesse globale che ha caratterizzato il decennio degli anni ’80.

La fase di ritorno alla democrazia parlamentare è stata caratterizzata quindi, sotto la pressione del FMI e delle oligarchie locali, da politiche neoliberiste volte al contenimento delle spese pubbliche ed alla svendita e privatizzazione del patrimonio pubblico per far fronte al debito. Questo compito fu svolto principalmente dal governo Menem e dal suo ministro dell’economia Cavallo, già direttore della banca centrale durante la dittatura. Il governo per frenare la crisi economica e l’inflazione applicò l’agganciamento del peso al dollaro e procedette verso la privatizzazione di un’immensa quantità di settori pubblici: Il sistema pensionistico, le ferrovie nazionali, le banche pubbliche, la rete telefonica, la compagnia aerea nazionale, i porti, il servizio postale, la rete di approvvigionamento idrico, la rete elettrica, la rete del gas, diversi canali TV e radio,  alcuni servizi sanitari, le industrie navali, chimiche, aerospaziali e la compagnia petrolifera nazionale. In totale, oltre 400 aziende pubbliche in Argentina furono privatizzate. Il grande capitale internazionale di fatto si mangiò l’intero paese.

Queste misure, non solo non riuscirono a risolvere il problema ma lo inasprirono fino al punto di condurre il paese al disastro del 2001, ancora oggi il default più grande della storia per un valore di 95 miliardi di dollari, ed al conseguente blocco dei conti correnti dei cittadini, il cosiddetto Corralito. Nel solo anno 2002 la riduzione della produzione e la svalutazione monetaria causarono un crollo del pil espresso dei 2/3 del valore, ci vorranno 10 anni per raggiungere il livello del pre-default, ed il debito, espresso in valuta estera, passò in un solo anno dal 50 al 150% del PIL, nello stesso anno la disoccupazione tocco il picco del 20%. Su Youtube ed in generale sulla rete è possibile reperire le immagini ed i video dell’ondata di protesta popolare che al grido di “Se Vayan Todos” (Se ne vadano tutti) e sotto l’assordante tintinnio di pentole e padelle, che caratterizza in genere le manifestazioni popolari nei paesi Latino Americani, spinse l’allora presidente Fernando De La Rua – successore di Menem dal 1999 – ad una rocambolesca fuga in elicottero dalla Casa Rosada.

L’Argentina dopo le controriforme degli anni 90 ed il default è un paese dove la classe media è ridotta all’osso, il processo di desertificazione industriale è in uno stadio particolarmente avanzato e le uniche relazioni di lavoro subordinato stabili e classiche si ritrovano in seno ai grandi gruppi legati al capitale internazionale ed all’oligarchia ed a parte del settore pubblico risparmiato dalla svendita, ma coinvolgono solo una frazione minoritaria del proletariato, la gran parte del quale si arrangia, vive di lavoretti e lavoro informale. Questa situazione può ricordare quella delle zone Euromediterranee, con la grande differenza però che per quest’ultime la valvola dell’emigrazione è molto più accessibile potendo agevolmente cercare lavoro nel centro o nel nord del continente, mentre in Argentina il problema rimane sostanzialmente in casa e la popolazione deve trovare altre vie per assicurarsi la sussistenza, da questa esigenza nasce quella che è definita l’economia popolare che vedremo meglio nel prossimo capitolo.

Dal 2003 al 2015 il paese vive la sua fase peronista-kirchnerista; in questo periodo, con Nestor prima e Cristina poi, sebbene non si riesca a ricostruire un tessuto industriale solido, l’economia cresce vigorosamente: si sviluppa una politica interventista e socialmente attiva, si reintroducono controlli sui flussi dei capitali,  si procede alla rinazionalizzazione di alcuni importanti industrie, come la compagnia aerea di bandiera Aerolineas Argentinas,  e si rinsalda il fronte latinoamericano socialista con Chavez e Lula. Il debito risultato inevaso nel 2001 viene ristrutturato con quasi tutti i creditori, solo una parte di questi, per un valore di circa l’8% del default, rifiuta la ristrutturazion; ne conseguirà un lungo contenzioso legale. Nel 2006 Nestor, pur di affrancarsi dal condizionamento del debito, seguendo l’esempio di Lula, paga in anticipo tutta la restante parte dei prestiti ricevuti dal fondo monetario internazionale. Il successo delle politiche Kirchneriste viene bollato dagli istituti internazionali come fortunato, legato all’andamento dei prezzi internazionali dei prodotti agroalimentari. Le stesse istituzioni internazionali che negli anni 90 avevano lodato le privatizzazioni prima del disastro.

Alla fine del periodo Kirchenerista, che durerà ininterrottamente dal 2003 al 2015, alcuni scandali di mala gestione e di corruzione scuotono l’apparato di governo, alcuni di questi, risultati poi infondati, coinvolgono anche direttamente la Presidente Cristina. Il caso giuridico e soprattutto mediatico spiana la strada ad il ritorno della destra con Macri, espressione di una famiglia oligarchica di grandi imprenditori edili. Il governo neoliberista rimuove i controlli alla libera circolazione di capitali rispianando la strada alla speculazione finanziaria, ma soprattutto chiede ed ottiene di nuovo un prestito al FMI, il prestito più grande della storia di questo istituto per un valore di 57 miliardi di Euro. Quando il governo sale al potere il debito nazionale rappresenta poco più del 50% del PIL, 4 anni dopo, il debito rappresenterà oltre il 90% del PIL, ancora una volta il paese torna sotto il cappio dello strozzinaggio straniero. L’esperienza di Macrì si chiude drammaticamente nel 2019, lasciando il paese per l’ennesima volta in recessione, crisi e con livelli di povertà in aumento.[3]

Pil Procapite espresso in migliaia di dollari correnti

Fonte: Database Banca Mondiale

Nel 2019 ritornano al potere i Kirchenirsti con il governo del centrista Alberto Fernandez, un governo che, anche a causa della pandemia, non riesce a dare alcuna risposta concreta alla crescente situazione di disagio economico e sociale. Dal 2019 l’inflazione ricomincia a galoppare fortemente a causa della bilancia dei pagamenti sfavorevole legata ad un elevato prestito da ripagare ed alle speculazioni finanziarie sulla valuta. Il governo si mostra incapace di gestirla, a fine mandato, nell’anno 2023, l’inflazione raggiunge il livello del 200% annuale. Contemporaneamente il governo vive scandali legati alla corruzione ed ai crescenti privilegi di quella che è percepita dalle classi popolari come una casta politica; uno su tutti che mina completamente la simpatia nell’esecutivo è legato ad una grande festa in fase pandemica a cui partecipa lo stesso presidente mentre in televisione il governo continuava insistentemente a persuadere la popolazione ad avere comportamenti responsabili per contenere il contagio.

Alle elezioni del 2023 si presenta il personaggio a dir poco eccentrico e sedicente anarco-capitalista di estrema destra Javier Milei, un soggetto già noto al pubblico argentino in quanto opinionista televisivo “esperto” di macroeconomia dalle posizioni notoriamente ultra-neoliberiste e dai modi “sgarbiani”, una sorta di parodia tragicomica di Trump che fra urla, schiamazzi, insulti, apparizioni e video assurdi in cui si presenta mascherato da supereroe, munito di motosega o bastone con cui taglia e malmena simbolicamente la spesa pubblica e la banca centrale, individuata come principale causa dell’inflazione, facendo leva sul disagio sociale con una retorica anticasta e contro appunto gli sprechi della pubblica amministrazione, proponeva per l’ennesima volta come soluzione ai mali dell’Argentina la via neoliberista, ovvero la completa ed assurda ritirata dello stato dell’economia. Fra le misure proposte più eclatanti spiccano ad esempio la rinuncia ad una valuta nazionale e la soppressione della banca centrale per utilizzare direttamente il dollaro oppure la liberalizzazione di qualsiasi tipo di commercio financo quello degli organi umani.

Milei riesce a vincere le elezioni sconfiggendo al ballottaggio il candidato moderato peronista di centro Sergio Massa, già ministro dell’economia nel disastroso governo Fernandez ed ovviamente identificato come elemento di quella casta di cui la popolazione si voleva liberare. La retorica di difesa dello stato sociale contro i tagli parossistici ipotizzati da Milei non attecchisce su una popolazione che ne è già in gran parte priva.

Nel Dicembre 2023 nasce il nuovo governo che per ottenere la maggioranza al congresso, una sorta di camera dei deputati, è composto anche dalla destra storica argentina, quella che aveva espresso il governo di Macri, che detiene importanti ministeri ed un apparato amministrativo e burocratico più collaudato e preparato. Il governo appena insediato propone subito un decreto con oltre 600 articoli indirizzato ovviamente verso la riduzione della spesa pubblica, la liberalizzazione dei mercati e la privatizzazione di alcuni importanti settori statali. Il decreto, sebbene effettivo, deve essere ancora confermato dalle camere ed in una delle 2 camere, quella che rappresenta le province, il governo non ha la maggioranza e sarà costretto a barattare concessioni con i vari potentati locali per ottenerla.

Questa non è la principale debolezza del governo, che si trova innanzitutto spaccato al suo interno principalmente a causa dell’eccentricità del presidente e dall’enorme mole di interessi particolaristici di cui è espressione, inoltre deve affrontare un’inflazione crescente, un grave problema di debito pubblico, un’opposizione sociale sindacale ben organizzata ed un’immediata e crescente generale ostilità popolare legata ai repentini licenziamenti del settore pubblico, all’istantanea triplicazione del prezzo della benzina a causa della liberalizzazione del mercato, all’aumento delle imposte ai lavoratori ed alla liberalizzazione dei prezzi degli affitti, precedentemente calmierati.

Sciopero Generale del 24/01/2024

Mentre scrivo queste righe, nel Febbraio 2024, il congresso argentino sta discutendo la legge mentre all’esterno si moltiplicano scontri fra l’opposizione sociale al governo – sotto lo slogan “La patria no se vende” – e le forze dell’ordine. Il paese si trova spinto dall’inflazione, dal debito e dalla desertificazione industriale a scorgere lo spettro di un nuovo default, stretto fra un mercato internazionale che vuole relegarlo al ruolo di colonia economica ed un apparato militare che sebbene dormiente non ha mai rinnegato l’esperienza della dittatura.

Il mondo degli esclusi e lo sviluppo dell’economia popolare

Il processo di privatizzazioni e di austerità degli anni 90 produsse un’impennata della disoccupazione, i disoccupati si organizzarono nel movimento di piqueteros, questo movimento – che si basava sulla rivendicazione di un posto di lavoro – è l’embrione storico da cui si svilupperanno le future organizzazioni di economia popolare. Il default del Dicembre 2001 ed il blocco dei conti correnti dette il colpo di grazia alla traballante economia; nell’anno 2002 la disoccupazione raggiunse il picco del 20%.

Tasso di Disoccupazione

Fonte: Database Banca Mondiale

L’enorme massa di disoccupati o degli “esclusi” come vengono definiti coloro che rimangono al di fuori del classico rapporto capitale-lavoro, fu costretta ad arrangiarsi in tutte le maniere possibili cercando di inventarsi lavoretti che consentissero la sussistenza con mezzi di produzione autonomi e facilmente accessibili, si sviluppava quella che sarebbe stata poi chiamata l’economia popolare. Nel decennio che segue il default si cominciano a strutturare le organizzazioni e le cooperative che daranno successivamente vita all’organizzazione parasindacale UTEP[4], l’Unione dei lavoratori dell’economia popolare, che ad oggi conta circa mezzo milione di iscritti.

Il proletariato argentino, seguendo le fratture del tessuto produttivo è quindi spaccato in 3 categorie. Una sorta di élite operaia legata al capitale internazionale e ad ai grandi gruppi industriali che tramite un elevato livello di produttività e di conseguente estrazione di plusvalore riescono a garantire uno stipendio ben oltre la media; questa porzione è rappresentata dai sindacati tradizionali ed è generalmente poco combattiva, più preoccupata a non perdere quelli che vengono soggettivamente considerati come situazione di privilegio rispetto alla massa degli informali che non a conquistare l’enorme quantità di plusvalore che gli è sottratto. Una seconda frazione di proletariato è composta dai lavoratori informali e precari legati alle piccole imprese dell’esigua borghesia nazionale, spesso tramite lavoro nero, spesso anche tramite forme di vero e proprio caporalato e schiavitù, poiché in questo contesto solo il sovrasfruttamento del lavoro permette un sufficiente livello di profitto per le piccole imprese tecnologicamente arretrate. Questi lavoratori generalmente non sono sindacalizzati a causa delle difficoltà legate alla piccola dimensione delle aziende ed alla forte ricattabilità che subiscono.

Infine c’è la summenzionata enorme massa di proletariato dell’economia popolare. Il lavoro pubblico attraversa trasversalmente le 3 categorie, è possibile trovare il lavoratore stabile della grande compagnia pubblica ancora risparmiata dal processo di privatizzazione, è possibile trovare il precario con contratto a brevissimo termine dipendente dall’esito di una tornata elettorale, infine c’è il lavoratore di una cooperativa pubblica dell’economia popolare.

Juan Grabois ed Emilio Persico, principali artefici di questa opera di sindacalizzazione degli esclusi, nel loro testo “Trabajo y Organizazion en la Economia Popular” (2014) ritengono che a causa dell’aumento della produttività legato a tecnologie sempre più avanzate ed al processo di concentrazione di capitale rimarranno sempre più soggetti esclusi dal tradizionale rapporto capitale/lavoro di lavoro dipendente. A questi esclusi non rimane che organizzarsi con mezzi propri per sopravvivere, e consapevoli di non poter competere sul mercato con le imprese capitaliste, lottare affinché le istituzioni riconoscano il valore sociale dell’economia popolare e integrino il salario che gli esclusi ottengono dal mercato con un salario complementare estratto dalla tassazione sui capitali, cosa che in Argentina è effettivamente stata conquistata in seguito ad un’imponente mobilitazione degli esclusi nel 2016, durante il governo di destra di Macrì, che ottenne il sussidio integrativo per oltre un milione di lavoratori.

Una prerogativa fondamentale delle organizzazioni dell’economia popolare è che i processi produttivi non debbano essere finalizzati all’accumulazione di profitto ma al benessere sociale, quindi le organizzazioni non puntano alla mera sussistenza dei lavoratori ma intendono scegliere anche cosa produrre per lo sviluppo di un quartiere o di un determinato territorio.

Il testo di Grabois e Persico ci fornisce un quadro di insieme sulle tipologie di questi lavori e sulla quantità di questi lavoratori che possono operare individualmente, familiarmente o collettivamente in cooperative:

Professione

Descrizione

Quantità stimata in migliaia
Contadini lavoratori della propria terra che lavorano individualmente, familiarmente o comunitariamente senza un padrone. 250
Cartoneros[5] Lavoratori che raccolgono i rifiuti urbani per riciclarli e rivenderli alle industrie produttive 100
Venditori ambulanti Venditori ambulanti di beni in luoghi pubblici 182
Artigiani Produttori autonomi di beni 28
Ferianti Venditori di beni in fiere e mercati 29
Motoqueros Riders, trasportatori di beni in moto 67
Operai di fabbriche recuperate Operai che occupano ed utilizzano fabbriche fallite o abbandonate per produrre beni 12
Lavoro domestico e di cura lavoratori di pulizie domestiche o accuditori di invalidi, bambini e anziani 910
Tessili Lavoratori che autonomamente o collettivamente trattano i capi per conto della grande industria 180
Lavavetri Lavoratori che lavano i vetri ai semafori e nelle stazioni di servizio 15
Operai edili Lavoratori che autonomamente o collettivamente senza costruiscono case popolari o infrastrutture 80
Pulitori Lavoratori che puliscono e sistemano aree pubbliche 250
Microimprenditori Lavoratori che autonomamente si dedicano alla produzione e vendita di beni, principalmente alimentari 500
Totale 2603

Oltre a queste elencate ci sono altre categorie, ad esempio i lavoratori della sfera sessuale, come prostitute e altri lavori digitali, che si sono dotati di organizzazioni sindacali, ed inoltre c’è l’infinità di lavoratori informali che lavorano a nero, secondo gli autori oltre la metà dei lavoratori argentini al 2014 faceva parte dell’economia informale. In seguito alla pandemia gli esclusi sono aumentati notevolmente, ad oggi la UTEP stima circa 6 milioni di lavoratori nell’Economia Popular, circa un terzo dell’intera forza lavoro del paese, di questi solo 1 milione è inserito in organizzazioni, quasi metà dei quali fa capo a questa organizzazione.

Gli stessi movimenti che hanno cominciato ad organizzare i lavoratori esclusi e che hanno dato vita all’UTEP hanno costituito un partito politico, il Frente Patria Grande che oggi rappresenta un importante tassello della sinistra peronista conseguendo nel 2023 circa il 20% alle primarie interne della coalizione peronista, pari al 6% degli elettori totali ed a circa 1 milione e mezzo di voti.

Uno di questi movimenti è il MTE (Movimiento Trabajadores Excluidos) Con loro abbiamo fatto un giro nel Municipio della Matanza, Periferia Ovest dell’Area Metropolitana di Buenos Aires, dove abbiamo conosciuto alcune cooperative che fanno capo al movimento.

Cooperativa Construyendo Desde Abajo di cartoneros – Matanza, Barrio di San Justo, Buenos Aires

Questa è la cooperativa Construyendo Desde Abajo di cartoneros del barrio di San Justo, lo stabilimento ed i macchinari sono stati ottenuti dalle istituzioni pubbliche della Matanza in seguito ad una campagna di mobilitazione e lotta e nell’ambito del programma nazionale Argentina Recicla, dove oltre la questione della sussistenza dei lavoratori è riconosciuta l’importanza sociale della loro attività ai fini ecologici. Lo stabilimento occupa oltre 100 addetti fra operatori che raccolgono i rifiuti e operatori che li dividono e lavorano prima della vendita alle industrie private. L’unione dei lavoratori ha permesso benefici legati alle economie di scala ed un rafforzamento del potere negoziale dei lavoratori nei confronti degli acquirenti industriali ed un conseguente aumento del prezzo di vendita.

 

Questa è la cooperativa tessile Alfa y Omega nel barrio Laferrere, impiega circa una trentina di lavoratori che dividendosi le spese hanno affittato l’immobile. I lavoratori del settore sono spesso immigrati di origine Boliviana, spesso, esattamente come i Ciompi raccontati dal Professor Barbero, lavoravano da casa su commessa delle industrie, anche loro unendosi sono riusciti ad ottenere benefici legati al potere negoziale e alle economie di scala.

Infine abbiamo visitato la cooperativa edile D.A. Maradona che impiega oltre un centinaio di operai e opera in diverse zone della Matanza, siamo andati nei barrios limitrofi di Triunfo e Bicentenario e nel barrio Aldo Bonzi.

In seguito alle mobilitazioni il movimento è riuscito ad ottenere l’approvazione della legge dei Barrios Populares nel 2018 che implicava investimenti per infrastrutture basilari nelle zone più disagiate finanziati da un’imposta patrimoniale, nonché l’utilizzo di manodopera almeno in parte locale ed in parte frutto di programmi di riabilitazione in seguito ad un passato di carcere e/o droga.

La cooperativa nei barrios Triunfo e Bicentenario – estrema periferia ovest dell’Area Metropolitana di Buenos Aires – è attualmente impiegata nella costruzione di strade, marciapiedi, allacci all’acqua, all’elettricità ed alla fogna, bagni e cucine per le numerose case sprovviste, sedi comunitarie per l’organizzazione di eventi di quartiere, un centro di prima accoglienza sanitaria e soprattutto una fabbrica di materiale edile per creare occupazione stabile in quartieri particolarmente disagiati.

Nelle foto, Rispettivamente: Costruzione di una fabbrica di materiale edile, di un centro sanitario di prima accoglienza e di opere idriche nei Quartieri Triunfo e Bicentenario, Municipio di Matanza, periferia Ovest di Buenos Aires

Barrio Aldo Bonzi, Municipio di Matanza, Periferia di Buenos Aires

Nel ex Barrio industriale di Aldo Bonzi, la cooperativa si concentra nella costruzione di allacci all’acqua, elettricità e fognatura alle numerose case che ne sono sprovviste. Queste cooperative non creano solo lavoro, ma decidono anche cosa produrre e che fini raggiungere, non l’esclusivo profitto, ma il benessere della popolazione.

Nella foto: Opere idriche in una casa del Barrio Aldo Bonzi, Municipio di Matanza, Periferia di Buenos Aires

Peronismo e Marxismo

Prima di addentrarci in quello che Adriano Sofri su Lotta Continua definiva come “Uno dei fenomeni sociali, politici e ideologici più incompresi del nostro secolo”, è necessaria una premessa: l’Argentina – erede di un passato coloniale – vive una costante tensione fra tentativi di sviluppo sovrano di un tessuto produttivo nazionale e tentativi di saccheggio esterno da parte del capitale internazionale con la complicità dell’oligarchia nazionale. Il peronismo rappresenta la prima opzione.

La struttura geoeconomica argentina si sviluppa nell’ambito coloniale: un enorme paese fertile e ricco di acqua, risorse energetiche e materiali preziosi, in cui tutte le infrastrutture conducono verso il porto di Buenos Aires – dove vive praticamente un terzo del paese – per poi entrare in contatto con i mercati internazionali. In seguito all’indipendenza dalla Spagna, la struttura economica rimane praticamente la stessa, soggetta però finanziariamente e politicamente all’Inghilterra prima ed agli USA poi.

Nel 1946 Peron è eletto presidente e rimarrà in carica fino a quando un golpe militare sostenuto dall’oligarchia non lo caccerà nel 1955, in questa fase, con imponenti investimenti pubblici, il paese sviluppa una forte industria nazionale riducendo la dipendenza dai mercati esteri e per la prima volta rinunciando ad essere un’economia prettamente coloniale. Nello stesso periodo si registra un enorme miglioramento in termini sociali, il diritto ad un lavoro dignitoso entra in costituzione, i sindacati, come la CGT acquistano rilevanza e l’analfabetismo crolla, soprattutto grazie alle operazioni sindacali e filantropiche gestite da Evita Duarte, molto più che la semplice “moglie di Peron” ma una vera e propria protagonista nella conquista dei diritti sociali. Lo zoccolo sociale che beneficia e che sostiene il Peronismo è composto dai lavoratori e dal sottoproletariato, i descamisados, coloro che per la prima volta vedono riconosciuta una dignità.

Dal 1955 al 1985 l’Argentina vivrà principalmente fasi di dittatura militare alternate a brevi periodi di ritorno delle elezioni, in cui lo stesso Peron, dopo essere stato esiliato ed escluso esplicitamente dalle tornate elettorali, ritorna ad essere brevemente presidente nel 1973 fino alla sua morte nell’anno successivo.

La dottrina peronista – o Justicialista, come la si inizia a chiamare – è interclassista e si pone come terza via fra il socialismo ed il capitalismo. Prevede la costituzione di uno stato fortemente interventista, dirigista e corporativo in cui i sindacati hanno un ruolo cruciale ma la proprietà dei mezzi di produzione non viene messa in discussione, gli obiettivi espliciti sono l’industrializzazione, la piena sovranità nazionale e la giustizia economica e sociale.

La retorica interclassista, nazionalista e – specialmente negli anni 70 – anticomunista, le manifeste simpatie di Peron con il nazismo ed i regimi fascisti in Italia prima ed in Spagna poi, ha fatto sì che nell’immaginario politico italiano il peronismo fosse assimilato al fascismo. In realtà ci sono delle differenze sostanziali.

Il fascismo in Italia nasce dall’esigenza della borghesia – piccola e grande – di tutelarsi dall’ascesa del socialismo, che, dopo la prima guerra mondiale, la rivoluzione russa ed il biennio rosso, cominciava a configurarsi come un timore molto concreto. L’utilizzo della retorica socialista di giustizia sociale, di cui il fascismo è pregno è stato effettuato principalmente in chiave propagandistica ed opportunistica in base ad un contesto che lo esigeva, e non ha avuto particolari applicazioni pratiche.

In Argentina invece la piccola borghesia nazionale quasi non esiste, il capitale principale ha fonti esterne ed internazionali, e la classe sociale più legata al peronismo, tutt’oggi, è quella proletaria in tutte le sue varie declinazioni. Il peronismo si configura come un movimento di liberazione nazionale dalle ingerenze straniere e nella costituzione di una sorta di partito-stato che per certi versi ricorda i movimenti di liberazione nazionale del mondo arabo o il Partito Rivoluzionario-Istituzionale messicano, movimenti in cui le istanze socialiste, nazionaliste, religiose e conservatrici si mescolano in una modalità aliena rispetto ai tradizionali schemi politici che occupano l’immaginario europeo.

Il movimento peronista ha coinvolto posizioni politiche fra le più differenti, dai guerriglieri marxisti e guevaristi come i Montoneros – che combattevano la dittatura militare auspicandosi un ritorno di Peron dall’esilio – agli estremisti di destra che, negli anni 70 hanno preceduto la dittatura militare nel reprimere violentemente i movimenti comunisti, dai neoliberisti degli anni 90 come Menem ai socialdemocratici Kirchneristi. Insomma, una trasversalità in quello che nell’immaginario occidentale è comunemente concepito di destra o di sinistra.

In seguito alle dittature militari, le posizioni almeno a destra sembrano essersi palesate: le oligarchie, l’apparato militare ed i fascisti, con il sostegno esterno del capitale internazionale e degli Usa, hanno posizioni esplicitamente neoliberiste ed antiperoniste. Il peronismo tutt’oggi rimane un ampio crogiuolo di posizioni differenti e si presenta come il più grande movimento politico argentino diffuso soprattutto nel proletariato e nel sottoproletariato, per queste categorie il peronismo non è solo un’opzione politica ma è un vero e proprio sentimento popolare che spesso si manifesta con canti, marce e celebrazioni che ricordano più una passione sportiva che non un’ideologia politica.

Il dibattito fra i marxisti se partecipare o meno al largo campo peronista è sempre stato acceso, ovviamente ci sono comunisti più ortodossi che si ritengono inconciliabili con la visione peronista per ovvie incompatibilità analitiche e programmatiche, questa posizione in Argentina è prevalentemente occupata dai Trotzkisti. Altri marxisti invece ritengono sia importante stare dentro al campo largo e cercare di egemonizzarlo facendo leva sugli elementi più socialisti del peronismo, ad oggi si tratta principalmente del Frente Patria Grande.

Carlo Olmedo, membro fondatore del gruppo marxista rivoluzionario, Fuerzas Armadas Rivolucionarias (FAR), in un’intervista del 1970[6] spiega bene quale sia la posizione di un’organizzazione che si professa sia marxista che peronista. Secondo il militante il marxismo-leninismo e quindi il materialismo dialettico, è uno strumento per analizzare ed interpretare la storia e la realtà, e per indicare quale sia il fine da raggiungere, ma non è una bandiera identitaria universale che accomuna tutti i popoli del mondo, affermare il contrario significherebbe annichilire le esperienze e le identità di interi popoli. Olmedo afferma che il processo verso una società senza classi e sfruttamento deve partire dall’identità popolare, e quindi in Argentina dall’identità peronista, che dal basso si sviluppi e proceda verso il socialismo, che comprenda che il fine di giustizia sociale, democrazia e libertà che intende perseguire, giunti in una determinata fase, non può che essere raggiunto tramite l’evoluzione in una società socialista. Invece innestare dall’esterno ideologicamente un’identità aliena al popolo sarebbe solo controproducente. Il socialismo, così come il giustizialismo, sono dei processi, se sradicati dal contesto storico in cui si sviluppano e considerati come “dottrine definitive” diventano invece dei dogmi.

Il marxismo-peronista può essere inquadrato nella cornice della sinistra populista latino americana, che, per opportunismo o per sincera appartenenza, esprime posizioni compatibili e seducenti nei confronti delle masse popolari, i più grandi esempi politici in questo senso sono il Chavismo ed il Castrismo, che, applicando un socialismo con retoriche e caratteristiche identitarie popolari, si sono dimostrati pragmatici e capaci di interpretare non solo le esigenze materiali ma anche il sentimento popolare. Posizioni generalmente meno intransigenti rispetto a quelle europee, che più che sradicare l’albero dalla radice e piantare un seme nuovo, provano ad indirizzare lo sviluppo del tronco e dei rami. Un esempio concreto è la esplicita fede cristiana che, a differenza della tradizionale sinistra laica europea, caratterizza buona parte della sinistra latinoamericana che ne riprende sia le radici solidaristiche e comunitarie che le pratiche mutualistiche del cristianesimo di base, umile e spesso in contrasto con l’oligarchia ecclesiastica. A queste latitudini la fede religiosa è un elemento essenziale per rapportarsi con i ceti popolari, ma non ha per questo precluso posizioni anticlericali, come sull’aborto o sull’omosessualità.

  • [1] Per maggiori dettagli si veda “Operazione Condor”
  • [2] Per approfondimenti riguardo l’iniquità delle ragioni di scambio nel mercato internazionale si vedano “La teoria della dipendenza” ed i lavori sviluppati da Raul Prebisch in seno alla Commissione Economica per l’America Latina ed i Caraibi (CEPAL/ECLAC)
  • [3] Per approfondimenti sulla storia del debito argentino si consulti l’articolo “How Argentina has been trapped in neocolonial debt for 200 years: An economic history” di Esteban Almiron, pubblicato su Geopolitical Economy nel Dicembre 2022. https://geopoliticaleconomy.com/2022/12/18/argentina-neocolonial-debt-history/
  • [4] In un primo momento si chiamava CTEP – Confederacion Trabajadores de Economia Popular
  • [5] Questi soggetti hanno assunto inoltre la funzione sociale di riciclo e pulizia e contribuiscono alla tenuta ecologica del paese
  • [6] Pubblicata nel 1971 sulla rivista “Cristianesimo y Rivolucion” e nel 1973 sulla rivista “Militancia Peronista para la Liberación” attualmente consultabile a questo link
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